La statua del generale James E. B. Stuart dell’esercito degli stati confederati rimossa a Richmond, in Virginia, dopo le proteste razziali (foto LaPresse)

La grande crisi mimetica

Michele Silenzi

Alle radici delle tensioni sociali. Il cervello, un’enorme macchina per imitare. Che nasconde però una potenza distruttrice. Rileggere René Girard per comprendere il mondo d’oggi

Si può provare a immaginare un fiume carsico che colleghi tutta una serie di fenomeni, in apparenza piuttosto diversi tra loro, come l’imbrattamento delle statue, una cultura gender radicale, la rabbia e il risentimento crescenti legate alle diseguaglianze economiche, la visione del maschio bianco come il catalizzatore di ogni male del mondo, ecc…?

   

Siamo immersi in un tempo in cui la tensione sociale viene alimentata da un’attenzione sempre più ossessiva dedicata alle diseguaglianze a dispetto di un benessere economico generale mai così diffuso; dal modo quasi maniacale con cui da un lato si sottolineano le differenze di genere, di etnia, di estrazione sociale mentre dall’altro si dice che le differenze non vanno mai sottolineate perché altrimenti si incorre in qualche forma di tremenda discriminazione (ma quindi siamo tutti uguali o tutti diversi? Ah, siamo tutti uguali quanto più diversi; o quanto più siamo diversi tanto più siamo uguali?). La percezione generale è di andare verso un occidente che si vuole sempre più indistinto per non discriminare nessuno, per non generare alcuna vittima, alcun tipo di dolore, e che nella diversità più radicale e propagandata cerca infine di trovare una sorta di nuovo credo che possa dare un senso al mondo, una sorta di eguaglianza radicale che tende all’indistinzione.

   


La percezione generale è di andare verso un occidente che si vuole sempre più indistinto per non discriminare nessuno


     

Chesterton diceva che il mondo moderno è pieno di idee cristiane impazzite. L’indistinzione egalitaria, questa specie di affratellamento generalizzato in cui si desidera non esistano più differenze così che nessuno possa soffrire o essere turbato o essere costretto a invidiare e risentirsi, una radicale neodottrina del buon selvaggio e della tabula rasa, in cui tutte le persone sono potenziali vittime arbitrarie da tutelare e proteggere dai pericoli di una società predatoria. Una tensione quindi alla cancellazione delle differenze (quanto più vengono esaltate!) che offre, inevitabilmente, come perfetto contraltare, come specchio, terreno fertile per tutte quelle dottrine reattive che vanno sotto il nome di sovranismo, nazionalismo, et similia, che fanno delle delimitazioni artificiose, della riesumazione di idee storiche stramorte, il proprio pane quotidiano.

  

Si può andare oltre la semplice e necessaria constatazione dei fatti per provare a capire come tutto questo sta succedendo, quale ne sia la radice culturale o antropologica. Allora ci si potrebbe chiedere, in un tentativo interpretativo, se tutta questa grande e oggettiva crisi culturale che l’occidente sta attraversando non sia altro che una colossale e irrisolvibile, perché siamo privi degli strumenti per risolverla, crisi mimetica.

   

L’idea di crisi mimetica non possiamo comprenderla se non attraverso chi vi ha costruito attorno un’intera teoria della cultura, René Girard, il cui pensiero è in parte raccolto nel gran libro Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (Adelphi): “Tutti cercano di differire allo stesso modo” dice Jean-Michel Oughourlian che nel libro dialoga con Girard insieme a Guy Lefort, “è paradossalmente il desiderio di differire che fa sempre ricadere tutto nell’identità e nell’uniformità” risponde Girard.

   

Per Girard la mimesi è il principio di ogni comprensione del mondo. Fin da piccolissimi impariamo osservando gli altri, attraverso una mediazione stabilita tra noi e chi osserviamo. Tendiamo a fare come gli altri, a desiderare quello che gli altri desiderano e, attraverso questa triangolazione, impariamo. “Se gli uomini, a un tratto, cessassero di imitare, tutte le forme culturali svanirebbero. I neurologi ci ricordano di frequente che il cervello umano è un’enorme macchina per imitare”. La mimesi è quindi alla base dell’intelligenza umana e dell’apprendimento culturale, del desiderio, come pure della relazione con l’altro e della nostra capacità di integrazione. Ma nasconde anche una potenza distruttrice e dissolutrice.

    

E’ evidente infatti che se il mio apprendimento e il mio desiderio dipendono da un modello, presto o tardi potrei vedere quel modello come un ostacolo per la soddisfazione del mio desiderio o per l’appropriazione dell’oggetto del mio desiderio. Così si genera quella che viene definita rivalità mimetica che era ben chiara alle culture primitive che avevano tutta una serie di divieti per arginarla. Divieti che talvolta si avvicinavano a considerazioni quasi magiche sulle figure dei gemelli o sugli specchi, ma che erano in grado di arginare le pulsioni violente generate dalla mimesi d’appropriazione ovvero quella tensione che ci porta a voler possedere gli oggetti desiderati da tutti i membri di un gruppo. La relazione tra mimesi e violenza è già chiara. Quando la rivalità mimetica sfugge di mano conduce infatti a eventi disastrosi, alle crisi mimetiche che rischiano di mandare in pezzi l’intero ordine culturale e sociale in cui si scatenano. “La violenza reciproca è l’escalation della rivalità mimetica. Il mimetismo, quanto più divide, tanto più produce lo stesso.”

     


“Più si esasperano le rivalità, più i rivali tendono a dimenticare gli oggetti che al principio le causano, e più sono affascinati gli uni dagli altri”


    

Le crisi mimetiche sono momenti di massimo caos e tensione indifferenziante: “I fenomeni di violenza, essendo mimetici, sono ovunque identici e identicamente ripartiti in seno alla comunità. Nessuno può assegnare alla crisi un’origine, distribuire delle responsabilità […] più si esasperano le rivalità, più i rivali tendono a dimenticare gli oggetti che al principio la causano, e più sono affascinati gli uni dagli altri. La rivalità, insomma, si purifica di qualsiasi esteriore posta in gioco, si fa rivalità pura o di prestigio. Ogni rivale diventa per l’altro il modello-ostacolo adorabile e odioso, colui che bisogna insieme abbattere e assorbire”. Scomparso l’oggetto che aveva attivato la rivalità mimetica, la crisi, ormai priva di un oggetto ben preciso su cui rivolgere l’attenzione, può crescere a dismisura fino a distruggere tutta la comunità se questa non riesce a riunificarsi polarizzandosi contro un individuo, una vittima arbitraria, un capro espiatorio, nell’assoluta convinzione di aver trovato l’unica causa del suo male. Questo assassinio collettivo costituisce il parossismo della crisi mimetica ma anche la sua conclusione. Da questa violenza emerge il sacro, ovvero la figura della vittima che, prima ritenuta colpevole, viene ora identificata come l’agente in grado di riportare calma e ordine con la sua scomparsa. Emerge così ordine dal disordine, differenza dall’indifferenziazione, nuovi riti, nuovi divieti, e quindi una nuova cultura che è di per sé differenziante perché stabilisce paletti, divieti, riti, in opposizione al momento più caotico della crisi mimetica, momento massimo di indifferenziazione. La cultura è differenza. In questo processo si mostra inoltre “il centro di gravità dei sistemi religiosi” che non si trova nelle minacce esterne del mondo sconosciuto, nelle catastrofi naturali, o nella spiegazione dei fenomeni cosmici ma nella violenza mimetica.

    

Tuttavia, questo processo si regge sul suo stesso misconoscimento infatti il “meccanismo sacralizzante funziona sempre peggio via via che si riesce a scoprire nel fenomeno del capro espiatorio non un rito privo di senso ma una fondamentale propensione negli uomini a liberarsi della loro violenza a spese di qualche vittima” perché “la produzione del sacro è di necessità inversamente proporzionale alla comprensione dei meccanismi che lo producono”.

    

E il momento della storia in cui questo misconoscimento che sta alla base della produzione del sacro subisce un ribaltamento totale è la Passione di Gesù. Egli nei Vangeli viene riconosciuto come vittima di un’ingiustizia manifesta, e la vittima espiatoria si mostra per ciò che è, ovvero una pura vittima che subisce un’ingiustizia radicale, smascherando così il meccanismo della produzione del sacro, ma minando anche la possibilità di tutta la produzione di ordine culturale che a esso si accompagna. Per Girard la figura di Cristo rappresenta l’inizio della possibilità di una religione non-sacrificale, l’unica in grado di spezzare il circolo violenza-sacro che però è a sua volta l’unico in grado di costituire l’ordine sociale in cui arginare la rivalità mimetica.

     


“E’ paradossalmente il desiderio di differire che fa sempre ricadere tutto nell’identità e nella uniformità”, scriveva Girard


      

Il processo di rischiaramento avviato dalla Passione non si afferma subito, come un lampo, ma dura da quasi due millenni. Girard lo vede arrivare a maturazione nella società contemporanea in cui con un successo senza precedenti, all’interno di un ordine culturale estremamente raffinato sotto il profilo simbolico, si gestisce la rivalità mimetica, come concorrenza, entro limiti che rimangono socialmente accettabili e a cui dobbiamo il nostro mondo che è “il più dinamico e il più creatore che sia mai esistito, sotto il profilo dell’arte, della politica, del pensiero e soprattutto della scienza e della tecnologia, tutto ciò che ha costituito inizialmente l’orgoglio di questo straordinario mondo, il suo sentimento di invincibile superiorità, e ormai costituisce sempre più la sua angoscia, poggia indubbiamente sulla ‘liberazione’ del desiderio mimetico”.

    

In una società che ha sempre meno bisogni ma sempre più desideri, e in cui anche la riproduzione della rivalità mimetica si fa praticamente infinita visto che tutto è immagine e confronto e desiderio di apprezzamento, visto che siamo sempre esposti e ci esponiamo al giudizio di tutti in ogni momento, ci sarebbe un’assoluta necessità di argini contro questa tensione mimetica enormemente crescente. Infatti, il desiderio si fa sempre più metafisico, privo di un oggetto preciso e non arginato da alcun rito né da alcun divieto perché non c’è alcun sacro da cui farli emergere. Per cui si fa parossistico, pronto a scatenarsi senza freni, divieti, riti, dando vita a una crisi mimetica senza precedenti: “Il desiderio mimetico produce, insomma, una indifferenziazione sempre maggiore, […] mimetismo che annulla le differenze quanto più avidamente esso le ricerca”.

     

L’oggetto del desiderio scompare e il desiderio tende a diventare un generico desiderio di tutto, di senso, di parificazione, di essere come il mio modello che diviene però anche il mio ostacolo al raggiungimento di quel desiderio (che resta comunque sempre deludente perché incommensurabile! e quindi generatore di risentimento). Un desiderio che non ha confini, e non ha argini alla sua stessa spinta, proprio perché non ha oggetto definito. E allo stesso tempo non ha limitazioni perché non c’è più il meccanismo del sacro a produrle.

             


 Il rischio che questo nulla per cui si combatte possa innescare una sorta di guerra sociale totale per ogni cosa è molto concreto


    

Allora il rischio che questo nulla per cui si combatte possa innescare una sorta di guerra sociale totale per ogni cosa (che è come dire per nulla) è molto concreto, come pure l’affermarsi di un’ossessione egalitarista (azzerare ogni differenza storica, economica, sociale, sessuale) che per provare a disinnescare la crisi mimetica non farebbe altro che alimentarla nel tentativo di spegnere un desiderio metafisico che non ha possibilità né di soddisfacimento né di essere arginato da riti e divieti perché questi ultimi non hanno più alcun orizzonte sacrificale da cui emergere. “Non si può abbracciare Dioniso, come Nietzsche, fuori da ogni rito, senza esporsi allo scatenamento illimitato della mania. […] E’ il desiderio stesso che va verso la follia e la morte se non c’è un meccanismo vittimario che lo riduca alla ‘ragione’, o che generi questa ragione”. La logica si struttura come asimmetria e come differenza, la confusione invece come simmetria e quindi come indifferenziazione. “La struttura psicotica è una struttura di doppi e appartiene, di conseguenza, al tempo pre-sacrificale, ossia al tempo della crisi mimetica, il tempo del disordine strutturato simmetricamente, nell’indifferenziazione. In altri termini, nella psicosi, perlomeno a livello della sua emergenza psicotica, il soggetto non vede la differenza con l’altro. Proprio la perdita di questa differenza rende l’altro il suo doppio e lui un folle”.

    

Una crisi mimetica di simili proporzioni avrebbe come risultato inevitabile la disgregazione sociale. I meccanismi sacrificali ormai del tutto assenti perché usciti fuori dal cono d’ombra garantito dal misconoscimento diventano inservibili come produttori di divieti, riti e cultura, e non si può neppure sperare di resuscitarli, in ottica consapevolmente reattiva, perché quando le forme culturali si dissolvono, provare a resuscitarle artificialmente può portare alle più atroci nefandezze. Il rischio è quello di entrare in un’epoca di puro conflitto senza oggetto, quindi senza possibilità di risoluzione se non quella che potrebbe derivare da un’indifferenziazione caotica e ultra-egalitaria, quindi mortifera, in cui non si possano dare differenze.

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