“Non abbiamo neri per tradurre Amanda Gorman. Un rom va bene?”

Giulio Meotti

La fatica degli editori europei di stare al passo col woke americano. Tim Parks: "Quando Oriana Fallaci chiese un traduttore 'molto maschio'"

Il furore è iniziato nei Paesi Bassi, quando l’attivista-giornalista Janice Deul ha detto che era “incomprensibile” che una persona con la pelle bianca, la poetessa Marieke Lucas Rijneveld, fosse stata scelta per tradurre Amanda Gorman. Rijneveld, “scioccata” dal clamore, si è dimessa dal progetto e la casa editrice Meulenhoff si è scusata, dicendo che aveva “perso un’enorme opportunità di valorizzare una giovane donna nera”.

   
La traduttrice spagnola di Gorman, Nuria Barrios, sul País ha detto che è una forma di “lobotomia” e che non vuole un mondo in cui “solo i bianchi possono tradurre i bianchi, solo le donne possono tradurre le donne, solo le persone trans possono tradurre le persone trans”. Barrios attacca anche “il coro anonimo di voci che, sotto la bandiera del ‘diritto morale’, rafforza ogni giorno che passa la sua supremazia censoria. Dall’orgoglio di essere chi sei, siamo passati all’imperativo, soggetto a penalizzazione, di non essere qualcuno diverso da quello che sei: la nostra pelle è diventata una camicia di forza”. Poi è stato licenziato il traduttore catalano Victor Obiols, troppo maschio e troppo bianco (è stato bandito da Twitter dopo aver scherzato, dicendo di volersi dare una mano di blackface per sembrare più adeguato al ruolo di traduttore). Da allora, gli editori europei non riescono a stare al passo delle richieste ideologiche americane.

  
In Germania, Gorman è uscita e “da un punto di vista letterario, è un fiasco”, ha scritto il quotidiano Der Standard. Due traduttrici, Hadija Haruna-Oelker, che è di colore, e Kubra Gumusay, che è di origine turca, “sono meno attive nel campo letterario  che nella militanza femminista e antirazzista”. L’editore ungherese Open Books ha scelto un traduttore della minoranza rom. La Svezia ha optato per un cantante, Jason Diakite, nome d’arte Timbuktu, che ha detto: “Sono sia bianco sia nero, sia americano sia svedese e questa è una delle più grandi rivelazioni che ho avuto nella vita”. Irene Christopoulou di Psichogios, l’editore greco di Gorman, sta ancora aspettando dall’America l’approvazione per la  scelta del traduttore. Dovrebbe essere una “poetessa emergente” bianca, perché “a causa del profilo razziale della popolazione greca non ci sono traduttori di colore tra cui scegliere”.

 
Sulla New York Review of Books ci pensa Tim Parks, scrittore e traduttore di molti autori italiani, a fare un po’ di chiarezza sulla vicenda. Dice che il “traduttore visibile”, identificabile dalla propria identità (razza o gender), è assurdo. Racconta che Emily Wilson ha descritto la sua traduzione del 2017 dell’Odissea – la prima in inglese fatta da una donna – come “gettare una chiara luce sulle particolari forme di sessismo e patriarcato che esistono nel testo”. Parks ha ricordato come Oriana Fallaci chiese espressamente al suo editore di invitarlo a tradurre il suo romanzo “Inshallah”. Voleva urgentemente, era stato detto a Parks, un “autore molto maschio” come  traduttore. Alla fine Parks ha rinunciato. Non erano fatti l’uno per l’altro. 

 
“Sarebbe necessario trovare un traduttore non binario per il lavoro di Marieke Lucas Rijneveld?”, domanda ora Parks. Non sarà facile per gli editori europei stare al passo del woke americano, che è appena riuscito a mandare al macero anche un pericolosissimo volume della fortunata serie di “Capitan mutanda”.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.