Come ridurre le pretese di singolarità per un vivere corale. Breviario di civiltà

Marco Archetti

In libreria il “Trattato delle piccole virtù” di Carlo Ossola

Nessuna astrazione, nessun modello, solo il corpo del tempo: è molto chiaro il presupposto che anima il più recente lavoro di Carlo Ossola, autore di questo essenziale Trattato delle piccole virtù (Marsilio biblioteca, 110 pp., €15 euro), breviario di civiltà che, in una manciata di pagine, rivivacizza la nostra circolazione sanguigna e intellettuale, rimaglia i tessuti logorati dalla convivenza vicendevolmente manipolatoria in cui siamo caduti (tutti siamo funzionali e in un’ottica di usa e getta, infine, tutti inutili) e ci rialfabetizza a noi stessi accompagnandoci in un’escursione lieve e forbita tra le pagine dei maestri del pensiero che proprio di questo si sono occupati: di come ridurre le pretese della singolarità in favore di un più armonico vivere corale e di come esercitare quelle piccole virtù comuni, quotidiane, diremmo addirittura feriali, che consentano di “non pesare sulla terra”, di esprimere la nobile arte della discrezione e “del non apparire”; insomma – sintetizza Ossola – “il mondo di Johan Huizinga, di Norbert Elias, di Stefan Zweig”. Volendo definire il salutare esercizio delle virtù comuni si potrebbe dire che sia “quel contegno pieno di riguardo” verso il prossimo e verso noi stessi che ci permette, con disadorna semplicità, di stare al mondo con compostezza, accordandoci gli uni agli altri e suonando note intonate, riducendo a ombra l’ingombrante e perpetua asserzione individuale che siamo – il perpetuo assolo – in favore di una consapevolezza più vigile, più conscia del limite e del suo valore irrinunciabile.

 

Prima osservazione: è un barbaglio di splendida audacia editoriale (in questo mondo di libri tutti funzionali e in un’ottica di usa e getta, infine, tutti inutili) pensare di pubblicare un testo come questo, sommesso e perentorio e mirabilmente anacronistico, ispirato dall’omonimo trattato di Giovan Battista Roberti (Bassano del Grappa 1719-1786), un gesuita letterato che scrisse un simile Trattatello sopra le virtù piccole rivolgendosi alla nipote monaca a Padova. Eppure non è un atto avulso: pubblicato dai Remondini nel 1789, quello di Roberti è un testo che ancora oggi brilla come sintesi di una civiltà europea capace di interrogarsi sui capisaldi, a partire dalla constatazione di Montaigne in merito alla nostra inguaribile natura di esseri “indigens et necessiteux au dedans, notre essence estant imparfaicte” – e non solo imperfetta: difettiva, scalena e incoercibilmente destinata a portare nel consorzio umano questa condizione. Il testo di Ossola, dal canto suo, puntuale e in rima, ha il merito di riproporre il problema e di rigenerarlo: che fare, a fronte di tanta lacuna terribilmente umana? Arginarsi, governarsi, e non solo come necessità ma come continua educazione, come pratica di specularità edotta, di prossimità innervata di coscienza di sé.

 

Seconda osservazione: suddiviso in dodici capitoli (Affabilità, Discrezione, Bonarietà, Schiettezza, Lealtà, Gratitudine, Premura, Urbanità, Misura, Pacatezza, Costanza, Generosità) il testo è letteralmente maieutico e offre al lettore dodici possibilità di misurarsi con la propria inettitudine sociale e con la distanza spirituale da colmare per far di sé un essere consapevole, illuminandolo con un’intuizione che al capitolo 8 gli ricorda quanto ogni virtù non sia ben descritta senza “il contorno d’ombre del vizio che la assedia”. Ed è proprio questo criterio a rendere il testo non un catalogo o un repertorio, ma un vero ragionamento, una visione del mondo che sbircia sempre in alto e che, pur occupandosi delle inefficienze umane, partecipa di un’episteme. Non tragga in inganno la misura di mitezza che attraversa e ispira il libro di Ossola, e soprattutto non la si intenda come una forma di rassegnazione alla battaglia minore, anzi, al contrario: il governo di sé stessi è la base più solida di ogni possibilità collettiva. Il Trattato delle piccole virtù è un inno alla gioia di essere una linea retta verso l’infinito, un grande farmaco per tempi lividi.

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