Carlo Ossola, foto Youtube

Stroncatura di quello che loda le stroncature, ma non le ha mai fatte

Alfonso Berardinelli

Il “nostalgico” Ossola e il vero potere della critica-satira

In pantofole, comodamente e senza nessuna intenzione né capacità di scrivere stroncature, ecco che ogni dieci o vent’anni, qualche bello spirito si mette a lodare i magnifici tempi nei quali si scrivevano stroncature.

  

Si vorrebbe che il lodatore dei tempi eroici avesse qualche volta rischiato qualcosa stroncando qualcuno. No, chi loda le stroncature loda e cita quelle di vent’anni prima, di un secolo prima o di due millenni fa. Con la massima prudenza, stando bene attento a non offendere nessuno che gli possa nuocere, il nostalgico delle stroncature dice che era bello stroncare, ma purché si parli di stroncatori e stroncati che siano tutti assolutamente defunti.

   

La conclusione qual è? E’ che oggi non ci sarebbe da stroncare nessuno perché “non ne vale la pena”, perché nessuno lo merita. Ma perché, invece si stroncavano nel passato autori pieni di meriti? Non si sono sempre prevalentemente stroncati autori più o meno di merda, montati improvvisamente in cattedra e amati, rispettati, vezzeggiati da tutti?

   

Sto riflettendo su un lungo articolo del professor Carlo Ossola (sul Sole 24 ore di domenica 15 luglio), articolo lungo, perché per più della metà occupato da citazioni che vanno da Catullo a Montale a Pasolini. Un articolo tipicamente, professoralmente reticente scritto, sembra, per giustificare il proprio silenzio critico o stroncatorio sulla letteratura e cultura contemporanee. Ossola non è nato ieri. Ha superato i settanta e dunque c’era, c’è stato, era presente quando c’erano anche autori da stroncare perché erano “tronchi” e non steli o virgulti. Ha stroncato, il professor Ossola, quando c’era da stroncare? Stronca, per caso, ora, quando qualcuno da stroncare, volendo, ci sarebbe? Non merita di essere stroncato solo chi vale qualcosa o eccelle nel non valere, ma anche, soprattutto, chi ha influenza, chi è circondato da rispetto senza che si capisca il perché. In ogni epoca, in ogni congiuntura e situazione culturale, ci sono sempre autori, libri, generi o sottogeneri letterari, linguaggi, tendenze culturali e artistiche, mode intellettuali da stroncare. Caro Ossola, coraggio. Facci vedere come stronchi.

   

Ma lasciamo perdere la stroncatura, che Ossola vorrebbe epigrammatica (e allora lo scriva, questo epigramma…). Parliamo piuttosto di critica: se ne ha una tale superstiziosa paura che si arriva a considerare stroncatura qualsiasi forma di critica. Ne sa qualcosa Matteo Marchesini, trentanovenne, il miglior critico della sua generazione, che per aver criticato o stroncato libri di Antonio Moresco, Nicola Lagioia e Giuseppe Montesano, si è visto rifiutare il libro che conteneva quegli articoli da Antonio Franchini, direttore letterario Giunti.

   

Franchini non è un bieco individuo, né una deplorevole eccezione: è un direttore editoriale che “fa le sue scelte”, tra le quali c’è il rifiuto della critica, nel caso che osi criticare. E’ una vicenda di cui si è discusso. E la cosa più interessante emersa dalla discussione è che a essere criticato e messo piuttosto in cattiva luce è stato più il critico Marchesini che l’editore Franchini. Certo: un editore è sempre più temibile di un critico. Tutti scrivono e tutti cercano un editore. Quanto alla critica, “chissenefrega!”. Dicono gli scrittori a Roma: “Nun te piace quello che scrivo? E ’sti cazzi?”.

     

Ma il problema, come sempre, non è solo chi scrive, è anche (soprattutto) chi legge. I cattivi autori sono prodotti, sono fatti esistere, sono richiesti e voluti, dai cattivi lettori. I cibi peggiorano se chi li mangerà non ha palato, né gusto, e ingoia tutto con beata soddisfazione.

  

La stroncatura è un’arte critica e un’arte letteraria. Per essere efficace deve essere intellettualmente motivata e letterariamente elaborata. Confina con la satira. E’ satira (culturale). Personalmente la preferisco se è satira della cosiddetta alta cultura, quando l’alta cultura non è all’altezza che immagina di occupare. Meglio stroncare Emanuele Severino, filosofo neo-pre-socratico, che il narratore Fabio Volo. Negli anni venti Edmund Wilson stroncò Ezra Pound, negli anni cinquanta Theodor Adorno e Karl Lowith stroncarono Heidegger: non perché erano fascisti, troppo facile, ma perché erano un cattivo poeta e un cattivo filosofo.

    

Naturalmente, chi criticava doveva poter contare su lettori capaci di capire la sostanza e lo stile delle stroncature. In fondo, va detto, se si vuole stroncare un autore bisogna cercare di scrivere un po’ meglio di lui, almeno per tutta la durata di un articolo.

    

Oggi qualcosa è cambiato rispetto a ieri, ma non del tutto. Nelle arti del Novecento una certa specifica quota di imbecillità non è mai mancata e all’avanguardia di questo fenomeno c’erano spesso le avanguardie. Ma oggi stroncare è diventata una necessità. Anche le persone molto perbene cominciano a mormorare che quando si produce cultura sempre e dovunque, viene voglia di girarsi dall’altra parte. Per quanto mi riguarda, di stroncature ne ho scritte troppe e ora sono un po’ stufo. Giovani critici, se ci siete, date un segno.

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