L'illusione perfetta del mondo che cambia nell'arte raffinata di Pietro Ruffo

Giuseppe Fantasia

La mostra dell'artista a Parigi. Sognatore immerso nella realtà 

Parigi. Utilizza i colori primari, li mescola e ne crea di nuovi, prende forbici e pennelli, colora e taglia, costruisce quadri curati in ogni singolo particolare dove pezzi in legno, ferro, acrilico, gesso o semplici intagli su carta attirano e conquistano chi guarda. Ci fa viaggiare nel presente che ci circonda focalizzando l’attenzione sull’attualità, sulla cronaca, sui princìpi della geopolitica internazionale e sul concetto universale di libertà analizzato da più punti di vista. E’ Pietro Ruffo, l’architetto/artista, un sognatore con i piedi ben saldi nella realtà da cui trae spunto per le sue storie, creatore di immagini che fanno riflettere, ma, soprattutto, stupire e sognare.

   

Romano, classe 1978, vincitore del Premio Cairo e del Premio New York, ha già all’attivo diverse mostre personali e collettive ospitate in musei e fondazioni, è osannato dal mondo dell’arte e della critica, è ricercato dai collezionisti e sponsorizzato dal côté più raffinato e più snob dell’effimero mondo della moda. Maria Grazia Chiuri, ex direttore creativo di Valentino, lo ha scelto, due anni fa, per lo scenografico allestimento di Memorabilia, la sfilata-evento per i cinquant’anni della maison romana in piazza Mignanelli, e adesso che è passata al timone di Dior, lo ha portato anche a Parigi, facendogli creare appositamente tele e animali lignei rubati alla giungla per il suo giardino incantato a Les Invalides. Proprio nella Ville Lumière, la Galerie Italienne lo ha ospitato con la mostra “L’Illusion Parfaite”, dedicata alla nuova serie “Migrazioni”, opere che con i loro colori – il bianco e blu – ricordano le ceramiche cinesi; disegni, cartografie e découpage con cui ha fatto un’analisi personale dei flussi migratori, affidandosi alla sua tecnica minuziosa e delicata che gli ha permesso di mostrare al meglio la fragilità di un mondo in perpetuo movimento. Popoli antichi si spostano su planisferi racchiusi in cornici tonde, coniche, ovali o a forma di stella: vanno da un continente all’altro assieme ai loro animali (elefanti, cavalli, persino orsi e ghepardi) seguendo il percorso degli uccelli, che Ruffo rappresenta in rilievo, la tecnica con cui si è fatto conoscere, la stessa con cui ha dato forma alle sue libellule colorate, “il simbolo della libertà”, come ci disse un anno fa a Catania, in occasione della sua personale alla Fondazione Puglisi-Cosentino.

  

Quegli insetti sono ovunque, nella sua casa-studio romana a San Lorenzo, al Pastificio Cerere, (insediamento industriale di inizio Novecento poi restaurato negli anni Settanta da un gruppo di artisti che lo ha trasformato in un importante laboratorio d’arte e iniziative culturali) come nel siciliano Palazzo Valle, nella imponente serie intitolata “I sei traditori della libertà”, dove – rifacendosi a uno studio condotto dal filosofo liberale Isaiah Berlin e alle sue conferenze trasmesse dalla Bbc nel ’52 – ritrasse il volto di sei filosofi (Helvétius, Saint-Simon, Rousseau, De Maistre, Fichte e Hegel) il cui pensiero era segnato da una comune linea antiliberale. Grazie al torinese Alessandro Pron – un esperto e simpatico hip-intellò discendente da una prestigiosa famiglia di antiquari e galleristi sabaudi – e a sua moglie, Raphaëlla Riboud-Seydoux, charmante dame de la haute bourgeoisie parisienne – le creazioni di Ruffo sono state anche negli spazi eleganti e luminosi della loro nuova galleria, che – dopo un inizio coraggioso in Boulevard Raspail (“all’inaugurazione della prima mostra, il 14 settembre del 2001, tre giorni dopo gli attentati a New York, c’eravamo solo mia moglie ed io con l’artista Pietro Gilardi”, ha spiegato Pron) – oggi è al numero 15 di rue du Louvre, poco distante dalla futura Fondation Pinault, dai rinnovati Les Halles e dalla chiesa di Saint-Eustache, più di trecento metri quadri dove in un suggestivo mélange artistico e visivo si possono acquistare importanti – e mai banali – componenti d’arredo e opere d’arte. Come a Catania, anche a Parigi Ruffo ha portato la sua “Liberty House”, il luogo della riflessione interiore, quello in cui l’artista ci invita a scoprire una vibrante foresta verde disegnata a china che fa da sfondo ai versi del poeta, artista e filosofo libanese Khail Gibran, un posto in cui il particolare aggiunto è dato dagli specchi che sono necessari per guardarsi dentro e per far proseguire lo sguardo verso noi stessi. “La libertà è l’idea che unisce tutti questi progetti, ma non è un valore universale perché esso è parcellizzato nelle aspirazioni particolari di ciascun popolo o gruppo etnico o politico”, ci ha spiegato. “Tutti possono crearsi il proprio modello di libertà, perché è un valore che va ricercato dentro di noi”, ha aggiunto mostrandoci opere a cui tiene molto, come “Asian American Spring” e “Arab Spring”, ispirate e dedicate alla Primavera araba. “The Colours of Cultural Map”, un lavoro realizzato per il progetto “Imago Mundi” di Luciano Benetton, costituisce invece un manuale illustrato che ci consente di visionare alcuni caratteri dei diversi popoli del mondo. “E’ una rappresentazione cartografica del globo con le popolazioni che lo abitano e le tradizioni culturali che lo contraddistinguono”, ha continuato l’artista. “Ho voluto instaurare una connessione tra le popolazioni di differenti aree geografiche e il loro diverso modo di associare a ogni stato d’animo un colore che qui perde il suo valore decorativo per divenire strumento conoscitivo della psicologia umana”. L’Italia è da lui fatta a pezzi in una delle opere-simbolo e il mondo diventa un atlante delle emozioni, un teatro abitato da fenomeni migratori che rappresentano a loro volta una sfida per la nostra società. I cambiamenti climatici, le tensioni politiche e la ricerca di un mondo economico e religioso migliore, sono per lui tutti quanti dei fattori che riflettono un mondo interconnesso dove a trionfare sono spesso i confini geografici e culturali. “Che si tratti di Calais o di Lampedusa, del nord della Francia come del sud Italia, della Manica come del Mediterraneo, ho ritrovato nelle sue opere il dramma migratorio dei campi dei rifugiati, il gioco degli uccelli che corrono, nuotano, mangiano, bevono e volano nei deserti come nei mari, simboli del respiro e dello spirito di milioni di vite in pericolo”, ha scritto nella nota critica l’avvocato ed esperto d’arte Pierre Farge. La verità ci sfugge e l’eternità ci evita, ma l’arte di Ruffo le rimpiazza e le rende immortali come fa la giustizia, “un ponte tra le culture, le religioni e le razze, l’ultima istanza di persuasione e di democrazia”.

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