(immagine di Leandro Neumann Ciuffo via Flickr)

Padri

Io sono l'amico dei bambini, ma il vero amore è sterile

Se mi chiedessero un aggettivo da legare spontaneamente al concetto di vero amore, io sceglierei sterile. Mi sembra che tutto ciò che è bello e degno di venerazione nella vita sia connesso alla sterilità, che non va intesa semplicemente come il contrario della fecondità, ma come il suo complemento indispensabile, e la sua unica vera alleata.
La rubrica "Padri" fa parte dell'inserto Il Figlio, lo speciale di Annalena Benini. In ogni numero un padre racconta di sé, con i figli: storie, sentimenti, pensieri, ossessioni, scoperte. Sono qui disponibili tutti gli articoli.

 


 

Cara Annalena, sono felice di partecipare anche io a questo tuo bell’inserto dedicato ai figli. Come sai fin troppo bene, la vita interiore di chi come noi scrive sui giornali spesso si svolge proprio negli articoli, nel tentativo di dare forma a pensieri vaghi, che si acquattano nell’ombra, e che in realtà sono più enigmi che pensieri. Tanto che a volte, se mi chiedono qualcosa sulla mia infanzia, per fare un esempio, mi accorgo che non ne ho la minima idea e spero che qualcuno prima o poi mi commissioni una lunga recensione di mia madre. L’abitudine di scrivere, insomma, mi ha messo in contatto con aspetti della mia personalità che non credevo esistessero o consideravo molto più marginali di quello che sono.

 

Ti infliggo questa premessa solo perché, al momento di sedermi a scrivere questo articolo, avevo in mente di testimoniare in qualche maniera accattivante il punto di vista di un uomo che ha sempre detestato l’idea di fare figli, ed è arrivato a un punto della vita (cinquantadue anni) in cui, incrociando le dita, forse ce l’ha fatta. Ma qui sta il bello di questa forma di “giornalismo esistenziale” di cui tu stessa sei una grande maestra: le questioni tecniche spesso rivelano molto sulle questioni intime. Perché mi sono reso conto che quel punto di vista non era abbastanza per riempire un articolo di circa cinquemila caratteri. Una cosa che hai avuto sempre in testa, insomma, al momento di scriverla si rivela del tutto inadeguata.

 

Non posso dire, in coscienza, di detestare l’idea di fare figli. Trovo meravigliosi i bambini, e ho sempre disprezzato tutte quelle battute ciniche che si fanno, per esempio quando si dice che Erode era un santo. No, per me Erode era un orrido delinquente. Io sono l’amico dei bambini proprio come quel tale, nell’Ottocento, si definiva l’amico del popolo. E allora qual è il mio problema? Grazie al tuo invito, finalmente l’ho compreso! Io un figlio me lo vorrei fare da solo. Ma da solo veramente: covandolo, o costruendolo come fa Geppetto con Pinocchio. Quello che proprio non mi va giù, è l’idea di fare un figlio con una donna. Questa, in effetti, mi sembra una circostanza terribile. Sarei scappato di casa col favore delle tenebre, se mi fosse accaduto.

 

Io credo che l’unico scopo autentico o sensato di una relazione amorosa o erotica tra due individui sia il cosiddetto “scopo ludico”. Tutto quello che mi dà gioia nell’amare è strettamente legato a una sospensione incondizionata del principio di realtà. Mettere su qualcosa che vada oltre una bella vacanza o la visione di una serie tv mi sembra un’idea semplicemente sconcertante. In linea di principio, dall’amore assoluto escluderei non solo i figli ma anche il sesso. Perché la nostra cultura loda il sesso della coppia monogamica alla stessa maniera in cui promuove le diete povere di grassi o la raccolta differenziata: come una specie di norma igienica e in definitiva di contributo all’ordine del mondo. Il grande Giuseppe Berto diceva che gli psicanalisti ti chiedono se hai fatto l’amore come si chiede ai bambini se hanno fatto la pupù nel vasino.

 

Ecco, se mi chiedessero un aggettivo da legare spontaneamente e immediatamente al concetto di vero amore, io sceglierei sterile. Mi sembra, potrei sbagliare ma mi sembra, che tutto ciò che è bello e degno di venerazione nella vita sia connesso alla sterilità, che non va intesa semplicemente come il contrario della fecondità, ma come il suo complemento indispensabile, e la sua unica vera alleata. Pensa alle favole: hai mai sentito parlare di una fata incinta? Sono sterili la fate, le stelle, le pietre preziose, le onde del mare. Sono sterili le opere d’arte più grandi, perché non possono, proprio a causa della loro grandezza, avere eredi. Sono sterili molti dei sentimenti e dei pensieri più preziosi che abbiamo, perché la vita ci consiglia o ci impone, per difenderli meglio, di tenerceli per noi.

 

Eccomi dunque liberato, cara Annalena, grazie al tuo invito, di questo stupido e finto fardello dell’odiare i bambini, che mi sembra veramente insopportabile. Mi auguro solo che i progressi dell’umanità, in cui nessuno più crede ma sono inevitabili come i regressi, ci offrano delle alternative sempre più efficaci per distinguere la procreazione dalla relazione. Perché non c’è nulla in cielo o in terra che ci costringa a pensare che i figli siano il frutto dell’amore. Sia come padri che come figli siamo il frutto dell’oscura e tenace volontà della specie, unita a una serie di convenzioni variabili nel tempo e nello spazio. Che una cosa così immensa e imperscrutabile come la vita debba passare a forza nell’imbuto della coppia, omo o etero che sia, questo mi sembra un pregiudizio insensato e inaccettabile.

 

Di Emanuele Trevi è appena uscito “Ontani a Bali” con la fotografa Giovanna Silva (Humboldt editore)

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