Foto: Aleksandr Bormotin

I numeri parlano chiaro. Gli editori preferiscono le scrittrici

Antonio Gurrado

I romanzieri esordienti di sesso maschile si stanno estinguendo, e non per caso

Le cifre, per quel che valgono in letteratura, sono piuttosto significative: il 63 per cento dei bestseller britannici del 2020 è scritto da donne, 33 autori emergenti sui 44 segnalati dall’Observer sono donne, il 75 per cento dei nominati per il Costa Prize per esordienti negli ultimi cinque anni sono donne (con un picco del 100 per cento nel 2020), 7 finalisti del premio Rathbone su 8 sono donne, il 64 per cento dei lavoratori editoriali nei registri della UK Publisher Association sono donne e, contrariamente a ciò che avviene nel mondo reale, il 54 per cento degli alti ruoli dirigenziali nell’editoria britannica è affidato a donne. Su queste pagine non si sta tanto a controllare cos’abbia fra le gambe chi svolge un lavoro intellettuale, non si computano maschietti e femminucce in prima pagina, non si chiedono i documenti prima di esprimere un giudizio critico su un testo. L’Observer invece – che col Guardian suo fratellino è in prima linea nelle battaglie identitarie e paritarie – ha avuto una crisi di coscienza e, nell’ultimo inserto culturale, ha pubblicato un’inchiesta sull’egemonia femminile nell’editoria anglofona, sciorinando le cifre di cui sopra e chiedendosi: ma dove sono finiti i romanzieri esordienti di sesso maschile? Si stanno estinguendo?

 

Forse sì, la tendenza è quella, e le molteplici cause che emergono svariano dall’ostilità personale di singole editor femministe al fatto che i rotocalchi preferiscano proporre storie di donne, e quindi intervistare autrici promuovendo i loro libri. Tutte contingenze che confluiscono nella considerazione generale che il romanzo di un esordiente maschio stia diventando una merce più complicata da piazzare; di conseguenza, per un maschio (specie se bianco, etero e di classe non agiata, dice l’Observer causando svenimenti fra i lettori) spedire un romanzo a una casa editrice implica avere meno probabilità di essere preso in considerazione rispetto a una donna, si presume a pari qualità.

 

A questo punto bisogna tirare giù la maschera e ricordare che l’editoria non ha anche fare né con la libertà di parola né con l’orgoglio di genere ma solo e soltanto con le vendite. Un editore stampa ciò che si aspetta la gente compri. L’analisi sottintende dunque una marcata preferenza da parte del pubblico che, quando deve scegliere a scatola chiusa fra due romanzi, pare privilegi quello scritto da una donna. Può essere un riflesso condizionato dal martellamento mediatico, ad esempio sul fatto che le donne possano affrontare con libertà e sfrontatezza temi diventati tabù per gli uomini. Pensate al sesso, tanto per cambiare: un mattonazzo erotico scritto da una signora attirerà magari lettori un po’ morbosi ma verrà percepito come un’appassionante indagine o una coraggiosa rivendicazione o la rivelazione che tutti stavamo aspettando sul lato oscuro del desiderio. Paccottiglia come Cinquanta sfumature diventa un bestseller universale mentre Philip Roth viene messo al rogo per procura, tramite stigma morale sul suo biografo.

 

Per non parlare del luogo comune – bazzicato anche da scrittori, forse per arruffianarsi due o tre lettrici in più – secondo cui le donne sono scrittrici migliori in quanto persone più sensibili. Questo paralogismo letterario presuppone che il romanzo non sia un prodotto d’arte, quindi mediato rispetto all’identità dell’autore che resta nascosto dietro le quinte a limarsi le unghie, bensì un’espressione diretta della sua personalità. Chi va in libreria vuole comprare l’autore, non il libro. Le case editrici hanno pertanto gioco facile nel proporre ai potenziali clienti un prodotto incentrato sulla personalità dell’autore indipendentemente dalla qualità del libro (che in alcuni casi è stupendo, in altri gradevole, in altri ancora fa rimpiangere quando si era analfabeti). Con il vantaggio che, dopo secoli di egemonia maschile in editoria e letteratura, proporre caterve di scrittrici fa sembrare anticonformisti e innovativi quando invece, come gli editori hanno sempre fatto per ragionevole sopravvivenza, ci si limita ad assecondare lo Zeitgeist.
 

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