Wang Janglin, presidente di Dalian Wanda Group (foto di Wikipedia)

Pop corn

Se pure la Cina bacchetta Hollywood

Mariarosa Mancuso
“Hollywood era famosa per le sue storie, ma da un po’ di tempo non le sa più raccontare. I seguiti e i remake hanno funzionato finora. Adesso il pubblico cinese è molto più sofisticato. Se vi interessa il nostro mercato, dovete produrre film migliori”, dice Wang Janglin, presidente di Dalian Wanda Group.

Sentirselo dire dai cinesi. C’è da morire di vergogna. Hollywood rimbrottata dall’uomo più ricco della Cina, uno stramiliardario che ha la tessera del partito comunista e si è comprato, prima che facessimo in tempo a imparare il suo nome – Wang Janglin, Dalian Wanda Group è la ditta – la seconda più grande catena di cinema Usa. Più il primo gruppo europeo di sale cinematografiche. Più la compagnia che ha prodotto la trilogia del Cavaliere Oscuro e “Jurassic World”. Attualmente possiede 7.600 sale – nessuno al mondo ne ha più di lui – e ha già fatto sapere che il bottino sarà completo quando riuscirà a mettere le mani su una major.

 

Due settimane fa, a Los Angeles, davanti al sindaco e al presidente dell’Academy, che assegna gli Oscar, prima ha offerto sconti da capogiro a chi vorrà girare nei nuovi studi che sta costruendo nell’Est della Cina – Quingdao Oriental Movie Metropolis, costo 8 miliardi di dollari, sarà inaugurato l’anno prossimo. Poi la doccia gelata. “Hollywood era famosa per le sue storie, ma da un po’ di tempo non le sa più raccontare. I seguiti e i remake hanno funzionato finora. Adesso il pubblico cinese è molto più sofisticato. Se vi interessa il nostro mercato, dovete produrre film migliori”.

 

Bacchettata sacrosanta. Anche i non cinesi ne hanno abbastanza di sequel e di remake, e mettiamoci pure anche i reboot (è quando si ricomincia una storia da zero, perché a furia di seguiti la spinta e il divertimento si sono esauriti). E basta anche con i supereroi: nessuno ha mai pensato che un fumetto si legge un un quarto d’ora, e magari viene voglia di una seconda avventura. Ma è roba nata quando ancora esisteva il problema di arrivare alla fine del pomeriggio.

 

Non è lo stesso che stare due ore al cinema a vedere la stessa battaglia fracassona del bene contro il male. O due supereroi che si fanno i dispetti. O un gruppo di supereroi variamente assortiti che salvano il mondo da una minaccia sempre più terribile (scienziati pazzi e nazisti, con o senza atomica). O una supereroina che mette ordine dove i maschi hanno combinato disastri. Lo sanno tutti che la prima avventura è sempre la migliore, almeno sappiamo qualcosa sul personaggio prima che indossi la tutina colorata, la maschera, il mantello magico. Esempio: il prossimo “Doctor Strange” dovrà fare a meno dell’addestramento, e sarà difficile non sbadigliare.

 

Bello sarebbe se il cinese miliardario e comunista (i dietrologi sospettano che voglia diffondere l’ideologia, con tutti quei cinema-arma-più forte a disposizione) levasse di mezzo i film fotocopia. Finora l’unico effetto ottenuto dall’apertura del grande e nuovo mercato è una scena ambientata Hong Kong o a Shanghai, mentre sono scomparsi i cinesi cattivi o ambigui. Rifacessero un film a Chinatown, sarebbe difficile trovare un lavandaio.

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