Una sala del museo dedicato a Elisabetta di Baviera, l’imperatrice: la Sissi cinematografica interpretata nella seconda metà degli anni Cinquanta da Romy Schneider

Viaggio nelle memorie degli Asburgo

Tra Sissi e Franz Joseph, com'è viva la Vienna che fu

Michele Masneri
Dalla residenza estiva di Schönbrunn alla Hofburg, la reggia urbana con il museo dedicato all’imperatrice, trionfo del kitsch, passando per l’infinito museo del mobile. Un cessetto a forma di delfino per lei. E in cucina un servizio d’argento da 140 coperti, 4.500 pezzi. Tanti fiori nella Cripta dei Cappuccini. L’Austria ricorda l’Ultimo Imperatore a cento anni dalla morte.

Aridatece Cecco Beppe? Mentre in Austria si continuano a rifare elezioni e si succedono dubbi su brogli e pasticci democratici, con timing perfetto ecco a Vienna colossali mostre a celebrare i cent’anni dalla morte dell’Ultimo Imperatore, Francesco Giuseppe, imperatore anche un po’ d’Italia, ancora molto amato e immortalato con l’effigie dell’Asburgo baffone in qualunque vetrinetta di e bar o ristorante da Cortina a Merano in su.

 

E però, arrivando da Roma nella capitale austriaca linda e organizzata già sorge il dubbio che tanti morti a San Martino e Solferino forse perirono invano: trenino (privato) che dall’aeroporto efficiente porta in centro, nove euro. Mezzi pubblici perfetti, in una città comunque di quasi due milioni di abitanti, dove con un euro al giorno si garantiscono agli abitanti servizi ineccepibili; valori al metro quadro, bassi: si è costruito tanto (e bene) per tenere giù i prezzi (e non per soddisfare palazzinari). Polizia discreta in aeroporto, niente assatanati come in Svizzera che non ti fanno neanche uscire dal finger. Addirittura dei bracchi antiesplosivo, al posto dei banali pastori tedeschi.

 

Si va subito a Schönbrunn, residenza estiva Asburgo, con aquile imperiali gigantesche su portale arioso tipo outlet di Valmontone (cinque milioni di turisti annui), dove morì Franz Joseph, il 21 novembre 1916, e la mostra “L’uomo e il monarca” celebra il regnante forse più longevo del Novecento, che qui morì per problemi polmonari, ci informa Martin Mutschlechner, storico degli Asburgo e autore di un ponderoso catalogo “Franz Joseph 1830-1916”, nostra speciale guida. La reggia fu fondata da Maria Teresa, duchessa di Milano, imperatrice cicciottella qui ritratta in tutte le forme, fondatrice dei moderni Asburgo-Lorena, soprattutto gran produttrice di figli per fertility day ante litteram, con 16 eredi in pronta consegna da piazzare su troni europei, tra cui Maria Antonietta, Pietro Leopoldo di Toscana e Maria Carolina che sposerà Ferdinando IV di Napoli (a Napoli doveva andare la sorella Maria Giuseppina, che però muore di vaiolo a tre giorni dalle nozze, ma in panchina c’è la sorella pronta, ecco il bello di avere sedici figli).

 

Ma è Cecco Beppe ad amare soprattutto Schönbrunn, oggi nel mezzo di un agglomerato suburbano vicino a una piscina pubblica molto famosa; mentre i feticisti della casa d’Austria possono, volendo, affittare la reggia, con pragmatismo Asburgo (ci abitano 150 famiglie, si fa richiesta per gli affitti online, ci sono mono e bilocali, per abitare in indirizzi prestigiosi tipo “koch ang”, cioè corridoio della cucina, della casa d’Austria). Una vita da mediano, questo Franz Joseph: nato nel 1830, sulle spalle assolutismo e gloria à la Metternich, e una mamma, l’arciduchessa Sofia, assai fanatica.

 

Lui invece appena diciottenne si becca le rivoluzioni; è soprattutto un militare, informa Mutschlechner, e anche in questo rimarrà deluso: a due anni non parla ancora ma già sa distinguere ufficiali da sottufficiali, ecco qui in mostra nel basement della reggia i suoi soldatini, la sua uniforme con bottoni d’oro quando – a sei anni – diventa tenente. Tante caricature di soldati (anche con mano felice), mentre il ’48, uno choc: il suo ministro della guerra impiccato per strada, a Vienna; nel ’59, Solferino, battaglia talmente atroce che viene subito fondata la Croce Rossa; lì l’Austria perde la Lombardia, e Cecco Beppe smetterà per sempre di guidare l’imperiale esercito (ecco, qui, esposta, una bandiera rossa del Settimo reggimento Fanteria di Cuneo).

 

Intanto negli altoparlanti, tra i reperti, passa l’inno tedesco che, ci spiega la guida, nasce in realtà austriaco, è lo squisito Kaiserhymne o inno imperiale commissionato ad Haydn per Francesco II (nonno di Cecco Beppe), che dice non “Deutschland Uber Alles” ma “Gott erhalte Franz den Kaiser, unsern guten Kaiser Franz!” (“Dio preservi l’imperatore Francesco, il nostro buon imperatore Franz!”), poi scippato dalla Repubblica di Weimar e mai più restituito. In questa Schönbrunn tra sale da biliardo, sala delle udienze, tra un busto di Radetzky e una palmetta di plastica, un rococò spaventoso, ritratti di Elisabetta di Baviera, cioè poi la cinematografica Sissi, moglie di Franz Joseph, ovunque (ma lei detestava il luogo).

 


Schönbrunn


 

Lei incombe anche sullo studiolo, dove Cecco Beppe stava la gran parte del giorno, con bussolotto per lettere con ceralacche pronte, e pelliccetta per i piedi, e paravento per la corrente dalla finestra; è un uomo ormai anziano quando viene a chiudersi qui nel 1898, alla di lei morte, stremato dal secolo lunghissimo; con ritmi e fobie: “Svegliatemi come al solito alle tre e mezzo” (di mattino) lascia scritto il giorno prima della morte, in un lettino a una piazza, striminzito, un lettino da soldato, con tappezzeria a foglie d’edera. E’ ormai un alieno nell’Europa novecentesca: non solo i moti rivoluzionari sotto il naso, l’istituzione di un Parlamento (con la mamma arciduchessa che gli dice “dove andremo a finire”, mentre lui con pragmatismo asburgico accetta la novità); ma pure la Secessione viennese e la psicanalisi – al museo Sigmund Freud ecco la lettera di rallegramenti di Sua Maestà, che dopo “L’interpretazione dei sogni” nomina l’inventore della psicanalisi professore straordinario dell’Università di Vienna, e lo invita in udienza privata (chissà cosa si diranno, magari gli avrà raccontato qualche incubo).

 

Fuori, la modernità. E soprattutto l’avvento dell’acqua corrente e del telefono, due cose che già i borghesi hanno in tutta Vienna, ma qui non passano. In tutta Schönbrunn ecco l’unico telefono, che l’imperatore fa mettere, costretto dagli eventi, nel cesso, non per chiacchierare comodamente ma per spregio a questo mezzo orrendo di contemporaneità, e l’unica telefonata che riceverà, dice la nostra guida, è da un nipote granduca, in occasione di un compleanno imperiale, e farà rispondere, come Gianni Agnelli dal telefono in auto: “L’imperatore è al momento impegnato”.

 

Odi feroci anche per l’automobile: e spostandosi nelle scuderie, per l’altra mostra “Rappresentanza e discrezione” ecco la Imperialwagen, macchinona che dal 1909 arriva a Corte, ma che Cecco Beppe detesta. Settemila e quattro di cilindrata, cambio a quattro rapporti, fari elettrici, 45 cavalli, 90 all’ora; solo ed esclusivamente color Hofgrüne, verde imperiale, con filo d’oro e capote color sabbia (ancor oggi un ottimo abbinamento) e corona imperiale chiusa al posto della targa quando l’imperatore è a bordo. Questo unico esemplare è quello che condusse in esilio in Svizzera l’erede e nipote Carlo, tecnicamente ultimo imperatore, che qui a Schönbrunn aveva predisposto tutti dei rifacimenti, la corrente elettrica, dei soffitti minimalisti, ma poi non s’ebbe tempo; c’è la disfatta in guerra, e nel 1918 viene proclamata la Repubblica, dunque esilio prima in Svizzera e poi in Portogallo: morirà infatti a Madera di polmonite a trentacinque anni, sposato con Zita di Borbone-Parma, beatificato da Giovanni Paolo II. Non ha formalmente mai abdicato: a rinunciare ai diritti dinastici è stato il figlio Otto, antinazista, europarlamentare, morto gloriosamente nel 2011 e seppellito come tutti gli Asburgo nella Cripta dei Cappuccini di Vienna (l’erede della casa d’Austria oggi è Carlo, che ha sposato una Thyssen-Bornemisza del ramo liquido-artistico).

 

Tante paranoie di attentati, anche, a Schönbrunn: porte d’acciaio rinforzato sotto le decorazioni bianche e oro, come le paratie di palazzo Chigi sulle finestre che danno sulla piazza: tra moti e rivoluzioni, il rischio di finire sparati (come il nipote Francesco Ferdinando a Sarajevo o il fratello Massimiliano del Messico) o accoltellato (come la moglie Sissi, a Ginevra) è alto. Francesco Giuseppe subisce un solo attentato ufficiale in Austria, ci dice la guida: nel 1896 sulla stessa Mariahilfer Strasse che si prende noi oggi per venire a Schönbrunn, un ventisettenne Jacob Reich prende a bastonate l’imperiale carrozza, viene arrestato e salvato da linciaggio certo, si appurerà che è uno scommettitore squilibrato che voleva sottoporre al sovrano una petizione. Inopinatamente non lo spediscono da Freud, ma si alzano le misure di sicurezza a livello “rosso”: nel 1908 i giornali scioccati mettono in prima pagina lo scandalo, Francesco Giuseppe, in carrozza col re di Spagna, le loro maestà sono sovrastate da due ufficiali austriaci con pennacchio, infrangendo qualunque protocollo; ma devono stare più in alto per avere visuale più libera contro eventuali psicopatici.

 

Questi sovrani fanno in fondo una vitaccia: lui usa un “Victoria” nero, con cui fa praticamente il pendolare con la stazione, per prelevare altezze reali omologhe in visita. Sissi segue, con un “calèche” per le dame con interni matelassé di velluto verde, ’na bomboniera, e bordi rialzati forse per non far vedere le gambe (il tutto costruito dalla rinomata carrozzeria Sala di Milano).
Delle gran correnti: scrive il valletto Eugen Ketterl, nelle sue memorie “Ho servito l’imperatore d’Austria”, bestseller del 1929, che a far prendere la polmonite che poi condurrà alla morte il suo padrone è stata la gita in carrozza con lo zar Nicola di Russia, e infatti qui in un raro video si vede sempre Cecco Beppe subito infagottato in una coperta di bordo.

 

Altre parate: il 23 aprile 1854 Sissi entra a Vienna con la “Mailänder Krönungswagen”, la carrozza da sposalizio milanese precedentemente usata dall’arciduchessa Sofia mamma di Franz, già completamente placcata oro nel 1824, poi restaurata per il nuovo royal wedding che serve a dare nuovo twist a una Vienna ormai un po’ appannata dopo i fasti del Congresso, quarant’anni prima; qui l’arciduchessa manda a prendere la nipote (era figlia di sua sorella) con questo catafalco dai maniglioni d’oro con aquila bicipite. E poi Sissi e Franz Joseph si dovranno sorbire l’apoteosi dell’incoronazione ungherese; ecco una carrozza enorme d’oro e vetro con nove cavalli lipizzani e pennacchi alti mezzi metro per il corteo a Buda: diari di prove per mesi e mesi alla presenza dei magnati ungheresi; bauli per le parrucche, pubblicazioni su tutti i rotocalchi del regno; pellicce di leopardo vero con occhi naso e tutto. Un matrimonio molto “su” per riconquistare con soft power il regno d’Ungheria che nel 1848 aveva provato a ribellarsi, sedato nel sangue (ma alla fine tutti questi magnati ungheresi, che sono uomini di mondo, ritengono tutta questa cerimonia, fatta in loro onore, una gran burinata).

 

Ma Sissi? Qui, al museo delle carrozze, ecco il suo manto, piuttosto modesto, in seta candida con ricami in filo d’oro molto minimal. La stola bavarese con iscrizioni arabe che recitano “O mio Dio”, per la soddisfazione di molte dame arabe qui in visita. Però lei soprattutto in nero, sempre, dopo il suicidio del figlio prediletto Rodolfo, che s’ammazza a trentun anni. Ecco tanti quadretti di commemorazione del corteggiamento di Franz Joseph a Bad Ischl, e siamo direttamente dentro “Ludwig” di Luchino Visconti. Lei soprattutto, sempre, interessata ai cavalli più che all’imperatore, che pure non era niente male; come mostra qui il classico ritratto di Anton Einsle del giovane bonazzo con l’occhio liquido Asburgo in uniforme di maresciallo di campo avio (ma ci sono molte varianti).

 

Ai Kaiserappartements, alla Hofburg, l’antico compound imperiale in centro a Vienna, bisogna però andare per vedere il delirante Museo Sissi, probabilmente il più kitsch del mondo, un Madame Tussauds di stato, con coreografie e sfondo blu elettrico e statue a grandezza naturale e pannelli al neon tipo discoteca di Reggio Emilia; anche una altalena elettrica con bambola a grandezza naturale che plana in testa al pubblico, mentre cartelli avvertono che Sissi “lascia l’infanzia in mezzo alla natura verso un futuro incerto!”, a sottolineare sempre la solita morfologia della fiaba della principessa ecologica poi vessata dalle terribili etichette austriache.

 

Orde di visitatori audioguidati da crociera sospirano, mentre video mandano all’impazzata spezzoni dei film di Sissi come fossero documentari. Mentre l’altalena con la bambinona elettrica e l’edera di plastica continua a planare in testa ai visitatori, guide urlano nei microfoni la storia di Franz Joseph che naturalmente doveva sposare la sorella maggiore per ragione di stato e invece sceglie Sissi non preparata alla vita di corte, come una lady Diana bavarese, allevata oltretutto da questi Wittelsbach duchi “in Baviera” non regnanti e un po’ fricchettoni, col papà Max appassionato suonatore di cetra.

 

Così nell’orgasmo delle visitatrici il microfono aggiunge una morale da crociera: “Ma se foste voi, cosa direste a un imperatore che vi chiede in sposa? Potreste mai rifiutare?”. Che momenti. Intanto, tra pareti di cartongesso e cartone scorre la vita di Sissi: il beauty con spazzole e pinzette e lime per unghie e tagliaunghie e una piastra per stirare capelli (perché io valgo), varie parure da lutto e mezzo lutto sempre utili nel caso di morte di qualche congiunto, la ricostruzione del suo vagone reale tipo plastico di “Porta a Porta” e naturalmente all’apice del climax ecco il delitto dell’anarchico Luigi Lucheni che spietato la trafigge sul lago di Ginevra: dunque autopsia, dunque vestito insanguinato. “Anvedi l’hanno ammazzata!”, dice una signora romana tra i crocieristi al marito. “Ciavevi raggione, ma ’er film mica lo faceva véde!”.

 

Intanto, à rebours, e per ricordarla da viva, ecco camere e camerini in questa reggia urbana rococò, la palestra con spalliera tipo Technogym, sbarra trapezio anelli panca da massaggio; alle pareti, dichiarazioni di malmostosità come nelle camerette di adolescenti ribelli, ritratti di parenti solo materni Wittelsbach, dei cani, e del poeta Heine odiato a corte. Un cessetto a forma di delfino, la vasca modernissima zincata su un delizioso linoleum allora appena inventato, tipo resina oggi. Il cesso rimane al centro di queste mostre, e dev’essere una mania nazionale o cittadina visti i molti negozi Boffi e Jacuzzi sul Ring del primo distretto.

 

Anche all’incredibile Museo del mobile, sede di un’altra parte delle celebrazioni asburgiche, nel quartiere hipster Neubau, intitolata “Festa e quotidianità”, la quotidianità si riscontra soprattutto in una stanza tematica con wc da tutte le residenze imperiali, utile anche per una Storia della comoda nell’Ottocento: con copertura di shantung da Innsbruck prima metà del XIX secolo; da Salisburgo in velluto rosso; di noce, di pino chiaro dal castello di Gödöllo, Ungheria, la nostra preferita, con sciacquone a manina d’ottone.

 

Però poi: bastoni e ventagli e ombrellini tutti neri di Sissi sempre più timida, e tutto il mobilio utilizzato dai film, e davvero l’Austria, e Vienna, dovrebbero fare un monumento a Ernst Marischka, sceneggiatore, compositore d’operetta, soprattutto autore della trilogia “Sissi” (1955), “Sissi la giovane imperatrice” (1956), “Sissi. Il destino di un’imperatrice” (1957). Mentre lei poi a un certo punto non si farà più fotografare, giustamente, tipo Greta Garbo, la solita ricetta vincente per entrare definitivamente nel mito: alla reggia di Belvedere, altra mostra, ci sono ritratti immaginari e “rubati” tipo Chi dell’imperatrice, con una Sissi ormai vecchia con cagnone San Bernardo, opera di Anton Romako, 1883, che pare Franca Valeri cattiva e espressionista.

 

Ma al deposito delle imperiali suppellettili si trova davvero di tutto: sessantacinquemila pezzi con corridoi e corridoi di magazzini tipo casa d’aste anche molto minore, con biliardi scrivanie case di bambola cornici centinaia di candelieri sputacchiere di ogni epoca ma soprattutto Biedermeier; inginocchiatoi, attaccapanni, la sedia a rotelle impiallacciata di Elisabetta Cristina (1691-1750), gli elmi di Massimiliano del Messico, pendole di ogni epoca, alari da fuoco, specchiere, il trono di Francesco Giuseppe, un armadio a ponte tipo Mondo Convenienza per qualche casino di caccia, tutta abbastanza robaccia accatastata lì finchè non cominciano a fare il film e utilizzano tutto. A casa Asburgo chiaramente non si buttava niente, e tutto stava qui, perché fino all’Ottocento i mobili eran mobili di nome e di fatto, e i palazzi, tranne la Hofburg, sono vuoti e vengono riarredati a ogni viaggio dei sovrani, con un indotto keynesiano notevole: cento carrozze sempre pronte tipo Gondrand trasporti, mille addetti. Dal 1747 viene creata la Hofmobilieninspektion, il dipartimento degli imperial arredi, che allestisce le residenze (e qui, dopo la repubblica, viene accatastato il tutto).

 


Una delle stanze di Schönbrunn (immagine dal sito)


 

Per passare dalla toilette all’angolo cottura, bisogna però andare alla Hofsilber- und Tafelkammer, reale cambusa, con scaffali di quercia originali a contenere la più incredibile collezione di stoviglie mai vista: migliaia di piatti e bicchieri con l’aquila bicipite (ma la porcellana considerata molto cheap viene introdotta solo nell’Ottocento); ecco il servizio d’argento per 96 coperti ancora utilizzato per i pranzi di stato repubblicani, perché un pezzetto della Hofburg è sede della presidenza della Repubblica e gli viene prestata democraticamente l’argenteria quando serve. Ecco soprattutto il “grand vermeil” (argento placcato oro) da 140 coperti, 4.500 pezzi, 1,1 tonnellate di peso, che tipo Duomo di Milano viene ordinato nel 1808 e terminato con alzate e alzatine e poggiacoltelli nel 1869 (per i pranzetti veloci invece un servizio di alpaca o argentone fornito dai fedeli Krupp).

 

Stanze e stanze di piatti e bauli da pic-nic, presse per anatre all’ultima moda parigina ottocentesca come oggi estrattori di succhi vitaminici e detox (e scontrini originali); vasellame vario aquilato per la fondamentale cerimonia del lavaggio piedi che si tiene ogni giovedì di Pasqua e a cui gli Asburgo sono forsennatamente legati: l’imperatore lava qui i piedi a dodici poveri e l’imperatrice a dodici povere, mentre tovaglie e tovaglioli solo di lino finissimo – i più chic sono come sempre quelli di Massimiliano del Messico, fratello di Cecco Beppe, ex governatore liberal del Lombardo-Veneto dopo Radetzy che si ritira a Trieste facendo costruire il castello di Miramare, e lì riceve evidentemente alla grande; ma invece che starsene tranquillo, accetta inopinatamente il trono del Messico, forse per far star buona la moglie arrivista Carlotta del Belgio che vuole una corona imperiale, e ivi viene sparato dai repubblicani (però che lini squisiti, con la M azzurra, sfrangiati come carta da lettera Pineider). Mentre Sissi per lo yacht che si chiama anche quello con poca fantasia Miramare ci mette un delfino.

 

Lei, moderna in tutto, è anche antesignana delle fobie alimentari, dunque mette su una piccola fattoria bio e vegan tipo Veronica Berlusconi a Macherio, con certe mucche per certi latti non ancora senza lattosio (come avrebbe adorato l’intolleranza al glutine). E fa di tutto perché il sovrano abbia le sue consolazioni: alla sontuosa Biblioteca nazionale d’Austria (altra mostra) tra le 10.000 fotografie e immagini che fanno di Francesco Giuseppe il vip più ritratto tra Otto e Novecento, ecco tante lettere a Katharina Schratt, amante dell’imperatore, attrice, incontrata per la prima volta qui al teatro di corte della Hofburg e caldamente invitata proprio da Sissi che incoraggia l’amicizia.

 

Schratt gli scrive da Madonna di Campiglio e lo chiama “mio angelo industrioso”, perché naturalmente lui provvede con un mensile; lui più decorosamente si rivolge a lei come “carissima signora”, “theuerste Freundin”. Ma lui scrive tantissimo anche ad altre morose, alla mamma e ad altre lady. Con belle calligrafie imparate da piccolo, a sedici anni esercizi di maiuscole insieme all’insegnante di italiano Giovanni Battista Bolza, tra le lezioni di religione con la mamma e il tutore, con scene alla marchese del Grillo. Intanto, sotto gli affreschi settecenteschi della Biblioteca di stato, giovani spose fanno servizi fotografici coi flash, con veli ben più lunghi di quelli di Sissi.

 

Quando muore, il 21 novembre 1916, Cecco Beppe pesa solo 56 chili, annota il valletto Eugen Ketterl. Mentre al museo delle carrozze, il colossale cocchio funebre che da Schönbrunn porta qui alla Hofburg, è forse il prototipo di tutti i mammozzoni del genere Casamonica: 2,5 tonnellate di peso, otto cavalli neri, corona imperiale in cima e teschi che paiono opera delle più sinistre di Jeff Koons. Ruote da due metri di diametro, dieci aquile nerissime che reggono cordoni e pon pon e drappi di velluto nero.

 

Poco più in là, sempre nero, il coupé usato invece per i piccoli momenti di tempo libero, con soli due posti, tipo Smart, e piccolissima coroncina imperiale (ma nel frattempo, a Vienna, nel 1894 viene già iniziata la metropolitana, con 25 stazioni, la città si avviava a scalare tutte le classifiche di vivibilità). Nella Cripta dei Cappuccini, oggi, tutte le bare Asburgo, e tanti fiori anche veri per l’Ultimo Imperatore, mentre sopra, nella chiesa in rifacimento, tra i calcinacci, e in una nuvola di calce candida e vaporosa, anziani frati dicono messa sotto un gran ritratto di padre Pio.