L'Opera d'Alger (foto Google street view)

La cultura: il nuovo terreno di scontro globale

Mattia Giusto Zanon

Nollywood, il K-pop, la filantropia, il Louvre di Abu Dhabi, lo Yoga, ne parla l’autore francese Antoine Pecquer, specializzato in economia della Cultura, in un nuovo, utile Atlante, lo abbiamo intervistato

La ferrovia Tazara, che collega Tanzania e Zambia, inaugurata nel 1976, è considerata la pietra miliare della Cinafrica. Quasi 50 mila lavoratori cinesi hanno posato i binari e costruito le infrastrutture dei duemila chilometri che compongono il percorso. Da allora, Pechino non si è più fermata. Dopo aver costruito gli stadi, in Africa la Cina ha iniziato a costruire i luoghi per l’arte. Un’opera-simbolo è il colossale Teatro dell’Opera di Algeri, interamente finanziato e costruito dal governo cinese con 40 milioni di euro, almeno secondo il budget dichiarato, che rimane probabilmente molto sottostimato. Cultura e denaro in cambio di risorse.

In Atlante della Cultura. Da Netflix allo yoga: il nuovo soft power (Add edizioni, pp. 144, euro 22), l’autore francese Antoine Pecqueur, attraversa i continenti guidato da un mantra: il soft power è sempre più al centro dei nuovi rapporti di forza globali, racconta al Foglio.

 

Gli stati europei sono stati precursori di questo senso. Quali eventi di ieri possono essere utili per comprendere l’oggi?

Nel vostro paese, l’Italia, uno dei simboli del movimento di unificazione fu un uomo non armato, un compositore, Verdi, il cantore del Risorgimento. Ma se pensiamo anche ai nazionalismi europei di fine Novecento troviamo una dimensione culturale molto forte. A poco a poco il “soft power” è diventato sempre più uno “sharp power”. Mentre i conflitti armati diminuiscono, si creano nuove battaglie. La cultura è una di queste, e non certo meno importante.

 

Quali sono i terreni di scontro più forti?

La Cina è un Paese all'avanguardia in tal senso. La cultura è un modo per Pechino di affermare il controllo del regime sulle popolazioni minoritarie, come gli uiguri o i tibetani. Ma è anche un cavallo di Troia per la conquista del mondo tramite le nuove Vie della Seta. Ma ci sono anche gli Stati del Golfo, che si stanno comprando un’immagine culturale con mega progetti come il Louvre Abu Dhabi, con cui questo emirato si compra di fatto un alleato, la Francia, che ha un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il museo sta proprio di fronte alla base militare francese...

 

Il mezzo impiegato: teatro, cinema, musica, letteratura, varia a seconda del continente?

La musica ha un potere speciale, non essendo legata per forza a un linguaggio. È interessante il caso di Valery Gergiev, direttore d'orchestra vicino a Putin, che è diventato una sorta di ambasciatore del Cremlino, e suona nelle zone dove la Russia è coinvolta militarmente, dalla Georgia alla Siria. La Corea del Sud si affida al K pop, la Nigeria al cinema, dato che è ormai il secondo produttore di film al mondo dopo l'India e ha già superato Hollywood. Gli obiettivi sono molteplici: diversificare l'economia, ma anche affermare l’egemonia artistica dello Stato più popoloso dell’Africa che con i suoi 200 milioni di abitanti sarà un player non ignorabile per il domani.

 

Il sottotitolo italiano, sagacemente, recita “Da Netflix allo yoga”. Perché proprio lo yoga?

In India il governo Modi lo usa per affermare il dominio culturale indù e per mettere in disparte la minoranza musulmana. Una tensione che non potrà che aumentare con l'attuale situazione in Afghanistan.

 

Di Yoga parla anche Emmanuel Carrère in maniera abbastanza spietata, da attività di moda da svolgere si è tramutata in un’attività da attaccare letterariamente?

Penso che per lo yoga, come per molte forme culturali, non bisogna essere naïf. Certamente ci può appassionare il fare un saluto al sole, ma ci sono ragioni per l'ascesa di queste culture. Sono ragioni talvolta geopolitiche, talvolta geoeconomiche. La cultura è solo un altro modo di affrontare le tensioni del mondo.

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