Spiegare l'Italia che abbaia

Camillo Langone
Analisi filologica del linguaggio dei cagnisti, dove si dimostra che ogni attacco personale coincide con una precisa e strutturata idea sul futuro del genere umano (e se il cane è l’essere superiore, vi meritate il veganesimo).

C’è un’Italia che ringhia, un’Italia che abbaia e se potesse morderebbe ma grazie a Dio è l’Italia che consuma le giornate sui social e fra internet e la mia carne c’è ancora (per quanto tempo?) una certa distanza. Non sono qui a lamentarmene (never complain), sono qui a spiegare (forever explain). Il florilegio cagnista che propongo agli amici lettori appartiene alla terza delle più alte ondate di insulti che mi hanno colpito negli ultimi anni ma le prime due erano diverse, in qualche modo più umane: gli improperi delle donne che si sono sentite offese quando su Libero ho riportato la convinzione di illustri demografi secondo i quali l’istruzione universitaria femminile è concausa del crollo delle nascite; le ingiurie (condite da qualche minaccia) dei romanisti insorti dopo la mia critica, qui sul Foglio, alle scelte onomastiche dell’idolo Francesco Totti. Storie abbastanza ordinarie di cecità e intolleranza. L’ultima onda è la più pericolosa perché oltre all’attacco alla mia persona, problema mio o al limite dei miei cari, contiene un attacco al genere umano, problema generale. Quindi evito di dilungarmi sulle scatologie sciorinate sotto il cliccatissimo titolo “Pezzo di merda” apparso sulla pagina “Nati senza pelliccia” ospitata da Facebook, social solito censurare madri che allattano e capolavori della pittura ottocentesca di nudo e tuttavia indulgente nei confronti dell’istigazione animalista all’odio. Meglio analizzare la faccenda sine ira et studio. Una corrente cagnista, i cui esponenti si potrebbero definire cagnisti moderati (relativamente moderati), non considera affatto i cani superiori agli uomini: considera i cani superiori a me, valutandomi un subumano. Superiorissimi, e io inferiorissimo, quando i cani in questione sono i loro. Scrive Delilah, che mi detesta anche per la campagna contro i nomi alloctoni: “Ho due cani meravigliosi che si chiamano Choco e Pesca, uno solo dei loro peli vale molto ma molto più di tutta la tua inutile vita, e in un terremoto ti passerei sopra con la macchina per salvare anche solo il loro giocattolo”. Qua e là traspare un familismo amorale aggiornato all’epoca dell’estinzione. Non più padri che cercano raccomandazioni per far entrare in banca il figlio tonto, non più madri che giurano sull’innocenza del pargolo assassino, bensì cagniste come Alessia che sembra la nipote acculturata e ateizzata delle donne lucane studiate negli anni Cinquanta dal sociologo americano Edward Banfield: “La mia priorità è la mia famiglia. Il mio cane è la mia famiglia. Non credo sarei in grado di sacrificarlo per un umano. Di sicuro anteporrei il mio cane a qualunque estraneo”.

 

Ho scritto acculturata e ateizzata perché nessuna donna lucana degli anni Cinquanta (non mia nonna, ad esempio) avrebbe detto “umano” al posto di “cristiano”. Sono stato attaccato anche per questo: nell’articolo oggetto di virtuale linciaggio ho usato “cristiano” come sinonimo di “uomo”, accezione ancora presente nel vocabolario Treccani ma non più nel lessico dell’Italia post cristiana che ringhia e che ha pensato potessi piangere, delle vittime di un terremoto, solo i cattolici. “Sei un umano disgustoso” dice Annalisa e nel sostantivo c’è più disprezzo che nell’aggettivo: umano è molto vicino a umanoide, fra umano e subumano il passo è breve. Un’altra corrente, li chiamerei cagnisti centristi, sembrerebbe concedere agli uomini di stare alla pari dei cani. Laura: “Siamo tutti uguali persone e animali stronzo”. Jennifer: “Non ha capito un emerito c…o!!! I cani non contano più dei bambini ma COME i bambini!!!”. Marzia: “La vita di un cane o di qualsiasi altro animale vale esattamente come la nostra quindi coglione taci!”. Luisa: “Una vita è sacra a prescindere se si tratta di una persona o di un cane”.

 

Ho messo questa schidionata di messaggi, tutti abbastanza simili (solo Luisa aggiunge davvero qualcosa ossia l’idea neo-egizia di sacralizzazione del botolo, tipo dio Anubi) per evidenziare come la più parte dei cagnisti sia donna. I cagnisti maschi esistono però sono come i vegani maschi, come i guidatori di Lancia Ypsilon maschi: una minoranza. La terza e ultima e forse maggiore corrente è quella dei cagnisti estremisti per i quali tutti gli uomini sono inferiori a tutti i cani. Patrizia: “Sono mamma di due cani, un maschio e una femmina. Non ho voluto figli perché sono dei rompicoglioni”. Andrea: “Lei è solo un poveretto che non avendo altra maniera per essere visibile cerca di fare scandalo. Ma questo è solo segno di bassa capacità giornalistica, legata a un antropocentrismo che mi disgusta”. Patrizia introduce alla sottocorrente dei bimbofobi, spesso signore scarseggianti di istinto materno come Gilda che, riferendosi ad Amatrice, scrive: “Se poi i bambini devono diventare gli ingegneri che costruiranno i paesi con questi criteri…”. Gilda potrebbe andare d’accordo col vescovo di Rieti che ha dato la colpa del terremoto all’uomo: niente più bambini niente più ingegneri niente più case niente più morti sotto le case… Mentre Andrea appartiene all’emergente filone antispecista: avrà letto o almeno annusato Peter Singer e sarà pronto a sorbirsi Leonardo Caffo, giovane araldo del postumano. Esistono cagnisti cattolici ma sono come i cattolici abortisti, i cattolici protestanti, i cattolici comunisti: sedicenti. Il cristianesimo mette al primo posto l’uomo e i cagnisti più svegli lo sanno, come Sabina che però mi scambia per un vescovo: “Non commento per non bestemmiare. Son sempre più convinta che questa chiesa è gestita da imbecilli”. Silvia se la prende direttamente col Papa, colpevole di aver accarezzato un labrador dell’unità cinofila di Pescara del Tronto: “Come, prima predica che la gente non si deve riempire la casa di cani e gatti e poi li accarezza? Sto Papa sa di falsità. Spero ke lo hanno lavato il cagnolino. Carezze infami sono queste altro che”. Insomma i cagnisti non vanno sottovalutati e, sebbene a volte abbiano anch’essi problemi con l’ortografia, non vanno confusi coi mentaniani webeti: la loro è un’ideologia ben strutturata, il loro peso politico è crescente, la loro capacità di utilizzare i media invidiabile. Sono talmente forti che fra poco morderanno senza prima ringhiare, e non avranno più bisogno di ricorrere a vecchie idee come il razzismo riesumato dalla cagnista di Parma che mi scrive: “Spero di poterti incontrare per strada per sputarti in quella faccia da terrone che hai, essere inutile ed ignobile”.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).