Umberto Galimberti (foto LaPresse)

Professor Galimberti, ma è proprio sicuro di quello che sta dicendo?

Riccardo Dal Ferro

Chiacchiere da bar in tv. La domanda che si dovrebbe fare

Guardando l’intervista di Marco Montemagno al filosofo Umberto Galimberti si potrebbe vivere la sensazione di venire trasportati su mondi lisergici. Un’ora di fronte al seducente eloquio dell’intellettuale, un viaggio retorico tra i temi più disparati: dalla Brexit alla sessualità giovanile, dal nichilismo della produttività alla critica della scuola, dallo smartphone alla metafisica. Il tutto condito da un interlocutore che non ha mai il coraggio di dire: “Professore, ma è proprio sicuro di quello che sta dicendo?”

 

Durante il soliloquio Galimberti si distacca dall’universo corporeo e le sue parole perdono contatto con la realtà. Secondo il nostro onironauta, il capitalismo induce bisogni fittizi, come ad esempio l’assorbente per le mestruazioni; la filosofia inglese non conosce il pensiero astratto poiché è pragmatica, in barba a William James, Charles Sanders Peirce e David Foster Wallace; la gioventù occidentale è debole perché non si procaccia più il cibo nella natura selvaggia ma aprendo un frigorifero. E, dulcis in fundo, il consumismo è nichilista perché vuole ridurre tutto al nulla. Lo stimato intellettuale presente ormai su ogni palcoscenico culturale che si rispetti inanella una serie di luoghi comuni, chiacchiere e opinioni discutibilissime, da far impallidire il barista sotto casa mia. Ma se il barista dice che gli assorbenti sono un bisogno indotto, ecco che un bel po’ di gente è pronta a dirgli: “Posa il bicchiere, amico”, mentre con Galimberti tutti sembrano assorti mentre pendono dalle labbra della sua infallibilità.

 

I filosofi non sono creature infallibili che possono opinare su ogni cosa impunemente, sono tutt’al più persone che, accorgendosi della propria immane ignoranza (che tutti condividiamo), riescono a parlarne in modo più lucido e affascinante. Vi ricordate? “Sapere di non sapere”, questo sconosciuto.

 

Il soliloquio del professore è il prodotto di questa malattia intellettuale che è il sofismo contemporaneo. Vedo in continuazione eminenti accademici quasi sempre attempati parlare di fronte a centinaia di persone, ma senza parlare davvero a loro: privi di interlocutore, borbottano tra sé e sé le memorie di una cultura sbiadita e orfana del mondo, fatta di luoghi comuni e chiacchiere da caffè letterario. Per il semplice fatto di aver studiato il signor Heidegger mettono naso in ogni argomento: dalla meccanica quantistica alla bioetica, dalla medicina a Elon Musk, pur senza aver mai letto una riga a riguardo. Hanno opinioni su tutto: ambientalismo ed evoluzione, relatività e informatica, ma non ne sanno niente. Così, farfugliano opinioni tra sé e sé, perdendo precocemente l’attenzione di una platea sempre più disillusa che alla fine applaude più per togliere loro la parola che per stima di quanto ascoltato.

 

Galimberti critica la medicina che ha “allungato non la vita ma la vecchiaia”, affermando che vivere 60 anni è più che sufficiente (quando lui ne ha 77: forse ha smesso di contarli?); dice che i giovani d’oggi non fanno più l’amore e sono talmente insicuri da abusare di Viagra e Cialis; conferma perentoriamente che l’umanità è di certo destinata a estinguersi presto. Generalizzazioni estreme completamente prive di argomentazioni o fatti (sono forse troppo pragmatico?).

 

Al mainstream piace questo tipo di discorso: ci fa sentire acculturati poiché ascoltiamo un “grande saggio”, ma non ci fornisce gli strumenti per operare una seria critica al contemporaneo, svuotando le argomentazioni e dandoci solo piccole opinioni da bar di provincia. Ruzzoliamo nella medesima ignoranza di prima, ma ci sentiamo elevati. Ecco allora una critica seria e puntuale al contemporaneo: dobbiamo smetterla di annuire di fronte ai “grandi saggi” e avere il coraggio di interromperli, dicendo loro: “Con tutto il rispetto, è proprio sicuro di quanto sta dicendo?”, imponendo loro di mettersi un po’ in discussione smettendo di borbottare tra sé e sé.

 

Forse torneranno alla realtà e, guardandosi intorno, capiranno che c’è bisogno anche delle loro forze per migliorare il mondo che ci circonda, non certo con le chiacchiere da bar.

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