Manoscritto miniato del XIV secolo

Se ti self pubblichi poi vendi?

Stefania Vitulli

Indagine tra successi di mercato (e sogni rimasti nel server) su un fenomeno consolidato che non ha ancora cambiato l’editoria. Numeri e progetti. Amazon, Kindle e gli altri

Si citano sempre gli stessi nomi: E. L. James o Amanda Hocking (scrive paranormal romance e titoli young adult, roba da milioni di copie)

Partiamo dal presupposto che la digitalizzazione di un servizio spesso significa dover fare da privato e gratis (cioè senza che ti paghino) quello che mediamente prima faceva un altro gratis (cioè senza che pagassi tu) perché prendeva uno stipendio da un’azienda o da un ente pubblico. Detto questo, possiamo parlare di self publishing online, o autopubblicazione digitale, con la mente un po’ più sgombra da sogni di gloria fatti di migliaia di lettori, primi posti in classifica, commenti a cinque stelle ed elezione a libro del mese. E meglio connessa, in tutti i sensi, al dato di fatto che immergersi in questo mondo significa prima di tutto “sporcarsi” le mani con la pseudoscienza del marketing pur essendo, si presume, degli “autori”: cioè persone che al sentir nominare la partita Iva dovrebbero avere un immediato attacco di sordità selettiva. Gli americani, che di narrativa sia alta che commerciale hanno fatto un pezzo importante dello show business, non hanno mai smesso di martellare gli esordienti con l’imperativo: “Fatti un agente letterario nell’istante stesso in cui hai non dico l’idea per il primo capitolo, ma, visto che ormai i romanzi si scrivono al cellulare, i primi due paragrafi da postare su Wattpad”. E un agente letterario che creda davvero in te non ti permetterebbe mai di autopubblicarti.

   

Detto anche questo, diamo retta a chi dice che ormai il self publishing è, più che una tendenza, una curva di mercato consolidata, che è sicuro quanto la pubblicazione tradizionale e dà le stesse garanzie di successo e soprattutto che non è più una pratica da sfigati, perché ormai lo fanno tutti, soprattutto quelli famosi, o lo hanno fatto in passato di nascosto, ma invece ora ne vanno orgogliosi. Poi però questi stessi guru del selfpub citano sempre gli stessi nomi: E. L. James o Amanda Hocking (scrive paranormal romance e titoli young adult, roba da milioni di copie, comunque). O al massimo fanno excursus nel passato per scoprire che anche Proust, Joyce e Beatrix Potter, dopo il millesimo rifiuto, pagarono per farsi pubblicare. Alcuni comunicati stampa di mezza estate invece parlavano di autopubblicazione come “fenomeno di massa in Italia”, con oltre 30 mila libri autoprodotti nel 2017, facendo riferimento al marchio che sempre più, da “semplice” distributore, ambisce trasformarsi in editore, ovvero Amazon. Chi conosce un po’ l’ambiente editoriale sa che Amazon non ama sfornare dati, ma stavolta qualche numero lo hanno estratto: autori ed editori indipendenti hanno guadagnato oltre 220 milioni di dollari di royalties solo dalla loro partecipazione al programma Kindle Unlimited, dicono, con il 95 per cento di editori e autori che rinnovano ogni mese l’adesione. Nel 2017, migliaia di autori indipendenti hanno guadagnato più di 50 mila dollari e oltre un migliaio hanno superato i 100.000 dollari di royalties. Parrebbe dunque che autopubblicarsi – nello specifico con il colosso mondiale della distribuzione libraria – sia davvero un affare, visto che i ritorni raggiungono queste cifre stellari. Ora si tratta solo di capire in che cosa consista questo “programma”.

  

Secondo Amazon autori ed editori indipendenti hanno guadagnato oltre 220 milioni di dollari con il programma Kindle Unlimited

“Chiunque può pubblicare in maniera semplice e veloce in 24 ore un libro da caricare in Italia e in altri mercati”, ci racconta perfetta come in uno spot Veronica Pirola, responsabile Kindle Italia. “Con l’autopubblicazione, l’autore diventa editore del proprio libro e ha il controllo su tutti gli elementi che caratterizzano l’edizione: contenuto, copertina, titolo, prezzo, feedback dei clienti. Guadagna fino al 70 per cento e se decide di partecipare al programma Kindle Unlimited – che aiuta a essere conosciuti in modo più facile, in una vetrina più piccola e con meno titoli, a cui accedono lettori particolarmente abili e interessati a scoprire novità – può guadagnare ancora di più. Non c’è nessun costo di avviamento e si ha a disposizione una pagina autore in cui mettere video e materiali di comunicazione per i propri follower”. Detto così, per un potenziale autore questo “programma” sembra Natale che viene due volte l’anno più la vincita al Superenalotto più la versione di latino della maturità sottobanco tutto insieme. Possibile? Per entrare nel “programma”, gli autori devono selezionare un’opzione in cui danno l’esclusività del titolo ad Amazon per novanta giorni e metterlo in vendita a 0 euro fino a 5 giorni. Non sembrano condizioni troppo dure, a prima vista, soprattutto perché si può contemporaneamente pubblicare con un editore tradizionale gestendo i diritti in modo differenziato e scegliere se partecipare alle promozioni giornaliere insieme ai titoli pubblicati da editori tradizionali. Ma infine Amazon sta investendo sul self publishing oppure no? “C’è attenzione al tema”, si spinge a rivelare Pirola (in Amazon hanno da sempre bocche cucite sui piani futuri). “Abbiamo introdotto la possibilità di pubblicare attraverso il print on demand. E’ possibile per l’autore avere a disposizione senza costi aggiuntivi anche la versione cartacea, che viene realizzata e consegnata una volta fatto l’ordine: è una modalità integrata in Kindle Direct Publishing, gli autori si registrano un’unica volta e gestiscono sia i loro libri digitali che i cartacei”.

  

Di certo si può dire che in Italia i self publisher di Amazon sono migliaia (di nuovo: addio, dati precisi) e di certo sono in crescita. Il “programma” piace parecchio e con Amazon ci pubblicano con gusto anche le scuole: nella media statale Ugo Foscolo di Torino, gli studenti scrivono libri digitali per i loro coetanei e la scuola è diventata editore. Vende su Amazon i libri degli alunni scrittori (sanno comporre una favola in venti minuti) e investe il ricavato nella biblioteca della scuola: due mesi fa i titoli della collana “Piccoli scrittori”, curata dalla prof Verena Lopes, erano già sette, compreso “Sii social”, un manuale per l’uso responsabile dei social media. Molti tra queste migliaia hanno fatto fortuna e possiamo fare anche qualche nome. Il primo è quello di Giulia Beyman, creatrice della serie mistery che ha per protagonista Nora Cooper e che è tra i fiori all’occhiello di Amazon come autore autopubblicato: nel 2015 si presentava al Salone del Libro di Torino e affermava di aver venduto più di Donna Tartt. Ma in che senso? Online o nel mondo reale? In un giorno o in tre anni? Con un titolo o con tutti i titoli insieme? Pirola risponde: “Ha avuto successo al punto che, quando abbiamo festeggiato i cinque anni di Kindle, tra i titoli più venduti uno di questi – su tutto lo store e nel confronto anche con gli editori tradizionali – era suo”. Non che sia molto più chiaro, ma insomma. L’ultimo caso è quello degli architetti e designer Diego Tarchini e consorte Maria Chiara Bertuzzi, che hanno pubblicato su Facebook a lungo una serie di vignette (la coppia è contraria a pubblicare foto della bimba online) sulle buffe performance della loro piccola Anna, detta Nina, tre anni e poi si sono decisi a farne un volumetto autopubblicato – “Nina perché?” - che è balzato al primo posto nella classifica dedicata ai fumetti per i più piccoli (nisba sui dati anche qui, al massimo si parla di “centinaia di copie”) e via con la partecipazione dei due “autori” a conferenze e incontri sull’opportunità della presenza di immagini dei minori in rete.

  

Altri nomi “di successo” sono Simon Sword (sua, pare, la fiaba più acquista su Amazon nel 2017, “La città degli aquiloni”), Riccardo Bruni (Amazon Publishing lo portò allo Strega nel 2016 con “La notte delle falene”, presentato da Giancarlo De Cataldo e Roberto Ippolito, destando qualche polemica, ma anche qui sembra impossibile avere dei dati precisi sulle copie vendute in ebook. L’anno dopo La nave di Teseo lo ha pubblicato in cartaceo) oppure Amabile Giusti, autrice sia Amazon Publishing che self (sempre con Amazon) che tradizionale (con Dalai e Mondadori) e pure sotto pseudonimo (l’insolito Amabile Giusti è il vero nome, lo pseudonimo è Virginia Dellamore).

   

Nel 2017, migliaia di autori indipendenti hanno guadagnato più di 50 mila dollari e oltre un migliaio hanno superato i 100.000 dollari

Districarsi tra le opzioni di pubblicazione diventa sempre più complesso. Soprattutto perché a questo punto vorremmo capire se Amazon stesso si considera o meno un “editore” a tutti gli effetti. “Abbiamo innovato a favore degli autori, mettendo a loro disposizione uno strumento che gli dia la possibilità di pubblicarsi, ma è solo uno strumento self service”, precisa Pirola. “Il compito di questo strumento è far entrare in contatto diretto autori e lettori, offrendo ai primi un supporto tecnico e un canale distributivo per poterlo fare”. Ecco, diciamo che stringi stringi proprio questo era in origine il compito di un editore. Anche se per completare la definizione manca ancora qualcosina, tipo: l’attenzione alla qualità del prodotto finito, la capacità – e la volontà – di selezione degli autori, la cosiddetta “linea” editoriale e tanti elementi che, nonostante l’entropia che ormai avvolge l’editoria, non vengono ancora considerati di contorno. Come si posiziona Amazon su questi temi? “Il nostro obiettivo è offrire ai clienti qualcosa che piaccia. I titoli autopubblicati vengono inseriti nello store insieme ai tradizionali ed esiste lo strumento delle review attraverso cui esprime la sua opinione e aiuta altri clienti a fare scelta più informata. Vediamo solo come positivo il fatto di dare ai nostri clienti la possibilità di scegliere che cosa leggere tra le offerte più in linea con le proprie modalità e il proprio gusto”. Alcuni ottimi autori-amministratori in effetti esistono: conoscono i lettori reali e potenziali, le regole del marketing e degli algoritmi, le tecniche per crearsi le copertine più accattivanti e investire su se stessi in comunicazione come preferiscono. Amazon dà a questi signori la possibilità di fare business in modo diciamo “indipendente” e con ampi margini di profitto. E tutti gli altri? Vediamo qualche esempio.

  

Nel 2014 Loredana De Michelis pubblicava online la propria storia con Amazon in un racconto dal titolo “Esperimento di autopubblicazione”, ancora disponibile online: “Ci vuole un Novembre buio affinché io mi decida a tentare di auto pubblicare un libro digitale su Amazon”, comincia la storia. “Si tratta di un manualetto introduttivo scritto come un’opera teatrale, che tratta un argomento di nicchia microscopica. Roba sperimentale insomma, ideale, secondo me, per fare una prova tranquilla che passerà sicuramente inosservata. Dopo la compilazione di decine di moduli su Kdp, risposte false a domande senza senso, e dopo avere fornito anche il nome della madre del criceto che avevo a sette anni, riesco finalmente a caricare il file con i complimenti di Amazon. Fisso il prezzo dell’ebook a 0,99 centesimi, perché ho letto un articolo scritto dal Guru del Guadagno su Internet che dice che è più facile vendere 10.000 libri a 0,99 che 1.000 a 9,99. In fin dei conti è in vendita anche su Amazon giapponese: metti che un magnate di laggiù decida di acquistare 5.000 copie di un ebook sugli occhiali a fori stenopeici, scritto in italiano. A detta degli autori che raccontano le loro esperienze sui forum, può sempre capitare”. E così via fino alle reazioni dei lettori, che non sempre seguono regole prevedibili: “Mi accorgo di una cosa nuova: si può cliccare su ‘recensione utile’ oppure ‘recensione inutile’ sotto ogni recensione, e qualcuno si è preso la briga di farlo, bollando come ‘non utili’ tutte le recensioni positive e accurate che ho. Mi sembra una cosa un po’ da beghini, ma scopro che questa è usanza abbastanza comune, specialmente tra le recensioni degli ebook autopubblicati”.

   

Alla media statale Ugo Foscolo di Torino gli studenti scrivono libri digitali per i loro coetanei. La scuola investe il ricavato nella biblioteca

L’anno dopo Valentina Maran autopubblica il suo “L’uomo che mi lava”, già uscito in cartaceo con Piemme, in ebook con Amazon e commenta la scelta su bookblister.com: E’ facile pubblicare online? Parrebbe. Se non hai mai pubblicato il cartaceo. Se sei passata per una casa editrice pubblicare online sarà complicato perché ti sei abituato alla professionalità. Lì hai qualcuno che cura le bozze, che controlla gli spazi, che ti consiglia sulla copertina e se ne occupa. … Qui è diverso. Qui è impalpabile e autopubblicazione vuol dire secchiate di decisioni e di cose che devi fare da solo. Vuoi dare l’opzione per la stampabilità del libro? Se clicchi chi ha già stampato altro avrà il tuo libro a pochissimo (ma fammi capire: perché? Ma dagli quello di un altro, a pochissimo. Perché il mio?). E poi lo vuoi rendere prestabile?… Lo vuoi nella versione Kdp? Ha a che fare col Kgb? Col Cymg? Voglio un editor. Una casa editrice. Un correttore di bozze. Una distribuzione. Voglio qualcuno che faccia le cose per me. Pagate dei professionistiche curino il vostro lavoro dall’inizio alla fine in ogni dettaglio. Non badate a spese. Se l’avete scritto bene si venderà da sé e rientrerete dei costi”.

   

Insomma, basta navigare mezz’ora per trovare di tutto: autori consacrati ad Amazon per la vita (anche quando vengono contattati dalle case editrici tradizionali, continuano a pubblicare autonomamente), perché magari hanno finalmente avuto successo “a modo loro” (uno dei primi autopubblicati di successo di Amazon in Italia aveva come copertina la foto della moglie dell’autore scattata durante le vacanze) e altri che non ne vogliono più sapere, a costo di condannarsi a un mestiere normale e abbandonare le ambizioni letterarie. Senza contare che negli ultimi anni anche gli editori vedono Amazon come un talent e pescano dal catalogo degli autopubblicati “di successo” per rimpolpare il proprio risparmiandosi l’improba fatica di leggere manoscritti incomprensibili. L’ultima parola, perciò, spetta al colosso di Jeff Bezos: la professionalità dell’editore, la sua capacità di selezione alla base, per voi prima o poi entrerà in gioco oppure no? “Gli editori fanno un lavoro coi guanti bianchi con autori. Gli autopubblicati sono manager di se stessi”. Prepariamoci, dunque: se fino a ieri fare lo scrittore era un secondo lavoro, ora diventa almeno il terzo o il quarto.