Lo scrittore francese Emmanuel Carrere (foto EPA)

“La mia autobiografia contro il narcisismo. La cancel culture? Un delirio”. Parla Carrère

Giuseppe Fantasia

“Va bene liberarsi di vecchi schemi mentali, ma cancellarli e far finta che non siano mai esistiti significa farsi beffe della storia”. Intervista all’autore di “Yoga”

Taormina. Meditare per ritrovarsi e ritrovare quella serenità che sembrava essere svanita, liberandosi di una depressione durata 4 anni, seguita da un ricovero per qualche mese in un ospedale psichiatrico, da 14 elettroshock subiti e da una diagnosi: “disturbo bipolare, una malattia che se colpisce, può portare  a un rischio di Alzheimer e suicidio parecchio più alto rispetto alla media”. Lo scrive Emmanuel Carrère nel suo nuovo libro, “Yoga” (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) e ce lo conferma di persona nella bella città siciliana, dove è l’ospite d’onore al Taobuk Festival.  “Forse sono bionico o forse sono un uomo con un gran senso del dovere”, scherza lui, ma probabilmente ad aiutarlo è stata la meditazione che, in questi ultimi anni, lo ha portato a sconfiggere i suoi demoni assieme al tai chi e allo yoga che – tiene a precisare – non è solo una ginnastica benefica, ma un insieme di discipline che mirano ad ampliare e unificare la coscienza”. Nel libro ripercorre quei momenti parlando di sé, ma nel farlo – come accade sempre nei suoi libri – dal fortunatissimo “Limonov” al “Il Regno”, senza dimenticare “Vite che non sono la mia” (tutti pubblicati in Italia da Adelphi) – non si dimentica mai del mondo che lo circonda insieme alla contemporaneità.  

“Ma raccontarsi non è stato particolarmente difficile per me”, confessa Carrère. “Quando diciamo che cerchiamo delle cose universali o quando parliamo di quella che è l’esperienza di un essere umano, di noi stessi, abbiamo un esempio che non ha bisogno certo di spiegazioni, perché parliamo dell’essere che conosciamo meglio al mondo, cioè noi. C’è però da fare una differenza tra il parlare di sé e il parlare a partire cominciando da sé. Il mio libro è un’autobiografia e quindi parlo di me. Se uno si descrive partendo da se stesso, si rimane di più con i piedi per terra: si resta più realistici e ci si conosce, conoscendoci”.  

 

Per lo scrittore francese, l’autobiografia non è una cura, ma un’espressione di sé. “Nel momento in cui un’espressione diviene più precisa e più onesta, più rigorosa, allora si può parlare anche di un trattamento, a condizione però che sia condiviso. Non credo che sia una questione di terapia: se si riesce a parlare di altri e non solo tra sé e di sé, allora credo che il problema sia se affrontarlo o no questo narcisismo. Se diventiamo l’ombelico del mondo è narcisismo puro, ma se coinvolgiamo anche gli altri, si supera questo narcisismo puro e può essere raccontato”. “Il suo unico problema – scrive Carrère in “Yoga” – era un ego ingombrante e dispotico di cui aspiravo a ridurre il potere”. Viene da chiedersi allora se sia riuscito nella meditazione. “Bisogna ancora lavorarci. (ride, ndr). La vita riguarda l’esperienza della vita stessa, il nostro modo di vivere – sia brutale sia formativo –  più che la meditazione. Vedo la vita come una forma di meditazione. Dopo tutto, l’ego dispotico è una cosa molto frequente che condividiamo con molte persone, non ci sono solo io”.  

Glenn Gould disse che la vita è  “la costruzione paziente di uno stato di meraviglia e serenità”. E’ davvero così? “Quella frase mi ha sempre colpito molto”, ci dice lo scrittore francese. “La meraviglia e la serenità vanno bene, però non c’è solo questo: bisogna allargare il nostro punto di vista e averne uno più alto e composito, più comprensivo. Se si considera la vita come un processo, Gould ha fatto propria questa frase perché era un genio, ma anche un grande nevrotico. Quindi se l’è cavata in questo modo”. Anche per questo, nel 2011 mentre era in India a scrivere “Limonov”, Carrère scoprì la meditazione Vipassana. Uno strumento per “vedere le cose come sono”, che è poi il significato di quella parola. Una pratica che, spiega, “può essere addirittura anche impossibile, ma quando ci si arriva, arriviamo al satori, al momento dell’Illuminazione secondo il buddismo e lo zen giapponese”. 

Quando “Yoga” uscì in Francia lo scorso autunno, ha ricevuto molte critiche, in particolar modo dalla sua ex moglie Hélène Devynck che in un articolo ha spiegato come, scrivendo questo libro, Carrère non avrebbe rispettato un accordo che imponeva l’autorizzazione a pubblicare passaggi in cui si parlava proprio di lei. Lui minimizza. “Non ci vedo nulla di male: la mia non è narrativa, ma è un’autobiografia”, spiega. “Parlo di me e mi cerco dicendo quante più verità possibili. E’ come la storia del tipo che va dallo psichiatra e gli dice che è disposto a parlare di tutto tranne che della sua vita privata. Certo che parlo anche di questo nei miei libri: di cos’altro dovrei parlare?”

In questo libro, fra memoir e autofiction, il passato ha la sua importanza. Ma di recente, la ministra francese della Pari opportunità, Élisabeth Moreno, ha detto che osservare il passato con gli occhi del 2021 non è il modo migliore per trattare i problemi di oggi. “Sono d’accordo con lei totalmente – ci dice Carrère –. E’ giusto oggi liberarsi di alcuni termini, di certe categorie mentali o concetti che si impiegavano nel passato. Ma non si possono annullare retrospettivamente. La cancel culture è una cosa assolutamente delirante. Trovo giusto che cerchiamo di liberarci di certi pensieri, espressioni e termini adesso, ma far finta di non averli mai usati, espressi o pensati, mi sembra davvero troppo. Questo significa annullare completamente la prospettiva storica, che invece è un’idea importante e che ha a che vedere con la sanità mentale. Sono due cose completamente diverse”. “Il poeta russo preferisce i grandi negri” è il titolo di un libro di Ėduard Limonov, una persona che di certo non si faceva problemi a usare una parola come quella, oggi vietatissima. “E quello non era neanche il titolo originale – spiega Carrère –. E’ stato un editore francese a trovare questo titolo provocatorio, che io in realtà non trovo affatto male. Contestualizziamo sempre quando si pensa o si fa una cosa. Forse quello potrebbe essere un titolo tra virgolette, come si dice. Trovo assai curioso che uno come Limonov avesse un’orrenda reputazione mentre l’editore – che pubblicava anche Sade in Francia – che fece una cosa del genere è stato totalmente rispettato e amato”. 

Proprio i rapporti fra Carrère e Limonov, scomparso lo scorso anno, si erano via via fatti più sporadici, ci dice lo scrittore francese: “Negli ultimi anni ci vedevamo raramente. Quando andavo a Mosca, gli telefonavo e ci vedevamo non facendo altro che parlare e bere, bere e parlare. Non lo consideravo un amico, ma ci piacevamo. Eravamo due compari nonostante non amasse particolarmente il libro che ho scritto su di lui. Era contento, però, che fosse stato fatto, perché aveva dato impeto alla sua fama e gloria, in quanto dimenticato”. Un personaggio, Limonov, dalla “vita amara”, come la definisce Carrère. “Aveva sempre sognato di avere un’esistenza politica e questo non era mai successo soprattutto quando ci fu Yeltsin, negli anni Novanta. La sua rappresentanza del partito era la controcultura della Russia, era la parte rock di quella politica. Poi c’è stata un’altra generazione che è seguita agli oppositori e di Navalny ne diceva sempre male, forse perché era anche un po’ geloso di lui. Penso che Limonov sia stato un uomo consumato dal risentimento”. 

E Carrère tra qualche anno, invece, come se lo immagina? “Come dico anche nel libro, in una versione migliore di quella di oggi: upgrated”, spiega. “Un uomo tranquillo e amorevole, un uomo che abbia fatto pace col suo io narcisistico e che scrive libri sempre più limpidi e universali, che si gode la fama,  le amicizie magari nella sua piccola casa a Patmos, che si approssima alla morte”. Alla domanda se esista qualcosa di Carrère che Carrère non sopporta, lo scrittore premette che per lui “l’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale, non capisce la realtà. Io provo a capirla stando nel giusto mezzo”. Poi chiarisce: “Cerco di accettare una cosa che mi ha detto una persona parlando dell’impressione che uno ha di se stesso, riflesso dentro ai propri figli e nipoti. L’impressione – mi disse – è quella di essere stato amato appassionatamente, di essere stato detestato come genitore e poi accettato. Ecco, io trovo che tutto questo non sia male. Se riuscissi a fare lo stesso di me stesso, sarei contento”.
 

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