Leggere i "Promessi Sposi" per capire la psicologia dei complottisti sui vaccini

Ilaria Gaspari

Ci fanno studiare Alessandro Manzoni per "pubblicizzare l'epidemia" (sic!)

L’opinione di quelli che i poeti chiamavan volgo profano, e i capocomici, rispettabile pubblico” a volte crea cortocircuiti esilaranti. Se avete riconosciuto le parole fra virgolette, che questi tempi fanno risuonare di sinistri sottintesi (oltre che del sontuoso snobismo di Orazio), è probabilmente perché a scuola avete studiato “I Promessi Sposi”, e quella frase è andata ad ammonticchiarsi nel gran bric-à-brac delle memorie scolastiche, tra emistichi di poemi epici, cavalline storne, fotosintesi clorofilliane, giacimenti di bauxite, lune e selve oscure. Compare nel trentunesimo capitolo, che illustra il diffondersi della peste a Milano. Attraverso i documenti dell’epoca Manzoni ricostruisce il dilagare dell’epidemia, che monta piano piano, in una costellazione di casi sporadici, di allarmi inascoltati, di indifferenza e provvedimenti stravaganti delle autorità. Racconta la paura che cresce, e l’ostinazione a ignorarla. Fra molti episodi notevoli, ce n’è uno che riguarda il medico ottantenne Lodovico Settala, il quale, essendo già stato testimone di un’altra peste, quella del 1576, riconosce immediatamente i segnali del contagio. Si scatena contro di lui una furia popolare, una febbre cospirazionista che si intestardisce a negare la natura della malattia: “Un giorno che andava in bussola a visitar i suoi ammalati, principiò a radunarglisi intorno gente, gridando esser lui il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbaccia: tutto per dar da fare ai medici”.

 

In quest’estate del 2017, molti anni dopo quei fatti bubbonici, il rispettabile pubblico che segue la pagina Facebook di Gabriella Mereu – dottoressa recentemente radiata dall’albo, esperta di medicina olistica e ‘guaritrice’ dedita alle cure alternative che sembrano voler tornare in voga – si è trovato di fronte alla seduzione, alla quale prontamente c’è chi abbocca, di una bizzarra ipotesi secondo la quale, a scuola, si farebbero studiare i “Promessi Sposi” al solo fine di “pubblicizzare l’epidemia”, obbedendo a un oscuro piano ordito ovviamente dalle case farmaceutiche. Tutto per dar da fare ai medici, insomma. Sublime ironia, perché questa tesi riproduce senza saperlo quell’isteria della folla di cui Manzoni raccontò la genesi e il ruolo nel propagarsi della peste. Nel contagio “pubblicizzato” dai “Promessi Sposi”, il terrore dell’epidemia sfocia nella ricerca delirante di responsabili da punire, da accusare di sordidi complotti ai danni della comunità. Il risultato è una furibonda sfiducia nell’autorità dei medici, che ha un effetto irreversibile: quello di rinfocolare la diffusione della malattia. Può essere curioso ricordare che di questa isteria fecero le spese anche i promotori di cure alternative dell’epoca: come il barbiere Giangiacomo Mora, che si era messo a produrre un suo unguento contro la peste ma, per una serie di circostanze fortuite nelle quali ebbe una grande parte l’autosuggestione dei milanesi terrorizzati e affamati di capri espiatori, finì accusato di diffonderla – anche perché la consegna del vasetto con il suo preparato fu oggetto di un malinteso che gli si rivelò fatale, secondo la ricostruzione di Manzoni. Del resto, di fronte all’infuriare di un’epidemia, soprattutto se la si ritiene frutto di un inganno o di una congiura, non si va tanto per il sottile.

 

La diceria di pestilenze diffuse ad arte, notava Sciascia nel suo saggio sulla “Colonna infame”, ebbe qualche attestazione in epoca romana (riferita da Tito Livio), è completamente assente dai racconti delle pesti tre e quattrocentesche, ma torna in auge proprio nel Seicento – quando si afferma il principio della ragion di stato – per poi riaffacciarsi, più recentemente, con il colera del 1885-6 e la spagnola del 1919, che i complottisti dell’epoca videro come provvedimenti malthusiani del governo per sfrondare sbrigativamente la popolazione. Il sospetto di una politica cinica fino a esiti delinquenziali incoraggia l’attribuzione di fenomeni naturali come la malattia a congiure invisibili eppure, chissà come, invariabilmente smascherate dal rispettabile pubblico dei capocomici.

 

Che dire, quindi, di questa bizzarra ipotesi della dottoressa Mereu, di questa diceria di una diceria? Forse che sarebbe bene continuare a leggere Manzoni. Perché un romanziere che conosce le costanti della psicologia degli uomini e della loro storia, sa spiegarci quanto può essere pericoloso liquidare il passato solo perché è passato. Il fascismo, scriveva ancora Sciascia, non è una passeggera febbre di vaccinazione; e del resto, di questi tempi, ci sarebbe comunque chi rifiuta di vaccinarsi.

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