Oscar Wilde con Alfred Douglas, detto Bosie (Foto Wikipedia)

Amore che non osa

Simonetta Sciandivasci

La damnatio memoriae non dura mai per sempre (si spera). Da Bosie a Spacey

Il Bosie di Oscar Wilde è morto 73 anni fa e ci è ancora antipatico. Per colpa sua, pensiamo, Wilde finì in galera, e poi in povertà, e poi in disgrazia. Fosse stato almeno un buon poeta ma no, neppure quello, pensiamo: era un lacchè, un vanesio e un approfittatore. Era come l’ha interpretato Jude Law in “Wilde”. Era come ce lo siamo fatto raccontare dallo stigma che ha avuto addosso sempre. Tutto sbagliato. “Bosie la viperetta è stato senz’altro migliore come poeta che come uomo”, ha scritto Silvio Raffo nell’introduzione a “L’amore che non osa” (Elliot), la raccolta di cinquanta poesie di Lord Alfred Douglas, Bosie per gli amici, per Oscar, per i nemici, per chi ha raccontato la sua storia.

 

Che è questa: nella primavera del 1892 incontra Oscar Wilde, che se ne infatua e lo porta con sé ovunque (è già uno scrittore affermato e anche un marito, un padre di famiglia). Si tirano e si mollano sempre, per sempre, anche dopo i due anni terrificanti che Wilde passa in carcere, nonostante gli amici di entrambi facciano di tutto per separarli. “Comunque possa essere stata la mia vita dal punto di vista etico, è sempre stata romantica, e Bosie è il mio romance”, scrive Wilde, che muore non molto tempo dopo, vedovo, senza essere riuscito a riabbracciare i figli, la fama, le cose di prima.

 

È il 1900. Bosie vive altri 45 anni e tutto quello che gli capita sembra essere un calco della vita di Wilde: “C’è una sorta di allucinante simmetria che lega le due biografie”, scrive Raffo. Perché Wilde ebbe un matrimonio infelice e anche Bosie: nel 1902 sposò Olive Custance, una poetessa lesbica con cui ebbe un figlio che presto finì rinchiuso in un ospedale psichiatrico con la diagnosi di schizofrenia. Un usuraio gli intentò una procedura di fallimento e perse tutto. Rimase presto vedovo. Finì in carcere per aver accusato Churchill di essere stato complice della congiura ai danni del Segretario di Stato ucciso in Russia, durante una missione diplomatica risalente alla Prima guerra mondiale. S’ammalò di depressione.

 

Questa seconda parte della sua biografia è quasi sconosciuta, essendo non funzionale al ritratto del carnefice di uno dei più amati scrittori inglesi, dell’amore estetico e distruttivo tra docente e discente. Un ritratto che ha compromesso e distorto anche e soprattutto la ricezione della sua produzione poetica. Raffo, invece, scrive che fu un grande poeta: George Bernard Shaw lo definì addirittura “il miglior compositore di sonetti dopo Shakespeare”. Magari la poesia non v’interessa, però sentite come Bosie descrive un cielo notturno nuvoloso che, a un certo punto, si apre: “Una luna perfetta vince sul vuoto”. Sembra una canzone di Vasco Brondi. Lo stronzetto ha passato la prova del tempo. Avrebbe mai potuto, dopotutto, uno come Oscar Wilde innamorarsi di un fesso completo?

La produzione di Douglas è stata dimenticata appena dopo la sua morte, in Italia non esiste nessun lavoro critico su di lui (non che in Irlanda e Inghilterra vada assai meglio). Succede spesso a un artista che come ha vissuto, cosa gli è capitato, chi ha amato o odiato, cosa ha sbagliato nella sua vita privata, dirotti la sua fortuna. In questo caso, ci sono voluti 73 anni perché si accendesse la curiosità di qualcuno abbastanza da rimettersi sul sentiero deviato e ritrovarne l’autore.

 

Chissà quanti altri autori abbiamo sottovalutato o perduto. Chissà quanti stigmi abbiamo perpetrato. E, di converso, chissà di quanti altri magnifichiamo l’opera anche se vale poco o vale niente, però ci sembra valida la sua vicenda umana. Bosie ha pagato il caratteraccio ambizioso, la vanità, l’essersi ficcato in un amore tra ìmpari per trarne profitto, e talento e ispirazione. Gli sono stati presentati due conti: la sorte (il karma, per chi ci crede) che gli si è rivoltata contro e la damnatio memoriae, nella quale l’umanità ciclicamente si produce con dosi di impegno variabile.

 

L’anno che è stato, questo del #metoo, ha spesso assunto gli stessi connotati insopportabili del vittorianesimo che strangolò Bosie e Wilde ed è interessante che sia proprio questo l’anno in cui a Bosie viene data una chance, la sua prima chance. Dev’essere un caso, uno di quei casi di cui possiamo approfittare per intravvedere che il destino si manifesta e si compie, sempre e comunque, prima o poi. A un certo punto, le accuse crollano, la storia le scorda e toglie i bavagli e le voci dei migliori tornano a farsi sentire. Non c’è modo di tacitarle. Ci riprenderemo anche Kevin Spacey? E certo che sì. Speriamo non tra 75 anni.

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