La città dei vivi di Lagioia è il racconto del delitto Varani e anche la storia di Roma

Il primo omicidio social della nostra epoca, nel libro del Premio Strega del 2015

Michele Masneri

Esce il gran romanzo-verità sul delitto che sconvolse la Capitale e l'Italia C’è dentro Pasolini e Walter Siti, c’è dentro soprattutto la bravura dell'autore che lascia parlare le carte, con pochissimi interventi di raccordo.

Quando un amico ha successo qualcosa dentro di te muore un po’, sosteneva un esperto di successo come Gore Vidal, acerrimo nemico del Truman Capote di “A sangue freddo”: il romanzo-verità che subito viene in mente leggendo Nicola Lagioia sull’efferato omicidio Varani di quattro anni fa (ma pare un’era geologica). Lagioia, che è amico mio, si è buttato su questa storia e non l’ha più mollata e ne ha tirato fuori un libro che ti leggi tutto d’un fiato (cliché supremo, ma in questo caso è proprio vero). “La città dei vivi” (Einaudi) è  la storia di un delitto, quello del povero ma bello Luca Varani, vita perfetta apparente (e invece, probabile marchettaro gay, doppiamente segnato dal destino, prima prescelto in orfanatrofio dalla famiglia romana che lo adotta in Bosnia, poi selezionato tra i contatti che Marco Prato e Manuel Foffo impizzati di coca scorrono su e giù nella rubrica). La fine è nota: il Varani torturato e ucciso, il Foffo si costituisce, il Prato tenta e poi riesce ad ammazzarsi.

E’ la storia anche di Roma, c’è dentro il centro e le periferie, la rarissima borghesia, le vie attorno alla stazione dei tre stelle patetici in cui Prato tenta una prima volta d’ammazzarsi, mettendo Dalida in loop. C’è dentro naturalmente Pasolini e Walter Siti, c’è dentro soprattutto la bravura di Lagioia che lascia parlare le carte, con pochissimi interventi di raccordo, con sms e Whatsapp e commenti Facebook. E’ infatti anche forse il primo delitto social della nostra storia, tutti ci avventammo all’epoca sulle bacheche dei malcapitati. Varani: “spuntino de mezzanotte hhaahaha 250 g di pasta e 130 g di pancietta”, con la i nel testo, e poi una gif di Cenerentola al suo principe, lui le dice: “Non puoi andar via a mezzanotte”, e lei: “Fatte ‘na sega”. E Prato: canotte, ciuffi, berrettini, acconciature, e “new haircut” (ma i capelli erano finti, ed era motivo di depressione, e nel libro c’è un micidiale dettaglio, il toupet sequestrato e inventariato dalla polizia). “Forever young” a petto nudo in qualche pool party.

 

Io pur turbatissimo scrissi un pezzo e poi la lasciai perdere, quella storia, Nicola invece l’ha afferrata e non l’ha più mollata e non si sa come faccia tra il Salone del libro e tutte le altre cose, però che bravo, che invidia. Prato l’avevo intravisto, come tanti a Roma. “Every fucking sunday” era il motto dell’Ahperò, l’aperitivo che organizzava a cento metri da casa mia, e che si teneva ogni maledetta domenica in cima al colle Oppio, luogo imperiale e di imperiale degrado, tra monnezza e disperati notturni e diurni e aiuole seccate e gabbiani giganti, e quella maledetta domenica del marzo 2016 l’aperitivo si fece lo stesso anche se il delitto c’era appena stato. “Ahperò”: sopra la Domus Aurea si consumavano fettine di würstel, popcorn, patatine e frittini, le miserie del finger food nello spleen della settimana che ricomincia. Tutti sapevano, avevano saputo, del fattaccio e pasticciaccio, in quel club con piscina, già segnalata dal sito Degrado Esquilino (ma oggi il locale ha un nuovo nome, si chiama Sanctuary e si è aggiornato al nuovo trend, si fa yoga, tra le canne di bambù e le panche balinesi). Lì Prato officiava, studente fuori corso a trent’anni, organizzatore di eventi, portatore di vasta popolarità settoriale. Campione di una società romana dell’apericena e dello scrocco, mamma francese e papà civil servant, Mykonos e male di vivere e “una certa praticaccia del mondo”, come il commissario Ingravallo di Gadda, altro nome che venne in mente per questo aperitivo con delitto che si svolgeva dietro la via Merulana. E video di pompini per ricatti, e la cocaina e la benzodiazepina, tutto allora stupì e preoccupò e sdegnò, ma oggi è totalmente “new normal” (era prima dei “Baby” e delle baby gang romane che ormai si scannano nella capitale sudamericanizzata e nei sobborghi).

 

Era anche il ritratto di una Roma che pensava di aver visto il peggio: la Raggi era di là da venire, i tombini che scoppiano e i sorci e gli homeless a livelli di San Francisco ancora stupivano. All’epoca anche il delitto sembrò insuperabile in efferatezza, poi sono arrivati i fratelli tatuati di Colleferro e altri ammazzamenti giovanili che forse hanno alzato gli standard. Dunque delitto social ma ormai antico: con tutta quella Roma gay eterna, si fa ma non si dice, omosessuali col culo degli altri, solo dopo il coprifuoco, e 150 euro sono 150 euro, e tutti a precisare, a cadavere ancora caldo, non di essere innocenti o pentiti ma, vivaddio, etero. “A noi Foffo piacciono le donne!, dichiarò non richiesto il povero papà Foffo, e anche la vittima, con un tragico ultimo post sulla bacheca di Facebook: “Dio creò Adamo ed Eva, non Adamo e Claudio”, prima di andare incontro alla sua maledetta domenica (Gore Vidal era venuto a Roma perché i marchettari costavano poco, teorizzava; e anche perché era il posto migliore per aspettare la fine del mondo).

 

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