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Una card per i libri. L'incentivo alla lettura che darà fastidio ad Amazon

Stefano Monti

Stanziato un milione di euro. Ma sconti limitati al 5 per cento

Venerdì scorso è stato pubblicato il Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari recante “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura”. Tali disposizioni, che rappresentano una proposta di legge composta da 13 articoli, introducono alcune modifiche alla normativa attuale al fine di, in ordine, diffondere l’abitudine alla lettura, promuovere la frequentazione delle biblioteche, valorizzare e sostenere le buone pratiche di promozione della lettura, valorizzare e sostenere la lingua italiana, valorizzare la diversità della produzione editoriale, promuovere la formazione continua, promuovere la dimensione interculturale e plurilingue, prevedere interventi mirati per specifiche fasce di lettori e promuovere la dimensione sociale della lettura.

 

Sono questi gli obiettivi perseguiti dalle Disposizioni, il cui scopo dichiarato è quello di introdurre innovazioni in differenti aspetti legati alla lettura e alla promozione della stessa.

 

Ora, è fuor di dubbio che la lettura, in Italia, vada promossa. Il livello “culturale” del nostro paese (e non in termini di titoli di studio, ma in capacità di comprendere con lucidità il mondo che ci circonda) è evidentemente sempre più basso. Il ruolo sociale e politico della cultura è proprio questo: abilitare l’evoluzione della società attraverso la formazione di una cittadinanza sempre più attenta. Anche se con la sola lettura non è possibile ottenere un risultato di questo tipo, essa rappresenta una delle più grandi risorse culturali su cui fondare le basi per una civiltà più adatta al nostro tempo. Plauso, dunque, a tutte le iniziative che vadano in tal senso, anche quando, come in questo caso, le iniziative sollevano molteplici perplessità.

 

Scorrendo le disposizioni, ci sono due elementi, in particolare che catturano l’attenzione: la costituzione di una “card per le librerie”, e le previsioni legate alla scontistica sui titoli. Sebbene le perplessità non si esauriscano a queste due disposizioni, vale la pena approfondire questi aspetti perché possono essere rilevatori di un atteggiamento che pervade l’intero testo.

 

All’articolo 7 si legge: “Per contrastare la povertà educativa, l’analfabetismo di ritorno e la diminuzione del consumo di libri e per promuoverne l’acquisto, a decorrere dal 1° gennaio 2020 è istituita, con importo iniziale di 1.000.000 di euro, una carta elettronica per le librerie. La carta può essere utilizzata entro un anno dal suo rilascio per l’acquisto di libri, anche digitali, muniti di codice Isbn”. Una simile disposizione è l’espressione di un pensiero chiaro: alla base della scarsa lettura c’è una ragione economica. Stimolando il consumo attraverso una apposita card, quindi, i lettori aumenteranno. Bene.

 

Poco più avanti, però, l’articolo 9 introduce delle indicazioni le cui premesse vanno in tutt’altra direzione: “La vendita di libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, è consentita con uno sconto fino al 5 per cento del prezzo apposto […]. I limiti massimi di sconto […] si applicano anche alle vendite di libri effettuate per corrispondenza o tramite piattaforme digitali nella rete internet”.

 

L’approfondimento di questi due articoli pare rilevare un razionale differente da quello dichiarato. A essere oggetto di promozione non è “la lettura” ma “i rivenditori fisici di libri”. Come altro spiegare la costituzione di un fondo “da spendere in libreria” e la contemporanea riduzione degli “sconti”?

 

Se al centro dell’interesse ci fosse la lettura, allora bisognerebbe ricordare che un modo per garantire che tutti possano accedere alla conoscenza esiste già, e si chiama “biblioteca”. Ancora, se al centro delle disposizioni ci fosse la promozione della lettura “per tutti”, al punto da destinare risorse economiche da spendere in libreria, perché penalizzare i lettori riducendo il livello massimo di sconto?

 

Chiamiamo dunque le cose con il proprio nome: queste disposizioni sono semplicemente anti Amazon. Che sia legittimo o meno favorire una categoria rispetto a un’altra non è oggetto di questo articolo. Quel che conta non è tanto se sia giusto, quanto piuttosto se sia utile.

 

Se l’obiettivo era quello di favorire quegli operatori che, nelle attuali condizioni di mercato, si trovano in difficoltà, non avrebbe avuto più senso investire questi fondi in attività volte a innovarne il business model? O davvero crediamo che questi palliativi risolveranno il problema editoriale italiano?

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