Un'opera di Mario Schifano, romano, esponente della Pop Art italiana ed europea

La Capitale, sconosciuta, dell'arte contemporanea

Onelia Onorati

Roma è una fucina di talenti che faticano ad emergere. Il mercato non decolla. Colpa della difficoltà a fare sistema. Ma qualcosa si muove e ad ottobre inizia la Rome Art Week

Poche gallerie, che non fanno rete tra di loro ma ci tengono a ostentare un atteggiamento protezionistico ed esclusivista nei confronti dei “propri” artisti. Un mercato che, secondo alcuni, nemmeno esiste. Questo il contesto nel quale debutta a Roma dal 9 al 14 ottobre la settimana dell’arte contemporanea. Obiettivo ambizioso della manifestazione Raw (Rome Art Week), alla sua seconda edizione, è proprio promuovere l’incontro tra artisti, curatori, critici e storici dell’arte. La speranza è di attrarre finalmente l’interesse di un pubblico nazionale ed internazionale. Quello stesso pubblico che oggi fa tappa prevalentemente al Nord Italia (in particolare alle fiere Miart a Milano, Artissima a Torino, Arte Fiera a Bologna) ma soprattutto a Parigi, Vienna, Basilea, Ginevra e, come sempre, Londra.

 

Eppure la Capitale è una fucina di talenti. Ma con grandi difficoltà per i giovani di emergere. “Proprio per questo, il principio di Raw è favorire consorzi di cinque e più artisti, giovani che singolarmente non possono permettersi le vetrine internazionali ma che hanno qualcosa da dire e voglia di sperimentare, anche in strutture espositive non convenzionali – spiega Massimiliano Padovan Di Benedetto, Presidente dell’Associazione Kou che organizza la Rome Art Week insieme all’artista Micaela Legnaioli – l’idea è piaciuta molto e abbiamo portato a casa numeri interessanti per la prima edizione: 459 eventi, 124 strutture espositive, 209 artisti iscritti, e almeno 25 mila visitatori, tra appassionati di arte contemporanea, addetti al settore artistico e curiosi” (circa la metà del Miart che però è alla ventiduesima edizione).

 

Ed è praticamente un unicum per la scena romana. Mancanza di talento, forse? “ll problema è piuttosto nell’assenza di un sistema connesso. Quando a New York un esordiente propone le proprie opere a uno spazio espositivo, viene spesso dirottato e consigliato sugli indirizzi giusti da frequentare, nella Capitale non c’è solidarietà, mancano le comunità, le tendenze, forse i veri movimenti artistici. Spesso le gallerie tengono spazi pressoché inutilizzati, vetrine deserte che vengono aperte al pubblico in occasione degli opening delle mostre o su appuntamento. Invece oggi chi compra arte è piuttosto un professionista che, avendo disponibilità economica, decide di avvicinarsi al mercato ma ha bisogno di una guida. E i galleristi in alcuni casi non sono organizzati per proporre un filone artistico ma solo i propri artisti di riferimento”.

 

Un orticello troppo piccolo. Il mancato sviluppo del mercato dell’arte contemporanea rappresenta un vulnus per tutta la città, visto che Roma non si è ancora accreditata come meta di eventi ma rimane la città eterna da visitare una volta sola nella vita. Al contrario, le capitali europee richiamano ogni anno una platea di visitatori soprattutto attraverso le proprie fiere di settore, sviluppando, di conseguenza, un ricco indotto.

 

Eppure il mercato dell’arte contemporanea italiana è ghiotto. Le grandi case d’asta lo sanno bene: Christie’s il 6 ottobre a Londra batterà gli artisti del dopoguerra e i contemporanei in un formidabile appuntamento, “Thinking Italian” che annovera nomi come Alberto Burri, Lucio Fontana, Marino Marini, Michele Pistoletto e Salvatore Scarpitta. I lavori saranno in esposizione il 12 settembre a Milano, il 15 a Roma e il 21 a Torino. L’anno scorso le “Italian Sale” hanno portato a casa oltre 21 milioni di euro con offerte record per Pino Pascali (il suo “Coda di delfino” è stato venduto per 2,987 milioni di euro), Lucio Fontana (“Concetto spaziale, Attese” venduto per 1,637 milioni contro gli attesi 800 mila) mentre Enrico Castellani con la sua “Superficie bianca e rosa” ha triplicato il valore da 400 mila sterline a 1,4 milioni di sterline (1,630 milioni in euro).
Intanto il Comune di Roma, dopo che nel 2016 aveva sostenuto, promuovendole, realtà come la Quadriennale, la Festa del Cinema di Roma, il Talent Price, il Festival RomaEuropa e la Maker Faire, quest’anno ha proposto un bando da 500 mila euro per progetti di “produzione, ricerca, scambio e messa a sistema di pratiche nelle arti visive, performative e negli altri linguaggi espressivi della cultura contemporanea”.

 

La fiera romana, dal canto suo, va avanti con le proprie forze: “Attualmente ci autofinanziamo – continua Padovan Di Benedetto – e ci consideriamo una manifestazione libera. Non prevediamo nemmeno un biglietto di ingresso. Ci piacerebbe rappresentare una sorta di Fuorisalone più che una fiera tradizionale, portando all’attenzione generale tendenze e nomi emergenti. È un ruolo che ci è stato già riconosciuto da diverse realtà internazionali, già dall’anno scorso si sono unite a noi la Galleria Gagosian ed altri galleristi europei. Abbiamo ricevuto il patrocinio dell’Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell'Arte in Roma che rappresenta realtà come l’Accademia Belgica, l’Accademia di Francia, l’Accademia tedesca”.

 

Intanto, ad Est, occhi puntati su Roma. Giosetta Fioroni, artista della “scuola romana” di Piazza del Popolo (Tano Festa, Mario Schifano e Franco Angeli per citare i più noti) già affermatissima, sarà finalmente consacrata anche in Russia con una mostra dal 6 settembre al 22 ottobre al Moscow Museum of Modern Art. Ma chi sono gli eredi della “scuola romana”? I talenti da scoprire? Padovan Di Benedetto ha mente diversi nomi ma ne suggerisce uno, Elvio Chiricozzi.

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