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Ritratto di un'intelligenza

Lou Salomé, che stregava ogni genio con la forza della libertà

Francesca d'Aloja

Altro che musa. Forse la più grande fra tutti era proprio lei. Contraria agli stereotipi e spinta dal desiderio di conoscenza, ispirò Paul Rée, Nietzsche, Rilke e Freud. “Pensa come un uomo”, si ripeteva “Ogni amore è sempre, nella sua profonda essenza, una tragedia”, scriveva. Poi abbandonò la letteratura per dedicarsi esclusivamente alla psicoanalisi

Negli ultimi due anni mi sono dedicata anima e corpo al racconto di personalità che hanno lasciato un segno, se non altro nel mio percorso esistenziale. Quasi sempre la scintilla è stata accesa dall’ammirazione, a volte si è aggiunto un desiderio di riscatto dovuto alla mancata considerazione durante (o dopo) l’esistenza di alcuni di loro. La persona a cui rivolgo oggi un timido sguardo non ha certo bisogno del mio ricordo, poiché su di lei molto è stato scritto, e detto, non solo da biografi accreditati ma da uomini il cui solo nome fa tremare i polsi:

 
“Soltanto dopo averla frequentata, sono stato maturo per il mio Zarathustra” (Friedrich Nietzsche).

 
“Mai avevo sentito la vita così fortemente, creduto nel presente e riconosciuto l’avvenire, e solo perché ho avuto la fortuna di incontrarti” (Rainer Maria Rilke).

  
“Mi siete mancata ieri sera alla riunione, ho l’abitudine di cercare il vostro sguardo, e ieri non facevo che fissare il vostro posto vuoto” (Sigmund Freud).

 
L’oggetto di tali dediche meravigliose si chiamava Louise Andreas von Salomé, da tutti ricordata come Lou Salomé (già solo il nome evoca bellezza). Basterebbe uno soltanto di questi incontri a fornire sufficiente materiale per una biografia fuori dal comune, anche se il termine “incontro” risulta riduttivo: fare la conoscenza di Lou Salomé ha segnato una pietra miliare nelle esistenze e, di conseguenza, nelle opere di questi geni. Lou era larger than life.

   

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Nel suo caso, il vecchio e odioso adagio secondo cui dietro ogni grande uomo c’è una grande donna, può tranquillamente venir rovesciato con il termine accanto, se non addirittura davanti. Eppure c’è ancora chi, nel definirla (duole dirlo, si tratta spesso di giudizi maschili) dopo averne elencato le innegabili doti, la liquida come mangiatrice di uomini, arrivista, circe, addirittura gattamorta (giuro di averlo letto). “L’aver penetrato l’anima del più impenetrabile (ndr. Nietzsche) le ha spalancato le porte del successo”. Un’arrivista, insomma. E’ la solita vecchia storia. “Pensa come un uomo”, si diceva di lei. E intanto lei scriveva: “Non conformerò mai la mia vita a dei modelli, e non lo faccio per principio, ma c’è qualcosa dentro di me che brucia, e quel qualcosa sono io”. 

   
L’essersi messa al pari degli uomini, senza promuovere battaglie, lanciare slogan (Salomé non si è mai sentita portavoce del genere femminile, non ha mai considerato l’uomo come nemico), anche attraverso il suo corpo androgino da ragazzo mancato, un corpo moderno e inclassificabile che attrae e spaventa perché rovescia, con la sola presenza, ciò che ci si aspetta da una donna, la promuove da oggetto a soggetto. Considerando l’epoca in cui è vissuta, è già moltissimo. Il fatto che gli uomini di cui si sentiva pari e che tale la consideravano fossero le più grandi menti del suo tempo (e forse per questo non videro in lei una minaccia, piuttosto una risorsa), la rese leggendaria.

   

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Sin da bambina Lou, ultima nata dopo cinque fratelli, cresce circondata (e adorata) da maschi. Il padre, generale dell’esercito russo, stravede per lei. La confidenza naturale con il genere maschile le procura però una prima delusione che segnerà il futuro della sua vita affettiva. Attratta dalla ricerca di Dio, ma più precisamente dal senso della vita, la ragazzina “dotata di prodigiosa intelligenza” si lascia incantare dei sermoni di un pastore luterano al quale scrive, di nascosto, una lettera: “Sono una ragazza di 17 anni cresciuta in una famiglia protettiva che non considera il mio desiderio di conoscenza e non tiene conto del mio punto di vista. Mi sento isolata… e diversa da tutti”. Lui la accoglie, e in gran segreto la inizia alla filosofia e agli studi religiosi, e lei, fiduciosa e riconoscente, si sottopone al suo sapere. Ma il maestro, che ha venticinque anni più dell’allieva, vuole altro. E’ forse da questo episodio che prende forma un rifiuto del sesso che si protrarrà a lungo. La sete di conoscenza si fa invece sempre più ardente e a seguito della morte del padre, Lou lascia Pietroburgo per proseguire gli studi a Zurigo dove ha sede l’unica università con libero accesso alle donne. La madre parte con lei.

  

Ha inizio così la parabola errante della giovane russa, che non ha nulla della dannazione dell’esiliato o del perseguitato, ma è piuttosto frenesia aristocratica di chi sconfina sapendo di poterlo fare. Una tensione intellettuale incessante la spinge a ricercare un modo di essere, di stare al mondo, a costo di spezzare le catene della morale, delle convenzioni, dei conformismi. Liberare l’io sembra la sua priorità: “Non ho la più vaga cognizione di chi sia mai questo ‘noi’ (probabilmente un partito ideale o filosofico) e, per quel che mi consta, conosco soltanto un ‘io’”, scrive a diciotto anni (il concetto di libertà, un faro che illumina Lou sin dalla nascita, avvenuta nel 1861, cioè l’anno dell’emancipazione dei servi della gleba…). Gli uomini eccezionali che incontrerà rappresentano tappe di un percorso di formazione, e non sarà il caso a metterli sul suo cammino, ma la naturale fratellanza fra spiriti eletti che si fiutano e si riconoscono. E’ ciò che deve aver percepito il filosofo Paul Rée dopo che gli fu presentata a Roma, nel salotto di una letterata tedesca. L’intesa è immediata. Cominciano a parlare e vanno avanti fino all’alba, passeggiando fra le rovine.

  

Nietzsche, Paul-Ree, Lou Salome (Confetta/Flickr) 
  

L’indomani Paul scrive all’amico Friedrich Nietzsche che si trova a Messina: “Ho incontrato una creatura straordinaria, devi conoscerla”. Pochi giorni dopo, si danno appuntamento nella basilica di San Pietro, dove Rée è solito rifugiarsi in un confessionale per scrivere, ed è in questa cornice favolosa che Nietzsche vedendo Lou dirà: “Da quali stelle siamo caduti per incontrarci?”. Uno degli uomini più solitari, tormentati e introspettivi, abituato a vagare per l’Europa, rifugiandosi in alberghi dove è il solo e unico ospite (di lui un giorno Lou scriverà: “Era difficile immaginarsi un uomo del genere in mezzo a una folla, portava su di sé il segno di chi resta in disparte, di chi sta da solo”) intuisce che quella ragazza così perspicace è la seguace ideale, perché, a suo dire, nessuno più di lei era pronto a entrare in consonanza con la sua filosofia. (Chiariamo subito un punto: Lou Salomé era bella, indubitabilmente bella, ma ciò che fece perdere la testa a uomini così speciali fu la sua splendente intelligenza, poiché non vi è nulla di più erotico dell’intelligenza). 

   
Lei non potrebbe essere più felice, finalmente può condividere idee, studi e pensieri con qualcuno che “può capire”. Un sogno viene a illuminarla: una grande stanza piena di fiori e di libri. Sullo sfondo, tre porte: le loro stanze. Uniti nella stessa casa, ma distinti, è questa la Trinità ipotizzata da Lou. “Saremo noi tre soli, tre liberi pensatori che gettano luce sopra l’abisso del genere umano”. Un cenacolo di studi e scambi culturali (anni dopo si sarebbe chiamata “comune”) rallegrato da “un andirivieni di amici”. A suggellare la loro unione una fotografia che resterà nella storia: su un carretto trainato dai due filosofi, si erge Lou, armata di frustino. Quindi un breve viaggio verso il nord Italia, attraverso laghi e monti. Questa purezza di intenzioni si infrange per motivi troppo umani; da un lato i pregiudizi branditi soprattutto dalla perfida, puritana sorella di Nietzsche, Elisabeth. Dall’altro lo squilibrio di un ménage à trois che mai avrebbe potuto rivelarsi paritario. Paul e Friedrich si contendono l’amore di Lou, la natura platonica del loro rapporto è una chimera. Entrambi la chiedono in sposa, a entrambi si sottrae rispondendo a una certezza che non l’abbandonerà mai: “Il matrimonio, con il suo contorno di possessività e gelosia, schiavizza lo spirito. Non mi avranno mai”.

    

Dopo tre settimane di convivenza la Trinità si scioglie, ma Lou ha bisogno dei suoi amici e propone una soluzione. Passerà del tempo con uno, poi con l’altro: prima da Paul Rée, a Stibbe, poi tre settimane a Tautenburg, in Turingia, insieme a Nietzsche, immersa in fluviali conversazioni: “Se qualcuno ci avesse ascoltati, ci avrebbe creduti due demoni che dialogano tra loro”, scrive Lou nel diario che redige incessantemente. E par di sentirlo il rumore delle loro menti al lavoro…

 

Lou Salomé ha poco più di vent’anni, e ci viene spontaneo pensare alla fortuna di un incontro simile, ma poi prevale la considerazione che tali doni bisogna meritarseli e che, davvero, tutto ciò che Lou ha ricevuto nella sua lunga vita sia stato conquistato grazie all’indomabile brama di apprendimento, alla consapevolezza che ogni giorno della vita può significare un passo avanti verso la conoscenza, se solo siamo disposti ad accoglierla. Accogliere per restituire. “Io credo che l’unica differenza fra noi sia l’età. Abbiamo vissuto e pensato allo stesso modo. Il cielo mi ha donato voi come consigliera, ora non ho più nulla da temere” scrive il filosofo quarantenne alla ragazza verso la quale, prima di interrompere i rapporti per l’eccesso di rivalità con l’amico Paul, prova sincera ammirazione e riconoscenza. Parlando del suo Inno alla vita dirà: “Un giorno si canterà quell’inno in mia memoria. Il testo non è mio: esso è la stupefacente ispirazione di una giovane russa, di cui allora ero amico, la signorina Lou von Salomé. Chi sa cogliere un qualche senso nelle ultime parole di quella poesia indovinerà perché io l’ho scelta e ammirata: in quelle parole c’è grandezza”. Forse l’übermensch, l’oltreuomo è una donna…

  
E così la giovane russa prosegue il suo cammino esistenziale, andando a vivere a Berlino insieme a Paul Rée con il quale condivide un appartamento ma non il letto. Saranno amici e complici, la condizione imposta da Lou. Questa difesa oltranzista del proprio corpo è materia oscura e affascinante, oggetto di future analisi su un famoso lettino a Vienna. Un convincimento così radicato da non venir messo in discussione nemmeno dall’unico uomo che Lou accetterà di sposare, Friedrich Andreas, un affascinante studioso di lingue orientali dal quale non si separerà mai. Un matrimonio bianco nel quale Lou si rifugia, per sentirsi “ancora più libera”. Un’affermazione apparentemente paradossale che trova le sue ragioni nell’esigenza, anche per uno spirito indipendente come il suo, di sentirsi accettata da una società legata a principi ai quali, seppur non condividendoli, era costretta a sottostare. La rispettabilità dovuta a una donna sposata le consentiva di viaggiare e di muoversi a suo piacimento.

 

Malgrado l’assenza di passione, il matrimonio con Andreas rappresentava la casa in cui rifugiarsi e la certezza di un affetto, che sebbene messo a dura prova, il marito non le fece mai mancare. Di nuovo, è lei a dettare le regole, e fra queste la più dolorosa è quella di non volere figli: “Ci vuole un coraggio che non possiedo”. Nello strano patto di reciproca libertà verrà accettato l’arrivo di una figlia, Marie, concepita da Andreas con la governante, che Lou amerà e proteggerà nominandola sua erede. Sarà proprio Marie la fedele custode dei suoi scritti. E’ stupefacente constatare quanto questa donna sia stata capace di lasciare una scia vitale dietro di sé, come sia riuscita a tessere rapporti fondati sul rispetto e la benevolenza. Leggendo le testimonianze di chi l’ha conosciuta emerge l’immagine di una persona in pace con se stessa, una pace raggiunta senza angosce né paure, come capita a chi trova il suo posto nel mondo. Forse per questo le anime tormentate si sono avvicinate a lei, cercando riparo. Fra tutte, la più sublime.

 
Nel febbraio del 1897, il ventiduenne René Maria Rilke riceve in dono un libricino dal titolo Gesù l’ebreo la cui lettura gli provoca “un’esultanza nel trovare espresso con tale magistrale chiarezza, con la forza immensa di una sacra convinzione, ciò che le mie fantasie epiche riportano in visioni”. Queste le parole rivolte dal poeta ventiduenne a Lou Salomé, autrice del saggio. Sarà la prima di una lunga serie di lettere che compone uno dei carteggi più commoventi della letteratura.

 
Si incontrano a Monaco, una sera di primavera. René è timido, impacciato di fronte una donna adulta (Lou ha trentasei anni), realizzata, che ha già pubblicato romanzi, saggi, articoli, mentre lui passa le sue giornate “in una stanza angusta e in silenzioso lavoro” a scrivere poesie. Nulla sembrerebbe unirli, e invece quella misteriosa energia elettiva di nuovo si accende e li travolge. Nei giorni successivi Rilke comincia a scriverle lettere e poesie d’amore, e Lou, intuendone l’immenso talento, lo incoraggia a scrivere, a leggere, e si adopera per introdurlo negli ambienti intellettuali. Sarà lei a suggerirgli un soggiorno a Firenze “per colmare le tue lacune”, lui la ricambierà dedicandole il Diario fiorentino, frutto dell’esperienza italiana. E ancora poesie e liriche e lettere colme d’amore per la donna che avrà il merito di aver illuminato uno dei più grandi poeti mai apparsi sulla Terra (l’unico, fra tutti, che non riesco a leggere senza piangere). Sarà lei a far nascere Rainer, (“René è un nome troppo femminile, devi liberartene”; e dietro quel nome femminile si cela la presenza ingombrante di una madre che vestiva il suo bambino con trine e merletti), lei a riconoscerne le fragilità, a temperarne le angosce che lo soffocano. Ma il rapporto non è a senso unico: per la prima volta nella sua vita, Lou libera il suo corpo e insieme a Rainer conosce la sensualità. Si ameranno alla follia, incuranti della differenza d’età, del matrimonio di lei, dei benpensanti. 

 
“Un giorno fra tanti anni tu capirai cosa sei veramente per me. Ciò che una sorgente alpina è per l’assetato”.

 
Partono per la Russia, per Lou è un ritorno alle origini, Rainer scopre un popolo che lo affascina profondamente (forse perché lei ne fa parte?), vuole conoscerne i costumi, leggere Tolstoj nella sua lingua e Lou non solo gliela insegna ma lo porterà in visita dal grande scrittore. Bellissimo è il racconto del pomeriggio trascorso insieme a quell’“essere magico i cui occhi brillavano al centro di un viso infelice e guardavano al di là di ogni cosa”. I quattro mesi indimenticabili, fra villaggi di contadini e immense città, culminati con una crociera sul Volga, segneranno una parentesi di pace nel conflitto interiore che per tutta la vita ha lacerato l’anima di Rilke. Il ritorno alla realtà quotidiana spegne la passione, e qualche mese dopo Lou decide di lasciare Rainer: “Se stai male scrivimi”, dice lei, preoccupata per le pericolose derive della sua ondivaga depressione, “consàcrati al processo creativo, anche nella sofferenza, e vedrai cosa sarai capace di fare”. Non si vedranno per due anni. Rilke si trasferisce a Parigi dove trova lavoro come segretario di Auguste Rodin e conoscerà un’allieva dello scultore che diventerà sua moglie, ma presto ha di nuovo bisogno di Lou e torna a scriverle: “Sei stata l’altezza che mi ha benedetto e l’abisso in cui sono precipitato”. E lei risponde, risponde sempre ai suoi richiami che si fanno via via più drammatici: “Perdona se con le mie pene entro nei tuoi giorni chiari. A nessun altro posso chiedere consiglio se non a te, tu sola sai chi sono, tu mi puoi spiegare quello che non capisco, puoi dirmi ciò che devo fare. Tu sai di cosa devo aver paura e di cosa no: devo averne?”.

   

Per tutta la vita Rilke considererà Lou Salomé un riferimento fondamentale, e quando lei comincia, nella straordinaria ultima stagione della sua esistenza, a occuparsi di psicanalisi, deve far fronte a “una delle decisioni più difficili della mia vita”: in una lettera il poeta le chiede se sia auspicabile intraprendere un percorso analitico per alleviare le sue pene. Consapevole che la scrittura di colui che “esprimeva l’inesprimibile” fosse forgiata dal dolore, e che una eventuale terapia ne avrebbe prosciugato la linfa, Lou lo dissuade. Dovendo scegliere fra l’uomo e il poeta, lei salva il poeta. Poco dopo, rifugiato nel castello di Duino, Rilke affronta la sua opera più alta: Elegie. 

 
“Ogni angelo è tremendo”.

  
Non sapremo mai come sarebbe andata se lui si fosse fatto curare, sappiamo che i dieci anni dedicati alle Elegie lo prosciugarono. E sappiamo che Lou fu testimone della sua sofferenza. Come aveva previsto, la tensione che aveva generato il capolavoro produce un fatale contraccolpo, e Rilke lentamente sprofonda. “Allo stesso modo in cui gli angeli delle Elegie affermano la loro presenza, così egli stesso si sentì messo in questione da queste creature”. E davvero, leggendole, si capisce fino a che punto il poeta avesse “travalicato i limiti dell’umano”. 

  
Scorrendo le lettere che Lou Salomé scrisse a Nietzsche, a Rilke, così come le due biografie a loro dedicate (quella sul filosofo è considerata la migliore mai scritta) o i saggi concepiti e pubblicati ben prima che la Psicanalisi vedesse l’alba (uno su tutti, Riflessioni sull’amore, nel quale sostiene che “amare e creare sono alla radice identici” o che “ogni amore è sempre, nella sua profonda essenza, una tragedia”), risulta evidente la predisposizione verso una scienza che la vide pioniera e protagonista (non è azzardato sostenere che Rainer Maria Rilke sia stato il suo primo paziente). Per tutta la vita Lou Salomé si è concentrata sullo studio della psiche umana, e quando finalmente conosce l’uomo che può fornirle gli strumenti che andava cercando inconsapevolmente, capisce di aver trovato un porto in cui attraccare.

  
Nel settembre del 1911, la cinquantenne Lou si presenta al primo congresso ufficiale di Psicanalisi che si svolge a Weimar: “Vi giunsi per puro interesse oggettivo, spinta dalla curiosità che nasce dal sentirsi avviata a fare nuove scoperte”. La curiosità. “Cammini nel vento che trasforma il mondo”, le diceva Rilke, e Lou è davvero come il vento che passa e non si ferma. Le teorie enunciate da Freud durante il congresso sono per lei una rivelazione. Rientrata a casa, studia per un anno da autodidatta, poi scrive a Freud chiedendo l’autorizzazione di partecipare alle sue lezioni. Sono poco più che coetanei, lui la conosce di fama, è affascinato dai suoi trascorsi insieme a Nietzsche e Rilke: “Gentile Signora, l’aspetto a Vienna”. 

  
Basta poco a Sigmund Freud per capire quanto la sua nuova allieva sia propensa alla disciplina analitica e in breve tempo la accoglie nel ristretto gruppo che partecipa alle “riunioni del mercoledì”.

  
Lou è l’unica donna, ma non si lascia certo intimidire. Si presenta puntuale e spesso, durante la riunione, quando non prende note sul suo quaderno rosso, tira fuori gomitoli di lana e si mette a sferruzzare. Non si perde una parola e se lo ritiene necessario interviene, anche quando si tratta di dissentire su ciò che dice il Maestro, che la stima profondamente e ne cerca spesso lo sguardo. “Il mio raggio di sole”, dirà di lei. Ancora una volta l’incantesimo che irradia chiunque abbia la fortuna di avvicinarsi a Lou. Il rapporto con Freud si consolida velocemente, lo psicanalista la incoraggia a scrivere dei saggi e a dare inizio a una carriera di psicoterapeuta, e per darle fiducia le affida l’ultima dei suoi sei figli, Anna, che riteneva essere inibita nei confronti degli uomini a causa di un irrisolto rapporto col padre. Per meglio seguire Anna, Lou si trasferisce in casa Freud per un mese. Inutile dire quanto sia stato importante il legame, proseguito per anni, tra le due donne. La parabola finale di Lou Salomé è consacrata esclusivamente alla pratica della psicanalisi. Non si occuperà più di letteratura. Commentando uno suo saggio sull’erotismo, Freud le scriverà: “Cara Lou, ho letto il tuo studio. Non mi capita spesso di ammirare un lavoro invece di criticarlo, ma questa volta mi tocca farlo. E’ il tuo scritto più bello, la prova involontaria della tua superiorità su noi tutti”.

  
Dopo aver passato giorni a leggere e scrivere di lei, di Lou Salomé, il cui nome viene evocato in funzione dei grandissimi che hanno incrociato il suo cammino, ho capito perché, dopo averla conosciuta, Rainer Maria Rilke le disse: “Vorrei essere te”. 
Forse la più grande, fra tutti, è stata proprio lei.

Spegni i miei occhi, io ti vedrò lo stesso
Sigilla le mie orecchie: io potrò udirti
E senza piedi camminare verso te
E senza bocca tornare a invocarti
Spezza le mie braccia e io ti stringerò
Con il mio cuore che si è fatto mano
Arresta i battiti del cuore, sarà il cervello
A pulsare, e se lo getti in fiamme
Io ti porterò nel flusso del mio sangue.

Rainer Maria Rilke, a 22 anni.
 

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