via Youtube

Gli imbarazzati amici di Wieseltier che hanno castigato Weinstein

Le tensioni irrisolte di Leon Wieseltier, fra Maimonide e la cocaina. Ritratto di un intellettuale in disgrazia

New York. Incoraggiati dall’effetto Weinstein, il protocollo della mostrificazione che attende chi si macchia di “comportamenti inappropriati”, i nemici di Leon Wieseltier sussurrano che il peggio deve ancora venire. Considerato il clima, ha gioco facile chi evoca nefandezze ulteriori. Si vedrà se alla base dello scoppio preventivo del suo magazine, Idea, e dell’alleanza a lungo coltivata con Laurene Powell Jobs, c’è altro oltre ai commenti fuori luogo sulle minigonne, alle allusioni erotiche sulle statue greche e a un apparato relazionale che contemplava baci rubati, doppi sensi, inviti in camere d’albergo e altre suggestioni, ma intanto è già scattata la grande vendetta nei circoli dell’alta cultura americana. Wieseltier da sempre misura la sua statura intellettuale anche in relazione al numero dei suoi nemici. C’è una lunga lista di persone con cui si rifiuta o si è rifiutato a lungo di parlare – da Andrew Sullivan, che è stato il suo direttore a New Republic, a Charles Krauthammer e Jacob Heilbrunn di The Nation – per non doversi abbassare al loro livello, e lo spirito vendicativo dell’intellettuale è oggetto di racconti leggendari fra Washington e New York. Non è infrequente sentir parlare di carriere distrutte per via di un’antipatia o di uno screzio: chi mette in giro queste voci oggi gongola guardando il tramonto del brillante polemista che sulla gerenza della sua nuova impresa culturale non si era accontentato di definirsi direttore, ma si proclamava “filosofo”. Per alcuni dei suoi critici questa repentina svolta della fortuna è più di un caso di molestie vere o presunte, è lo smascheramento di un impostore.

 

E’ dai primi anni Novanta che va avanti una guerra di salotto per detronizzare Wieseltier, tagliente cesellatore di parole e idee che non si è mai accontentato di scrivere brillanti editoriali e recensioni, ma ha voluto e ottenuto il riconoscimento come intellettuale senza frontiere, dall’esegesi di Mosè Maimonide alle interviste commosse con i ribelli siriani (“avete sopportato le crudeltà della storia contemporanea”), degno erede dei suoi più che venerabili maestri: Lionel Trilling, Isaiah Berlin, Yosef Yerushalmi. Nella sua biografia della Brookings Institution, alla quale è affiliato dalla fuoriuscita da New Republic nel 2014, si presenta come “lettore all’università di Harvard, visiting lecturer presso la commissione sul pensiero sociale all’Università di Chicago, Gruss Professor di legge talmudica alla scuola di legge di Harvard e professore aggiunto di storia alla Johns Hopkins University”, e ieri la Brookings ha annunciato la fine del rapporto con l’intellettuale weinsteinizzato.

I ringalluzziti nemici di Wieseltier dicono che lo scandalo odierno conferma tutto quello che Lloyd Grove aveva scritto in un lacerante ritratto apparso nel 1995. La notizia più impressionante riguardava le abbondanti libagioni di cocaina. Ne consumava un grammo al giorno, raccontava una fonte, nel suo ufficio, sniffando da un cucchiaino d’argento attaccato con una catenella a una fialetta dalla quale non si separava mai. Non era tuttavia questo il dettaglio che lo aveva mandato su tutte le furie. L’articolo scriveva infatti che per finanziare il costoso vizio, Wieseltier caricasse periodicamente la macchina con i libri che arrivavano in ufficio per andare a rivenderli in una libreria fuori mano. I racconti delle feste, dello stile di vita eccessivo, delle iperboli e degli accessi d’ira sono un genere letterario a se stante nella Washington dell’alta cultura, e Wieseltier si è sempre mosso con disinvoltura e ironia nella zona grigia dove se stesso e il suo personaggio si confondono. Nel 1999 il New York Times ha dato spazio alle “schiere di bellissime e attraenti ragazze di cui si circondava” e Sam Tanenhaus ha sintetizzato scrivendo che in lui “la tensione fra l’erudito e il sensuale non si risolve facilmente”.

 

Ora dicono che tutta questa tensione irrisolta era possibile soltanto in una piccola, idolatrata e atipica realtà editoriale come New Republic, guidata per una vita dal sodale Marty Peretz, altro personaggio la cui complicazione intellettuale ha assunto anche una dimensione sessuale. Wieseltier ha anche però una schiera di amici e storici difensori, i quali talvolta sono gli stessi che sul caso Weinstein hanno preso a scudisciate l’orco che, a quanto si dice oggi, abita necessariamente in ogni maschio di potere. Prima fra le alleate è l’editorialista Maureen Dowd, sua amica da decenni, che come tanti dovrà decidere se è lecito e possibile fare distinzioni e fornire ragioni oppure l’effetto Weinstein è una forza invincibile.

Di più su questi argomenti: