Antonello da Messina, "Annunciata" (1475-76), tempera e olio su tavola. Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo (Wikimedia commons)

Una Maria mai raccontata

Ma che cosa leggeva la Madonna? Quasi un enigma per immagini

Maurizio Crippa

All’inizio attingeva al pozzo, poi i pittori le donarono un’attività più nobile e misteriosa. Ma in quei libri trovava le sue stesse parole e il suo destino. Viaggio nell’arte, pieno di scoperte

Ha appena sollevato lo sguardo da un libro di preghiere. Lo ha abbandonato sulle ginocchia, come per Fra Angelico; oppure tiene il dito tra le pagine, a segnalibro, come per Simone Martini; o lo ha appoggiato frettolosa su un leggio, su un davanzale. Altre volte ha dovuto interrompere d’improvviso la lettura, distratta dal Figlio che è arrivato a reclamare la sua attenzione, come nella Madonna del Libro di Botticelli. Forse quel libro, su cui ora sta insegnando a leggere al Bambino, è lo stesso su cui sua madre Sant’Anna le aveva insegnato a leggere, quando era bambina. In molti casi sta leggendo Scritture che parlano di lei, ma ancora non lo sa (o forse sì?). Altre volte ancora, le parole che legge sono addirittura le sue preghiere che lei stessa non ha ancora pronunciato. Deliziose varianti, misteriose icone di un gioco di specchi cui siamo così abituati, in secoli di storia dell’arte, che non ci paiono nemmeno strane, che non ci siamo mai fatti una domanda banale, una domanda essenziale: “Ma che libri leggeva, la Madonna?”. Anzi, di più: come mai legge? Una ragazza di neppure sedici anni, appena promessa in moglie, cresciuta in una famiglia di Nazareth forse non poverissima (andrà pur sempre sposa a un modesto artigiano) ma che difficilmente sa leggere, forse solo l’ebraico delle preghiere.

 

È invece la domanda che si è fatto, per una curiosità personale che negli anni ha ecceduto i confini e la metodologia del suo lavoro di filologo umanista, un professore fiorentino, ora emerito: Michele Feo, già docente di Letteratura e Filologia medievale e umanistica a Pisa e a Firenze, insigne petrarchista. Durante la sua lunga vita di studi, Michele Feo ha coltivato, mescolando sulla tavolozza acribia di filologo e “puro diletto”, una curiosità storica, culturale, personale per le letture di Maria di Nazareth. Iniziata come una deformazione professionale – la necessità di decifrare le brevi parole che si intravvedono scritte nei libri che centinaia di Madonne attraverso i secoli tengono in mano, stanno leggendo, o hanno appena appoggiato accanto sé – è diventata fascinazione, e una domanda vera. Che cosa leggeva la Madonna? è il libro frutto di quella lunga curiosità: “Quasi un romanzo per immagini” è il sottotitolo che prova ad attenuare, nel piacere del gioco, la forza della domanda. Lo ha pubblicato, un paio d’anni fa, per i tipi delle Edizioni Polistampa, l’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria”. Il professor Feo ha provato a indagare – anzi a fare una prima ricognizione che lui stesso ammette incompleta, poiché l’argomento non è ancora mai stato affrontato in modo sistematico – le immagini in cui la Vergine ha in mano un libro, o gli occhi su di esso. Cercando a memoria o nei repertori tra i dipinti, e più raramente le statue, le miniature, i bassorilievi. E ha provato a leggervi dentro. A volte è impossibile, ma in molti casi le parole si leggono benissimo: poiché gli artisti cristiani erano concreti e realisti, i segni sono fatti reali e le parole della fede devono essere riportate con precisione. E’ cronaca e insegnamento, non finzione di teatro.

 

“Non sono né teologo né storico dell’arte, non sono credente”, avverte di sé, nella prima pagina, il professor Michele Feo. Ma c’è un fascino che lo guida a scrivere, con il piglio dell’amateur più che del filologo. La figura di Maria, la Madre di Dio, è innegabilmente un punto di riferimento anche per un laico che voglia decifrarne il “romanzo per immagini”. Maria è l’icona della spiritualità, colei che si consegna senza remore a un disegno più alto, a un Dio di cui è “ancella”. È il “refugium peccatorum”, la Madre cui è sempre possibile rivolgersi, anche quando non si sanno né si vogliono più dire tutte le altre preghiere, come annota splendidamente il poeta Péguy. E’ una sublimazione del femminile, o un “eterno femminino dei cristiani”, come dice l’autore. E’ il modello per molte donne, e il modello rifiutato di altre donne. Ma è anche la “stella del mattino” per gli uomini, giuda alla perfezione inarrivabile. Che cosa legge, dunque? E perché? Cosa ci vuole, ci può dire? “L’iconografia cristiana si è impossessata di tutta la storia della Madonna e ne ha costruito davvero un romanzo per immagini”. Lei legge parole che sono profezie avverate, che sono le sue stesse parole non ancora pronunciate. Un fantastico gioco di specchi, una storia nella storia, una sottile psicologia che potrebbe diventare psicoanalisi: conoscere il proprio destino già segnato, e scegliere di adempierlo. E se fosse anche una metafora della condizione femminile nei millenni giudaico-cristiani? Muovendosi soprattutto nell’arte italiana, con qualche necessaria puntata in Europa, Feo seleziona una campionatura di più di sessanta opere, nomina centinaia di artisti, di teologi, di commentatori antichi e moderni. E ne fa una trama affascinante, insolita.

 

Dove inizia, questo romanzo? Inizia in realtà da un’ulteriore domanda preliminare, che nessuno si è fatto, nei confronti della storia dell’arte: quand’è che inizia a leggere, la Madonna? Nella prima immagine del percorso, Maria non legge affatto: sta riempiendo una brocca d’acqua alla fonte quando un angelo appare in cielo alle sue spalle, cogliendola di sorpresa. È un mosaico di San Marco a Venezia dell’XI secolo: una tradizione dunque molto antica ci racconta di una ragazza di paese, che non legge nel suo studiolo ma fa i lavori di casa e attinge al pozzo, come una trentina d’anni dopo farà la Samaritana. Oppure sta filando o tessendo, in moltissime versioni antiche dell’Annunciazione – ma ancora in Tintoretto, accanto al libro di preghiere, c’è un cesto con i gomitoli della lana – altra umile occupazione adatta a una ragazza del popolo. Ed è una tradizione iconografia forse ancora più antica, compare già in un bassorilievo bizantino del VI secolo conservato a Ravenna, e in una Annunciazione del IX secolo conservata al Castello Sforzesco di Milano, e in una serie infinita di variazioni attraverso i secoli: Feo ne ha raccolte una trentina, fino a un’Annunciazione preraffaellita di John William Waterhouse in cui gli strumenti della tessitura sono ancora accanto al leggio.

 

Poi, a un certo punto, la scena madre dell’Annunciazione cambia, avviene una “rivoluzione iconografia e ideologica”. Maria depone la brocca e il fuso e impugna un libro. O, almeno, lo tiene accanto a sé. Gli artisti, senza dubbio con la benedizione di preti e teologi, le concedono una sorta di upgrade culturale e sociale. La Madonna diventa parte di una classe alfabetizzata, intellettuale. La più antica testimonianza che Feo propone è un cofanetto d’avorio francese del IX secolo conservato nel museo di Braunschweig: Maria è seduta in trono e ha un leggio davanti a sé.  È dal nord Europa che la nuova moda si diffonde. Secondo alcuni studiosi il centro propulsore è l’abbazia di Cluny, la riforma monastica in cui tanto spazio hanno le Scritture e il sapere. La figura della donna evolve, nei secoli che addolciscono il medioevo. Dunque anche Maria deve diventare una nobile, o almeno una borghese: “È l’età in cui lo zio di Eloisa sogna per la nipote una educazione umanistica che la renda la prima fra le donne di Parigi per cultura come per bellezza”. La nuova idea scende in Italia, una Maria con un libro chiuso in mano compare in un mosaico di Pietro Cavallini, il precursore di Giotto, in Santa Maria in Trastevere; all’inizio del Trecento nella Cappella degli Scrovegni una Maria spaventata dall’arrivo dell’angelo stringe al petto il libro che ha preso dallo scrittorio. Dopo Giotto parte la secolare fortuna delle immagini di Maria cum libro che attraversa la maggiore arte italiana: da Duccio al Beato Angelico (nell’Annunciazione di Cortona il piccolo tascabile è appoggiato aperto sulle ginocchia, in un gesto quotidiano e moderno) al Cinquecento, al Barocco.

 

Non solo Madonne annunciate, nella doppia versione con in libro aperto oppure chiuso, perché la cultura è ormai un aspetto della devozione e anche la Madonna scrive, si apparta a meditare alla scrittoio, insegna a leggere al Bambino. Maria è ormai “regina”, o nobildonna: come nella fastosa Pala di Santa Maria dei Fossi che Pinturicchio dipinse a glorificazione dei Borgia. Nel passare dei secoli l’umile ragazza popolana divenuta regale deve essere esempio e modello di madri e spose devote. Come Sant’Anna aveva insegnato a lei, in una infinita iconografia che dalle miniature medievali arriva ai santini devozionali delle nostre nonne: la trasmissione della fede passa dall’istruzione, genere femminile.

 

È così che la Madonna comincia a a leggere. Ma che cosa? Qui inizia il romanzo nel romanzo. In un riquadro della pala di Pinturicchio, Maria legge un libro di preghiere dedicate a lei stessa, e ben leggibile per chi ossserva: “Comincia l’Ufficio della beatissima Maria Vergine secondo il metodo della Curia romana”. Maria che prega se stessa? E’ solo una delle magie di questo romanzo. Nel duomo di Pisa, nel grande mosaico dell’Annunciazione, alle parole dell’angelo “Ave piena di Grazia” Maria lascia cadere il libro, aperto. Dove c’è scritto: “Ecco l’ancella del Signore, mi accada secondo la tua parola”. Ma come? “Sono le parole che Maria non può trovare scritte nel libro che sta leggendo, perché lei stessa deve ancora pronunciarle e non sono ancora state storicizzate da un narratore”. Un paradosso spazio-temporale, direbbero gli scrittori di fantascienza, ma per secoli la storia dell’arte, da Gentile da Fabriano a Van Eyck, è costellata di Madonne che leggono in un libro la propria stessa storia che ancora deve accadere. Profetesse a se stesse. In un dipinto di Bicci di Lorenzo del 1430, il paradosso spazio-temporale è ancora più forzato: Maria sta leggendo le parole del Magnificat che lei stessa pronuncerà solo mesi dopo, a gravidanza avanzata. Maria legge un libro che racconta la sua vita, diventa liturgia di se stessa, esempio ai cristiani, premonizione: in molte Annunciazioni fiamminghe, accanto all’angelo bianco ne compare uno nero, a prefigurare la Passione e la morte di Cristo.

 

La storia non è sempre la stessa, c’è un’evoluzione che porta nuove domande. Fin quando “Maria tiene in braccio suo Figlio e lo allatta” – le tante, commoventi e antichissime Madonne del latte – il livello ermeneutico, dice Feo, è elementare: “È l’incarnazione della madre perenne”. Ma che cosa succede “quando attraverso la lettura si immerge negli abissi sconosciuti dell’essere”? Succede che la storia di Maria diventa mystrerium, una metastoria al quadrato in cui a poco a poco ognuno può riporre i significati che vuole. In realtà, senza voler togliere fascino romanzesco al racconto, che la Madonna legga un libro, anzi che stia leggendo il passo del Vangelo che la riguarda più intimamente e da vicino, anzi spesso addirittura il suo “Sì” che sta per pronunciare, significa né più né meno ciò che questa modalità narrativa ha significato nei secoli per i cristiani e gli artisti cristiani: le immagini sono Biblia pauperum, un racconto per analfabeti, servono a insegnare che i fatti andarono esattamente così, come li racconta il Vangelo. Quindi vero e reale è ciò che dice la Scrittura: un angelo viene e porge il suo saluto, la giovane donna ascolta intimorita e poi dice “accada secondo la tua parola”. L’immagine che state vedendo, è il senso dell’arte, è la semplice e veritiera illustrazione di ciò che è accaduto.

 

La faccenda di Maria che legge, e legge di se stessa, ha però una sua importanza dottrinale che non era sfuggita, fin dai primissimi tempi, ai più acuti teologi e Padri della chiesa. Era davvero necessario che Maria sapesse leggere? Tra i primi Ambrogio, che non dubita minimamente che la ragazza di Nazareth avesse una casa piena di libri. Così che quando l’angelo le annuncia la gravidanza celeste, la Madonna potè capire quel che altrimenti sarebbe restato mistero: “Questo Maria l’aveva letto, e perciò credette che potesse accadere. Ma come potesse accadere, non l’aveva letto”. Aveva letto la profezia di Isaia, ma per il futuro dovrà diventare lei stessa profetessa: come affermeranno senza esitazioni Anselmo d’Aosta, Basilio Magno e anche Tommaso d’Aquino. Così che secoli dopo per Botticelli, nella Madonna del Libro degli Uffizi, Maria non sarà più solo la lettrice di se stessa, è ritratta mentre sta scrivendo il Magnificat. Scrittrice.

 

Un gioco sempre più complesso, in cui è come se la Madonna diventasse sempre più autonoma, viva, importante. Ma diventare lettrice, e autrice, e profetessa, conduce inevitabilmente a scendere nelle profondità dell’essere: là ci sono le profezie nascoste che rivelano a Maria il destino del Figlio. Secondo Albero Magno, uno dei più raffinati intellettuali che l’Europa abbia generato, fu solo quando quelle profezie si compirono, quando vide il Figlio crocifisso, che Maria “capì, attraverso il dolore più profondo del cuore, che cosa fu per lei essere madre”. E’ un pensiero profondissimo, potente, che porta il racconto del Vangeli nella tragicità reale dell’esperienza umana.

 

Ed è forse uno dei pensieri nascosti nello sguardo, nel gesto appena accennato e trattenuto della più bella ed enigmatica di tutte le Madonne (con libro, ma anche senza) della storia dell’arte: l’Annunciata di Antonello da Messina, quella conservata a Palazzo Abatellis a Palermo. Lei è finalmente sola (“perché è sola? Perché manca l’angelo? Antonello se lo è dimenticato?”, si chiede Feo. No, è “sola perché non ha mai ricevuto la visita di un angelo, bensì un messaggio interiore”). Nel libro che tiene appoggiato al leggio, da quel momento non avrà più bisogno di “leggere avanti”. Ma forse invece il significato di quel silenzio è un altro, è l’infinita malinconia dell’istante dopo. Così drammaticamente descritto, in cinque parole, dall’evangelista Luca: “E l’angelo partì da lei”. La solitudine dell’universo dopo che l’angelo è partito, e prima che Dio si faccia presente.

 

L’Annunciata, “la più bella di tutte quelle che furono e sono e che saranno”, è inevitabilmente il culmine di questo romanzo per immagini. Ma ci torniamo tra un attimo, prima vale la pena una digressione, come nei migliori romanzi. E’ un peccato che Michele Feo, nei suoi studi, non abbia incontrato un’altra immagine di una Madonna che legge, invero diversissima e incredibile. E’ un’immagine che viene dal tardo medioevo francese, da tempo oggetto di un piccolissimo culto internettiano. E’ una miniatura a tempera e oro contenuta in un Libro d’Ore composto a Besançon attorno al 1450 e conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge. E’ una natività molto gentile: a scaldare Maria, oltre al fiato del bue, c’è una coperta rossa riccamente trapuntata e lei è in un confortevole letto. Ma è il resto della scena che non ha pari. Il vecchio Giuseppe è seduto a terra, ai suoi piedi, ha in braccio il Bambino, lo sta facendo addormentare. La Madonna, invece, legge placidamente un libro. “Nella miriade di immagini della natività che abbiamo incontrato sulla nostra strada, non abbiamo visto altrove questo accattivante tocco iconografico”. A scriverlo, in un articolo del settimanale anglicano Church Times di qualche anno fa, non sono due sprovveduti: Pamela Tudor-Craig è una storica dell’arte medievale e Nicholas Rogers è archivista del Sidney Sussex College di Cambridge.

 

La loro descrizione di questa straordinaria immagine ha contribuito a dare al folio 48r del “Fitzwilliam MS 69” una notorietà piccola ma preziosa: “Il modo utile in cui Giuseppe condivide la cura del Bambino sta a significare che, per la madre esausta dal parto, c’è un piccolo spazio nella vita in cui potrà fare qualcos’altro. Speriamo che la gioiosa sposa che per prima ha ricevuto questo libro in regalo abbia trovato un tale spazio”. A metà del Quattrocento, nella Franca Contea così come in tutta Europa, la devozione per la Madonna che legge produceva infatti libri di preghiere, che spesso diventavano un regalo di nozze a una sposa. Maria che legge è, ancora una volta, l’attestazione che “è accaduto proprio come è scritto nel libro” ma serve anche a ricordare che Giuseppe è solo un “comprimario” di un avvenimento che passa tra Dio e la Donna. Ed è anche il segno di una cultura cortese che, almeno nelle classi sociali elevate, aveva elaborato una considerazione alta della donna, a lei era affidata la cultura e la spiritualità. L’umile gesto di Giuseppe ha dunque un risvolto teologico: aiuta a spiegare il senso di tutte quelle Madonne dedite alla bibliofilia.

 

Altre immagini che mostrano Giuseppe (maggio è il mese della Madonna, ma questo è pur sempre l’Anno santo che Papa Francesco ha voluto dedicare al casto sposo e al Protettore della Divina Famiglia) aiutano a capire quanto il cristianesimo abbia elaborato, lungo i secoli, un’immagine nobile e preziosa della donna. Basterebbe il meraviglioso San Giuseppe che regge il pentagramma a un angelo-musico che suona mentre Maria e Gesù dormono, durante la Fuga in Egitto di Caravaggio; ma c’è anche un secentesco, commovente Giuseppe ritratto da Lucio Massari, agli Uffizi, mentre stende il bucato. Pamela Tudor-Craig e Nicholas Rogers conducono la suggestione per un’altra strada, per capire come sia nata quel tipo di devozione alla Madonna che legge sotto la coperta calda. C’è la predicazione degli ordini religiosi, raccontano, in cui spiritualità, concretezza e ruolo della cultura – senza cui non c’è Scrittura – si intrecciano. Sono domenicani e francescani che fanno riscoprire il soggetto di Sant’Anna che insegna alla Vergine a leggere. Rintracciano anche la fonte di questi racconti che rendono così quotidiano lo stringato testo dei Vangeli. È la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, domenicano appunto e arcivescovo di Genova morto nel 1292. Sant’Anna come modello per tutte le famiglie che educano i figli è un esempio molto caro ai domenicani. E il libro anche per gli ordini predicatori diventa segno del rapporto con Dio. Più tardi arriveranno le molte Madonne che invece insegnano a leggere a Gesù: del resto Sant’Antonio da Padova, grande teologo francescano, veniva distratto dai suoi libri da un Gesù Bambino che ci si sedeva sopra, secondo una fortunata iconografia.

 

Ma è ora di tornare all’Annunciata di Antonello, con l’ormai canonico libro aperto sul leggio. Tutto il resto intorno è però cambiato, un’inversione dei ruoli in cui non c’è più l’angelo, non conta più il libro. C’è soltanto lei, un punto magnetico. Senza di dubbio la Madonna più intensa, reale e metafisica della storia dell’arte occidentale. Il grande fascino di quell’immagine è nella domanda che suscita, in Feo e in tutti noi. Non più che cosa legga, ma cosa veda (mentre guarda noi, e non più un angelo con le ali colorate). E ancor più cosa senta, a cosa pensi. Che cosa esprima il gesto della mano (nella Annunciata di Monaco, molto simile, le mani di Maria sono incrociate sul petto, secondo un’iconografia più tradizionale). Delle tante letture possibili, il professore umanista predilige la risposta “filologica”, quella che illumina la fine di un percorso: Maria sta leggendo (ormai da secoli!) la profezia di una storia che parla di lei, o per lei. Ma l’angelo non c’è perché non è ancora arrivato, nello sguardo dell’Annunciata c’è solo la premonizione: “Tutto ha letto ed è edotta dei destini dell’umanità”, ma in questo istante preciso “è sola nella notte e vaga con la mente per le sconfinate plaghe delle altezze celesti, è colta da un improvviso moto dell’anima che la induce a pensare e temere di essere lei la protagonista designata dalle Scritture”.

 

Per rendere l’idea della modernità del quadro, Feo accenna anche ad altre interpretazioni, più estreme. Come quella che possiamo dire femminista, che ha provato a rintracciare nella donna dietro a quel volto, nel suo sguardo intenso, nel velo che la fa quasi indietreggiare e soprattutto nel gesto della mano un silenzioso ma esplicito rifiuto all’annuncio dell’angelo: no, grazie. Non diverrò madre, e nemmeno la madre di Dio. Diligentemente, a questa lettura Feo ne oppone una di Maurizio Calvesi, che ci vede “un leggere troppo” in quel “pudico schermirsi” raccontato dal Vangelo, e un “proiettarvi un sentimento e un’ideologia personali”. Giunti alla fine del romanzo, Feo ci lascia sospesi e padroni del nostro destino di fronte alle interpretazioni di un quadro che, più che essere enigmatico, sintetizza l’enigma di un evento unico nella storia. Ma forse basterebbe ricordare, con un po’ di filologia, che Antonello non era un genio eretico e nascostamente ribelle. Come Mantegna, come Giovanni Bellini, suoi coetanei, partecipava a una cerchia di cristiani spirituali e devoti, tanto da avere disposto nel suo testamento di essere sepolto nella chiesa Santa Maria di Gesù, che frequentava, e di indossare solo il saio dei frati minori Osservanti di cui era forse terziario. Di certo, era molto legato a una santa clarissa e riformatrice messinese, santa Eustochia Smeralda Cofino Colafato, fondatrice del primo convento siciliano degli Osservanti, che ancora si venera nella chiesa di Montevergine a Messina. C’è chi si è spinto a riconoscere nella giovane modella dell’Annunciata proprio l’amica clarissa Eustochia.

 

In uscita dal libro, oltre la fine del romanzo, nell’ultima pagina, l’autore mette un explicit che dà conto del perché di una lunga fascinazione: “Scrisse Andrea del Sarto sul fianco del leggio della sua Annunciata fiorentina: ‘Andrea del Sarto t’à pinta qui / come nel cor ti porta / et non qual sei / Maria / per isparger tua gloria / et non suo nome’. Queste parole dicono in tutta semplicità quanto amore e quanta devozione i pittori abbiano riversato nella rappresentazione del loro eterno femminino cristiano. E noi che pittori non siamo le facciamo nostre”.

 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"