Tutti i relatori del seminario organizzato presso l'università di Torino si sono collocati su posizioni anti-sioniste

Una giornata contro Israele all'università di Torino. Ecco cosa è successo

Gabriele Carrer
Un incontro contestato da docenti e politici a causa delle posizioni anti-sioniste dichiarate da tutti i relatori all'interno del seminario “Dal Califfato al Califfato. Il medio oriente dal trattato Sykes-Picot al jihadismo stragista”.

Cinque minuti, cinque – cronometrati –, di presentazione dei curriculum dei relatori; fonti citate ad ogni frase, slide zeppe di bibliografia. Cose rare anche nel più scientifico dei convegni. La volontà e la forza sbandierata di essere scientifici ha fatto da sottofondo all'appuntamento di lunedì presso l'università di Torino sulla questione palestinese. Un incontro contestato da docenti e politici a causa delle posizioni anti-sioniste dichiarate da tutti i relatori all'interno del seminario “Dal califfato al califfato. Il Medio Oriente dal trattato Sykes-Picot al jihadismo stragista”. L'organizzatrice Marzia Casolari, docente di Storia, aveva sottolineato proprio a questo giornale come le posizioni filo-palestinesi dei relatori non avrebbero inficiato il rigore scientifico del seminario. Fonti e bibliografie ricchissime di autori della nuova storiografia israeliana, ebrei vicini alla tradizione marxista. Un fatto, quello della fede degli studiosi, rimarcato quasi ossessivamente dai relatori come a sottolineare il consenso diffuso nell'ambiente scientifico sul colonialismo d'insediamento ed il regime di apartheid applicati da Israele. Attorno al tavolo dei lavori erano riuniti i docenti Marzia Casolari, Michelguglielmo Torri e Diana Carminati ed il dottore di ricerca Enrico Bartolomei. Tutti e quattro accomunati dall'attivismo filo-palestinese ad anti-israeliano.

 

Lunedì 16 maggio è stato il giorno del centenario dell'accordo Sykes-Picot sulla spartizione fra Francia e Regno Unito del Medioriente. Nel suo intervento la professoressa Diana Carminati ha citato il docente della Scuola di studi orientali ed africani di Londra Adam Hanieh che ritiene il neoliberismo occidentale, una cappa intellettuale, economica e militare che opprime il Medioriente, tra le cause della questione palestinese. Carminati, mostrando alcuni grafici per illustrare la situazione dell'economia palestinese, ha più volte invitato a ricordare che la fonte, il Fondo Monetario Internazionale, figura tra le istituzioni del neoliberismo in Medioriente, lasciando intendere dubbi sulla sua affidabilità scientifica. Ma è la stessa Carminati ad apparire poca scientifica quando cita l'“economia dei tunnel”, senza approfondire l'utilizzo di quali tunnel da parte di Hamas. Nel suo intervento, Carminati ha parlato di settler colonialism, “una specifica formazione sociale di dominio che tende ad accaparrarsi la terra, come terra nullius, acqua e risorse e ad espellere/eliminare il nativo e a sostituirsi, trasformando i coloni in nativi”. Il progetto di sostituzione, ha affermato Carmina, avviene tramite memoricidio. I casi citati sono quelli statunitense, canadese, australiano e neozelandese. Anche qui si notano mancanze sulla scientificità delle affermazioni: basti pensare all'impegno neozelandesi a tenere viva la biodiversità, le tradizioni e la lingua maori tramite l'insegnamento nelle scuole la pratica a livello giuridico e legislativo.

 

Venticinque persone presenti, compresi giornalisti ed operatori per la registrazione audio/video, ad ascoltare i quattro relatori. Assenti esponenti dei centri sociali torinesi, da sempre solidali alla causa palestinese e partecipi di eventi promossi dai membri dell'ISM Italia. Presente, invece, Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega Nord al Comune di Torino, che ha consegnato alla relatrice Carminati prima dell'inizio dei lavori un documento dal titolo “Disastro economico palestinese: quali cause?”. Cinque facciate con i finanziamenti dei governi occidentali ai palestinesi, i conti a Panama di Tareq Abbas, figlio di Abu Mazen, gli “stipendi da terrorista” garantiti agli attentatori palestinesi, qualche precisazione sulla presenza israeliana a Gaza e sugli attacchi di Hamas. Un documento ignorato e sminuito dai relatori.

 


Un manifesto apparso presso l'università di Torino (foto LaPresse)


 

Presente al tavolo dei relatori un invito alla lettura del volume Gaza e l'industria israeliana della violenza, scritto dagli stessi Bartolomei e Carminati assieme ad Alfredo Tradardi, socio fondatore e coordinatore di ISM-Italia. Nel volantino si parla di Gaza che “nell'ultimo ventennio, a partire dagli Accordi di Oslo” è stata trasformata “nel più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo”. Si parla anche dell'operazione Margine Protettivo nell'estate del 2014 in cui sarebbe andato in scena un “macabro spettacolo di morte e distruzione su larga scala”, nonostante il rapporto dell'High Level Military Group, composto da undici alti ufficiali in pensione, che ha dimostrato la totale assenza di violazioni dei diritti umani da parte israeliana durante la guerra dei cinquanta giorni di due anni fa ma che ha provato le violazioni di Hamas.

 

Intanto, il rettore dell'ateneo Gianmaria Ajani ha negato al collettivo Progetto Palestina e Noi Restiamo Umani la disponibilità di un'aula per l'incontro del 17 maggio presso il campus Luigi Einaudi con Joseph Halevi, docente alla Sydney University e all'International University College di Torino, sul tema della nabka. Intervistati da Repubblica di Torino, gli organizzatori di Progetto Palestina hanno sottolineato come la “scelta di non darci l'aula è solo ed esclusivamente politica”: per questo hanno deciso di ritrovarsi nella main hall del campus per decidere “dove fare l'incontro”, che comunque, hanno garantito, si terrà.