Arte, social network e visitatori. Funzionano davvero le campagne web dei musei? Indagine

Marta Elena Casanova
Il primo obiettivo di chi fa comunicazione sui social nel mondo dell’arte è quella di far divertire e stimolare il pubblico, i propri follower e quelli che fra poco lo diventeranno, proponendo costantemente qualcosa di nuovo e differente. Una sfida iniziata qualche anno fa che sta dando buoni risultati.

Impara l'arte e mettila sui social. Così si potrebbe riassumere l'importanza che molte realtà museali stanno dando a internet, per far conoscere i loro patrimoni a un pubblico sempre più vasto e arrivare a potenziali fruitori coinvolgendoli in iniziative, giochi e molti hashtag.

 

Non è certo una novità, oramai da qualche anno Facebook, Twitter, Instagram e app dedicate sono diventati un terreno sempre più battuto da tutti, non solo persone singole ma da anche locali, ristoranti, società di ogni genere. Gli uffici stampa si sono perciò reinventati e sono nate figure professionali dedicate esclusivamente all'azione social. Così succede oramai anche per l'arte, dunque. Ma l'informazione e la condivisione in rete, di fatto, per un museo, significano più ingressi? Post, immagini di opere, di allestimenti, applicazioni che permettono visite virtuali, inducono poi a volersi inoltrare di persona tra sale colme di dipinti e sculture realizzati dai grandi maestri?

 



 

Inutile girarci attorno, oltre alla soddisfazione di chi si occupa di pubbliche relazioni, per arte e cultura fondamentale è il pubblico, quello che si presenta, biglietto alla mano, all'ingresso di una mostra.

 

Il primo obiettivo di chi fa comunicazione sui social nel mondo dell’arte è quella di far divertire e stimolare il pubblico, i propri follower e quelli che fra poco lo diventeranno, proponendo costantemente qualcosa di nuovo e differente. Guai a stare fermi. Solo qualche giorno fa, il 20 gennaio, in tutto il mondo è stato lanciato per il terzo anno l'hashtag  #museumselfieday (account twitter @museumselfieday), iniziativa promossa dall'esperto di comunicazione digitale Mar Dixon, tanto semplice quanto vincente: mettiti davanti alla tua opera d'arte preferita, mostra la tua fantasia, scatta il selfie, condividilo sui social. Per farlo devi essere fisicamente presente davanti all'originale, non puoi certo fotografarti vicino al poster de I papaveri di Monet appeso in camera. Un successo di proporzioni enormi.

 



 

Idee come questa hanno l'innegabile capacità di attrarre visitatori, anche solo per un fatto di personale vanità e per il famoso momento di gloria, ma va bene così.

 

In Italia, luoghi come il Guggenheim di Venezia e il Museo del '900 a Milano hanno piani editoriali annuali dedicati esclusivamente a questo. Ad esempio, dalla "casa" di Peggy Guggenheim un giorno alla settimana viene proposto l'hashtag #Howdoyousee, con cui si chiede ai visitatori di inoltrare le proprie fotografie scattate all'interno delle sale, e le più interessanti vengono di volta in volta pubblicate sul profilo Instagram del Museo (oltre 25.000 follower a oggi); inoltre dall'ufficio stampa portano avanti uno Storytelling continuo, raccontando il dietro le quinte del museo, fatto di preparazioni e allestimenti. Sarà un caso, ma il 2015 per il Guggenheim è stato l'anno record in assoluto da quando è stato aperto nel 1980, con 400.741 presenze. Certo non è facile fare una stima delle persone che hanno deciso di visitare la collezione grazie a Internet, ma periodicamente all'ingresso  viene proposto un sondaggio per sapere come e perché si è deciso di ammirarla, e i segnali sembrano essere "socialmente" incoraggianti.

 



 

Tutto questo accade a Venezia come a Milano, Torino, Napoli e tante altre città. Tra il Museo del '900, Il Poldi Pezzoli, la Fondazione Torino Musei (che comprende la GAM - Galleria Civica d'arte moderna e contemporanea, Palazzo Madama e il MAO - museo d'Arte Orientale), il Museo Madre e via dicendo, le innovazioni sono numerose e diverse tra loro, ma accomunate dal fatto di di guardare sempre ai competitor, vedere come si muovono e continuare a muoversi a propria volta, anche perché più risposta c'è da parte del pubblico più sembra che gli addetti ai lavori si divertano e aprano le loro menti.

 

Ad esempio, dopo il #MuseoIdeale lanciato dal Museo del '900 (Instagram e Twitter), in cui si invitavano amanti di lunga data e neofiti dell'arte a scattare immagini di opere in giro per il mondo al fine di metterle tutte insieme in un unico grande fantastico luogo, per cui a giugno in meno di un mese si è passati da 1.600 a 12.300 follower Instagram, è arrivato #cacciaaldettaglio, il miglior modo per attirare  verso la ricerca e lo studio del particolare apparentemente nascosto di un dipinto e farlo condividere con i propri seguaci una volta trovato e analizzato.

 

Sono tutte strategie, queste, su cui lavorano anche gli addetti degli uffici del Poldi Pezzoli di Milano, che l'anno scorso – anche grazie alla mostra dedicata ai quattro profili delle Dame dei Pollaiolo, molto pubblicizzata sui social – hanno visto oltre 56 mila persone varcare la soglia della Casa Museo. Queste e molte altre iniziative – come Ad ogni donna il suo profilo, progetto che ha coinvolto ragazze e signore che hanno posato proprio come  quelle nelle opere in esposizione, a favore, non più di pennello e tavolozza ma di macchine fotografiche su set predisposti in collaborazione col Comune di Milano in varie location della città per raccontare il mondo femminile di oggi – hanno aiutato a triplicare gli ingressi in tre anni.

 

Ci sono poi ulteriori evoluzioni, come quella sviluppata dal Museo Madre di Napoli (decretato migliore museo italiano dell'anno nel 2015 ), dove si sono chiesti: perché non partire dalla piattaforma digitale per arrivare al reale? Ovvero: perché non indire un contest per artisti dai 18 ai 35 anni in cui questi possono pubblicare sul sito www.madrenapoli.it i loro lavori, sottoporli al pubblico prima e a una giuria selezionata poi, al fine di realizzare il sogno di vedere la propria opera esposta nella collezione permanente? Ebbene, l'hanno fatto. Poco più di un anno fa  si sono inventati il concorso Show_Yourself@Madre. Il risultato, oltre alla soddisfazione di tutti, è stata la notevole affluenza di un nuovo pubblico al museo. Questo perché ogni artista ha un suo network, che siano intenditori, parenti o amici poco importa, da un pubblico potenziale si è passati a uno reale.

 



 

[**Video_box_2**]Esistono numerose applicazioni da scaricare sul proprio smartphone, come quelle ideate appositamente dalla Fondazione Torino Musei per MAO, GAM e Palazzo Madama. Grazie a una collaborazione con il Google Cultural Institute, sui dispositivi Android si può virtualmente accedere a tredici percorsi museali e ammirare opere, leggere testi, apprendere e documentarsi. Il dubbio che può venire è che questo provochi pigrizia, che una volta vista una rassegna tramite cellulare si decida che può bastare così. Ma la  verità è che la Fondazione torinese ha stimato nel 2015 uno straordinario incremento globale d'affluenza: il 38 per cento  in più rispetto all'anno precedente.

 

Che si tratti di arte antica, moderna o contemporanea pare che la soluzione sia stare al passo coi tempi. Se la cultura non è morta  bisogna però  saper trovare costantemente il modo di farla incontrare con più fasce d'età, in primis i giovani. Creare un rapporto diretto col pubblico, renderlo partecipe e qualche volta anche coprotagonista insieme all'opera, rispondere in tempo reale alle domande (anche di tipo prettamente pratico, come giorni e orari d'apertura, ovviamente), valorizzare il patrimonio culturale ma anche chi lo ama e lo studia, non sarà tutto ma certo aiuta, e se non è facile dire con certezza chi visita una rassegna perché portato lì direttamente dalla voce del navigatore, è innegabile che si possano ottenere effetti positivi.
E in una società che legge poco e si annoia facilmente,anche per i musei d' Italia e del resto del mondo, il web con le sue infinite possibilità non è un punto d'arrivo ma un punto di partenza.

 

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