Foto tratta dalla pagina Facebook del Premio Strega

Metti il Premio Strega a Parigi

Giuseppe Fantasia

All’Istituto Italiano di Cultura in rue de Varenne i cinque finalisti si sono presentati e raccontati aspettando la scelta della giuria. Oggi la serata al Ninfeo di Valle Giulia

Parigi. Il Premio Strega? “Nella storia della letteratura italiana è ineludibile”, ci spiega Nadia Terranova, “è un premio che riesce a mantenere una letteratura di alto livello pur essendo popolare” – ricorda Claudia Durastanti; “da’ onore e senso di responsabilità anche di quello che farai dopo”, aggiunge Benedetta Cibrario. “Ha una parte universale – ci dice Marco Missiroli – perché fotografa lo stato di salute della letteratura italiana dell’anno, e uno personale: ognuno ha i suoi sogni e lo Strega per me lo è, ma non ho mai bevuto il liquore che gli da’ il nome per superstizione”. “È una persecuzione”, invece, per Antonio Scurati, “Non lo faccio per il successo, che in molti casi è il participio passato del verbo ‘succedere’, ma per la gloria. Io quel liquore l’ho bevuto sin da bambino grazie a mia nonna”.

 

All’Istituto Italiano di Cultura in rue de Varenne – nuovo ingresso dopo gli attentati che ha sostituito quella più scenografica in rue de Grenelle – c’è tanta gente, perlopiù italiani, tutti lì ad ascoltare i “magnifici cinque” finalisti al Premio Strega. “Qui remportera le Prix Strega?”, chi se lo aggiudicherà? – recita un cartello poco distante dal giardino di questo splendido hotel particulier.

 

L’Hotel de Galliffet, si chiama così, costruito da Jacques-Guillaume Legrand tra il 1776 e il 1792, già dimora del padre di Eugène Delacroix, poi di Talleyrand e molto amato da Benjamin Costant, Chateaubriand, Napoléon Premier, Madame de Stael e Antoine-Vincent Arnault, dal 1909 è stata la prima sede della nostra Ambasciata e poi del Consolato generale d’Italia. Oggi qui, come ogni giorno, si parla italiano e si respira un’atmosfera molto piacevole, facendoci dimenticare i quaranta gradi e l’umidità che hanno messo k.o. per diversi giorni la capitale francese. Dal momento della sua nomina, il direttore Fabio Gambaro è stato e continua ad essere una sorta di “superman” della cultura italiana qui a Parigi, riuscendo ad offrire alla grande comunità di italiani presenti nella Ville Lumière, e non solo a loro, presentazioni, incontri, convegni, cocktail, appuntamenti, una biblioteca consultabile (la Biblioteca Italo Calvino con più di cinquantamila volumi) e mostre. L’ultima, dal titolo “Raconte-moi une histoire- La jeune photographie italienne” a cura di Laura Serani, si sviluppa tra lo scenografico giardino esterno e gli importanti saloni all’interno. C’è un altro Superman, ritratto di spalle e sul letto da Federica Sasso, uno dei nove fotografi della mostra che – come spiega Gambaro al Foglio – torna a proporre un bilancio parziale e provvisorio, ma non per questo necessario, delle nuove leve della nostra fotografia, sottolineandone la ricchezza, la diversità e l’energia creativa. In questo pomeriggio assolato, all’Hotel de Galliffet, già raccontato dal precedente direttore (Marina Valensise) nell’omonimo libro pubblicato da Skira, si parla di libri grazie al Premio Strega e alla Fondazione Bellonci che hanno organizzato un vero e proprio tour con i cinque finalisti. La sfida è aperta, Antonio Scurati – con M, il figlio del secolo (Bompiani) – è il super favorito, seguito da Marco Missiroli con Fedeltà (Einaudi); Benedetta Cibrario con Il rumore del mondo (Mondadori), Claudia Durastanti con La Straniera (La Nave di Teseo) e Nadia Terranova con Addio Fantasmi (Einaudi). Ma la partita è ancora aperta, almeno fino al quattro luglio quando sarà annunciato il vincitore a Roma, al Ninfeo di Valle Giulia.

 

“Un giorno, camminando con mio padre – ricorda Missiroli - mi disse che non aveva mai tradito mia madre. Lui è un uomo molto timido, me lo stava dicendo forse per non fare la stessa cosa o forse per farla, chissà. È cardiopatico, ha avuto due infarti, una malattia che lo ha assorbito. Il suo è stato il sacrificio della vecchia generazione che aveva una società che favoriva la fedeltà. Quella nuova, invece, è infedele e vive in una società che gli da’ continui stimoli”. “Buzzati – aggiunge - aveva una grande voracità nel fissare l’amore tanto da diventare maldestro”. Quanto siamo fedeli agli altri e quanto a noi stessi?, si chiede lo scrittore riminese, di cui il pubblico e la critica apprezzarono molo il suo Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015). “Buzzati restava nel mezzo, ci spiega, e anche a me interessava restare lì, proprio nel mezzo”. Fedeltà e infedeltà si “respirano” anche a Milano, prossima sede delle Olimpiadi invernali del 2026 assieme a Cortina, la città in cui vive da anni Missiroli, “una città meravigliosa, ma non da sempre”, una di quelle in cui “c’è una democrazia dell’estetica e non una infedeltà della bellezza”. Lì ambienta il suo potente romanzo, in cui gli affetti familiari con le loro complessità vanno ad incrociarsi con quelli cittadini, il passaggio da una generazione del dopoguerra, concreta, saggia, idealista e compromissoria – alla quella incapace di trovare senso all’esistenza se non attraverso un’impossibile, creativa, deresponsabilizzante realizzazione individuale.


Suo “gran rivale” è Scurati, che è andato a ricostruire la vita politica di Mussolini. “Credo nella letteratura come forma superiore della conoscenza”, ci spiega. “La storia del fascismo, della sua fondazione e della conquista del potere, è stata raccontata in migliaia e migliaia di libri da storici di professione, ma mai entro la forma del romanzo, eminentemente democratica da parte di uno scrittore del periodo successivo alla guerra che il fascismo stesso non lo aveva subito”. “La rinascita del romanzo francese lo si deve ad una generazione del dopo”, aggiunge, “gli ultimi sette Goncourt che raccontano le tragedie dell’ultimo secolo, lo dimostrano. Noi generazione del ‘dopo’, sentiamo il bisogno di storia e andiamo alla ricerca perduta della storia stessa”. “Ho scelto di 'cronachizzare' la storia – precisa – perché viviamo confinati nella dimensione temporale del presente. Siamo sotto la dettatura e la dittatura della cronaca, ma viviamo, lo ribadisco, solo nel presente. Ho cercato di ritrovare il sentimento della storia, ho voluto raccontarla come una cronaca immergendo il lettore nel farsi degli eventi facendo entrare il lettore nella forca di Mussolini. Volevo raccontarlo nell’istante stesso in cui diveniva ciò che sarebbe stato”. M, il figlio del secolo è “un romanzo documentario”, come ce lo definisce l’autore, già due volte finalista allo Strega, entrambe le volte arrivato secondo (una volta ha perso per un voto), perché nessuno degli avvenimenti o personaggi come le parole presentate sono stati inventati. Non c’è nessun dialogo di invenzione. Lo scrittore ha “solo” dato il suo contributo che è stato decisivo. “Nel momento in cui la storia c’è stata, i destini sono stati compiuti e non possiamo riavvolgere i nastri della storia e impedire che il fascismo conquisti il potere, ci sei tu che la racconti secondo scelte d’invenzione non arbitraria a partire proprio dai personaggi. Ne racconto sette su centinaia, un margine ristretto, ma è decisivo”. “L’arte e la letteratura sono – continua - una forma superiore della conoscenza. Mi auguro che questo libro possa contribuire a una nuova generazione cosa sia stato il fascismo, ne sento la responsabilità. Per il 99 per cento è una palestra di antifascismo, per l’un per cento è un rispecchiarsi in Mussolini, ma per fare questo, dovevi essere fascista già da prima”.


Con “Il rumore del mondo”, Benedetta Cibrario potrà essere la vera sorpresa a questo Strega. Ambientato nel diciannovesimo secolo, ci racconta la storia di Anna, una donna inglese che arriva in Italia, una donna che si ritrova un universo che non è il suo, arrivando dall’Inghilterra – che nel 1838 è di una modernità assoluta – in Piemonte, dove è ancora forte la presenza di Napoleone. E’anche la storia di generazioni che si incontrano e si scontrano, una guerra tra classi sociali e famiglie, il racconto di dinamiche familiari a cui da sfondo un mondo in continua mutazione a cui contribuiscono le campagne, vere protagoniste di quel rinnovamento. Anna è un gran personaggio femminile, “una donna che ho voluto ricca ed indipendente sin dall’inizio”, ci spiega l’autrice che da diversi anni vive a Londra. “Renderla ricca voleva dire renderla libera. Il denaro in questo caso serviva ad affrancarla”. Leggendolo, il rumore dei telai, delle industrie, dei tamburi di guerra faranno il loro gioco assieme ai pensieri degli uomini e delle donne, ai desideri e alle speranze. Non vincerà, ma a detta degli “strateghi dello Strega”, un secondo posto potrà sorprendere i più.  

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