Richard Ford in visita alla sede del Corriere Della Sera (foto LaPresse)

Lo scrittore e il suo doppio

Michele Masneri

Richard Ford, l’americano tranquillo e il Clint Eastwood della letteratura. Che condivide tutto con la moglie

È sbarcato a Capri per il premio Malaparte. Sembra un presidente in pensione, o un attore. “Intellettuale è una brutta parola in America”

Dritto dritto, l’occhio ceruleo, la giacca da americano tranquillo, Richard Ford sbarca a Capri per ricevere il premio Malaparte. Lo scrittore americano settantaquattrenne è accompagnato dalla moglie Kristina, che lui ringrazia ogni trenta secondi (“devo tutto a lei”, “è lei che mi ha salvato la vita”, dice lui. Loro scrivono, leggono, vivono insieme, nel Maine). E viaggiano. E mangiano pochissimo, lei seleziona per lui il cibo in questo lunch al leggendario Quisisana, prova la torta caprese, sbocconcella una crostata, gliene dà un boccone e poi gliela toglie, tipo assaggiatrice in cerca di veleni. Poi gioca nervosa tutto il tempo con le mani ingioiellate di sobri brillanti, e un perfetto taglio di capelli. Lui sembra un presidente americano in pensione, o un attore. Non certo uno scrittore. Fa comunque di tutto per non averne l’aria. “Intellettuale, è una brutta parola in America sapete? Peggiorativa!”, dice, mangiando ciò che la moglie ha scrutinato. Tutta questa gentilezza con la sua Kristina sarà sospetta, forse lei ha appena chiesto il divorzio, oppure semplicemente è un risarcimento perché lei tanti anni fa gli ha chiesto: che farai da grande? Lui ha risposto: “Penso che farò lo scrittore”. Lei: “Ok, allora io lavorerò e tu resterai a casa a scrivere. E così è stato”.

  

Lei ha rischiato ma ha azzeccato l’investimento, e lui ora la ripaga in felicità e gentilezza. Si sono conosciuti a scuola, lui 19 anni lei 17, lui perduto e sperso (ansioso, depresso, incerto, lei evidentemente il contrario). “Mi sono detto: se uno non può stare sposato con lei, non può stare sposato con nessun altro”. Son marito e moglie da cinquant’anni. Oltre a dedicarle tutti i libri e citarla forsennatamente e usare la prima persona plurale (“noi abbiamo fatto, noi abbiamo letto, noi siamo stati”), sembra abbiano tecniche di sopravvivenza matrimoniale da copiare. “Quando c’è una buona notizia la festeggiamo subito, il giorno stesso”. Serve poi una certa intelligenza coniugale, ha detto in un’intervista. “Una delle caratteristiche del matrimonio è che rende il tuo consorte un costante bersaglio. Ma devi girare la cosa: il tuo sposo dev’essere colui che ti rende felice, non infelice”. Altri trucchi: “Quando lui è di cattivo umore, le comunica: sono di cattivo umore, non parlarmi fino alle 12”. E poi non aver figli. Una volta Ford ha detto che odia i bambini. Poi si è corretto, “non è che odio i bambini, semplicemente quando ci siamo sposati nel 1968 eravamo molto determinati a diventare ciò che volevamo diventare, e procreare sarebbe stata un’ottima scusa per non raggiungere i nostri obiettivi”. Lei si tocca i diamanti e sorride. Sarà l’aria buona del Maine o il regime familiare-militare, o l’assenza di prole, ma tutti e due sono bellissimi, due settantenni da competizione. “Gioco a squash, che vuole, non posso essere proprio completamente sfasciato in campo”, dice lui. E’ a Capri per ricevere questo fondamentale Malaparte, premio inventato dalla mitologica Graziella Buontempo e ripristinato dalla nipote Gabriella; e per ritrovare le orme di Graham Greene, uno scrittore che gli piace molto, dice: uno capace di scrivere “romanzi filosofici che parlavano della vita e della morte però con le spie, romanzi molto divertenti!”.

   

Oltre a dedicarle tutti i libri e citarla forsennatamente, sembra abbiano tecniche di sopravvivenza matrimoniale da copiare

Anche Ford voleva essere una spia, ha provato a entrare nella Cia, studiava d’essere poliziotto, ha fama di manesco, un po’ ruvidone un po’ gentiluomo del sud. Faulkneriano. “Oh sì, Faulkner l’ho incontrato, era l’autunno 1961, era piccolo, forse ubriaco e molto timido, ben vestito, ed è tutto quello che mi ricordo. Però non avevo ancora letto nessuno dei suoi libri all’epoca”. Carver? “Era il mio più caro amico, conosciuto a una conferenza in Texas, aveva solo pubblicato il suo primo libro e io lo stesso, ci siamo proprio innamorati, era un uomo molto divertente, irresistibile, uno scrittore meraviglioso. I miei genitori e i suoi venivano dagli stessi posti. L’ho conosciuto nel 1977. Stava diventando famoso e abbiamo vissuto tutta la sua ascesa. Mi ha presentato ai suoi editori e io gli ho presentato il mio agente, lui stava cercando di scrivere racconti e io romanzi. Poi sapete, da noi non c’è questa competizione tra scrittori come qui da voi. C’è quella storia famosa di Fitzgerald: se le cose vanno bene a me, il mio amico deve far male. Ma non vanno così le cose in America”. Che buono questo Ford. E Capote l’ha mai incontrato, gli si chiede per carineria, dovrebbe essere un santino per gli scrittori del sud. Per carità. Alza il sopracciglio. “No, mai, e come avrei potuto, era una celebrità, inavvicinabile. Ma ho letto i suoi libri, racconti, certo, i suoi reportage, anche se non c’era molto da leggere, tutti quei libri sui ricchi”. Ma come. “Era una di quelle persone famose per essere famose. Uno dei primi. Ha anticipato Paris Hilton”. Povero, non è molto gentile nei confronti dell’autore di Colazione da Tiffany. Eravate quasi conterranei, tutti e due del Mississippi. Niente. Va avanti. “L’ha mai visto in televisione nei suoi duelli Capote? Era lui che non era gentile con sé stesso” (madonna!).

  

“Faulkner l’ho incontrato, era l’autunno 1961, era piccolo, forse ubriaco e molto timido, ben vestito, ed è tutto quello che mi ricordo”

E Saul Bellow? Peggio mi sento. “Oh sì, l’ho incontrato, ed è stato effettivamente memorabile, per quanto lo avessi eliminato dalla memoria. Stavo per avere la McArthur Grant, ma mi chiamano un giorno e mi dicono che ce l’avevo quasi fatta. Ma Bellow si è messo di mezzo, perché secondo lui ‘il cielo è troppo basso nei miei romanzi’. Qualche anno dopo il proprietario della New York Review of Books dà una festa al Lincoln Center, e io mi imbatto in Bellow, lo saluto, gli dico “Buonasera signor Bellow, sono Richard Ford”, e lui dice “ah sì, la stimo molto come scrittore”, e io allora ho il mio momento” sogghigna Ford (qui allora sale la suspense: ci si aspetterebbe almeno un ceffone, un pugno, da parte di quest’uomo che ci tiene così tanto a rappresentarsi come il Clint Eastwood delle lettere americane. Una volta ha sputato in faccia a Colson Whitehead che aveva scritto male di un suo libro. Quindi ci si aspetta almeno un destro. Lui si prepara la storia, si vede che è un suo cavallo di battaglia. “Gli rispondo: no, non è assolutamente vero, lei dice che il cielo è troppo basso nei miei libri, ma non è proprio in Dangling Man che c’è un cielo molto basso?”. Lui ride soddisfatto, noi giornalisti ridiamo bovinamente senza capire a che libro si riferisca, che sarà mai ‘sto Dangling Man, è poi L’uomo in bilico, dice il primo che ha googlato. Lui, stupito: “Bilico?”, gli piace la parola, dice che sembra “basilico”. Però l’aneddoto è rovinato. Poi se ne va perché deve tenere una conferenza in municipio di Capri, gremito di pantaloni bianchi e nappine e Rolex. Da bravo americano si è preparato tutto un discorso molto professionale sulla “new intelligence”, che non è un servizio di controspionaggio ma una definizione di Umberto Eco, da una vecchia intervista sulla Paris Review che gli è piaciuta molto e “la faccio leggere spesso ai miei studenti alla Columbia”. Gli piace l’Eco narratore, “quando parla di libri”, non certo l’Eco semiologo che “per carità, non ne avrei le basi, non sono preparato in questi settori”, dice Ford, non sia mai essere scambiato per un pericoloso intellettuale.

   

E poi, nella serata in suo onore, si informa con Stefano Eco, con barba, ormai sosia del padre, “cosa vuol dire essere figli di qualcuno con un nome?”, lui che non è figlio di nessuno, figlio cioè di quelle sconosciute figurette che ha messo nel libro per cui è premiato: “Tra loro” (Feltrinelli come tutti gli altri). Papà venditore di amido per bucato nel sud, tra Roaring Twenties e Grande Depressione, tra Mississipi e Arkansas, bevute e desolazione e anche felicità. Si informa cosa voglia dire, lui scrittore senza discendenza, con un cognome da automobile, figlio unico di genitori persi recuperati nella sua biografia, anche con Chiara Barzini, giurata del premio, a questo party favoloso dove poi si va tutti, dal grande Gatsby di Tragara, Michele Pontecorvo erede delle bollicine Ferrarelle, che riunisce in villa Carlo Feltrinelli, i Valsecchi, Myrta Merlino col calciatore Tardelli, tanti tra industria letteraria e industria semplice giunti da Roma e Milano con ogni mezzo di mare e di cielo, per complimentare Ford e assaltare i favolosi timballi e sartù. Aleggia il fantasma di Inge, naturalmente. “Sento la sua voce che mi dice: don’t be boring, non essere noioso!”.

  

   

Anche alla festa lui è lì, buono buono, su una sediolina, con la sua Kristina accanto, risponde a tutte le domande che normalmente la gente si permette di rivolgere solo agli scrittori, gentilissimo con tutti. Probabilmente rispondere ad ogni quesito con gentilezza è eredità del papà venditore di amido e/o fa parte di questa visione di letteratura atletica-aristocratica e anti intellettuale cui lui tiene così tanto. Sentirlo parlare di libri è come sentir parlare Don Draper di un nuovo prodotto da lanciare sul mercato. Quando scrisse Canada, uno dei suoi più grandi successi, ricorda che raccontò il plot al suo editore: “Un ragazzino costretto ad attraversare il confine tra Stati uniti e Canada contro la sua volontà”. E l’editore dice ‘oh, mio Dio. Non gliene frega niente a nessuno del Canada e del ragazzino che deve attraversare il confine contro la sua volontà’. Io mi dico solo: aspetta, aspetta e vedrai”. Per lui la nuova intelligenza, cioè poi la letteratura, è questo: “Presentare una nuova cosa che tu non avevi immaginato potesse accadere partendo da un presupposto preciso”.

  

E per scrivere come fa? “Oh, non sono famoso per essere molto disciplinato, ma alla fine un po’ di disciplina serve. Una volta mi sedevo alla scrivania alle otto, adesso più tardi, alle nove e mezzo, e poi bisogna mettere in conto i quarantacinque minuti di furia contro il Presidente che tutti in America spendiamo ogni giorno”. Poi finalmente si lavora. Adesso è alle prese con due libri, uno “comico”, e una raccolta di racconti. Recensioni non ne legge mai. “Cristina e io abbiamo un sistema. Nel 1989 mi capitò di leggerne una bruttissima sul New York Times, e sono rimasto arrabbiato per giorni, e quando siamo tornati a casa, lei mi ha detto: tu non sei mai davvero contento quando leggi una buona recensione, e invece ti imbestialisci quando ne leggi una cattiva. Dunque perché semplicemente non smetti di leggerne?”. Così adesso è lei a leggerle e a sottoporgli evidentemente solo le parti succulente, come col cibo. Forse così gli evita anche risvolti penali: oltre allo sputazzo a Whitehead, un’altra volta la protesta fu contro la scrittrice Alice Hoffmann, rea di aver scritto negativamente di lui; Ford prese un fucile, sparò a uno dei di lei libri e poi glielo spedì in busta chiusa (Ford disse che era stata la moglie Kristina, ad averlo usato per il tiro al piattello).

   

È alle prese con due libri, uno “comico”, e una raccolta di racconti. Di scrittori di oggi che gli piacciano non si riesce a cavargli un nome

Per il resto la vita scorre placida nel Maine. “Leggiamo molto. Kristina che è urbanista mi dà libri da leggere continuamente, molti libri di architettura che sono molto interessanti, per capire dove e come vive la gente. E poi ho ancora così tanto da leggere, non essendo io molto istruito!”, fa il tenerone lui. Di ogni libro prendono due copie, che leggono in contemporanea, ma lei naturalmente “è molto più veloce”. E poi “leggiamo tanta poesia, ci piace tanto”, dice lui sempre nel plurale fordiano; la poesia ha molto influsso sui suoi libri, sulla lingua; ma non ne ha mai voluto scrivere, perché “con la prosa ci son molte più parole con cui lavorare!”. Di scrittori contemporanei che gli piacciano però non si riesce a cavargli un nome. Si prende coraggio. Questo suo libro, Tra loro, per cui viene premiato, e anche un po’ Canada, ci ricordano le Correzioni di Franzen (Ford ha finito di mangiare, sta mettendosi in posa per delle foto, guarda verso la piscina azzurra come i suoi occhi. E’ poi la celebre piscina di Fantozzi a Capri). “Ah, che bravo scrittore, mi piace molto Franzen”, dice, perfido. “Però le Correzioni sa che non me le ricordo del tutto? Che lungo quel libro”. Un po’ complicato, forse. “Complicato, sì, bravo. E lento. Mio Dio, ma chi l’ha mai finito?”.

 

Di italiani ha letto naturalmente Calvino al liceo, poi Tabucchi, e si è preparato su Malaparte. “Abbiamo letto Kaputt”, che però lo lascia scettico perché nell’edizione americana, dice, l’introduzione è molto critica, ne viene fuori che Malaparte è un po’ un namedropper fanfarone. E poi le posizioni politiche: quelle proprio Ford non riesce a capirle. Però gli piace molto la scena dei cavalli congelati nel lago, e “wow, se riesci a scrivere una scena come quella sei un grande scrittore”. “I romanzi, sapete, sono molto forgiving, se scrivi una scena buona si fanno perdonare qualunque cosa. Ci sono delle cose che vogliamo fare, e speriamo che le cose migliori sostengano il resto del libro. Tutti gli scrittori ragionano così”. “Moralmente è un romanzo complicato”, riflette, “che sento che mi compromette; ma in fondo questo è quello che devono fare i romanzi”, dice Ford con il suo ghigno gentile e l’aria da spia, prelevato dalla moglie Kristina perfettamente in equilibrio tra le vie di Capri, pur con gli stivaletti a tacco alto e vagamente sadomaso.

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