David Bowie (foto LaPresse)

David Bowie in paradiso

Piero Vietti
Andarsene due giorni dopo il lancio del singolo “Lazarus” non può essere un caso. Non per lui. Andarsene subito dopo aver pubblicato un album del genere come “regalo d’addio” sa di tempismo scenico perfetto: milioni di fan hanno appreso della sua morte ieri mattina probabilmente dopo avere passato il weekend ad ascoltare “Blackstar”.

Roma. Ha compiuto 69 anni l’8 gennaio, giorno in cui ha lanciato in tutto il mondo il suo ultimo album, “Blackstar”, dove per l’ennesima volta sperimentava nuove forme di musica, come ha fatto per una vita intera, sempre un passo avanti agli altri. Lo stesso giorno David Bowie ha lanciato il video del suo secondo singolo, “Lazarus”, il personaggio del Vangelo resuscitato da Gesù. Due giorni dopo è morto, ucciso da un cancro.

 

 

Non è stato banale neppure alla fine, Bowie, andarsene subito dopo aver pubblicato un album del genere come “regalo d’addio” (così il suo produttore storico Tony Visconti) sa di tempismo scenico perfetto: milioni di fan hanno appreso della sua morte ieri mattina probabilmente dopo avere passato il weekend ad ascoltare “Blackstar”. Ma rivedere oggi il video di “Lazarus”, e ascoltarne le parole alla luce della sua morte ha un altro significato: “Guardate quassù, sono in paradiso – dice la prima strofa – ho cicatrici che non possono essere viste / un dramma che nessuno mi potrà rubare / Adesso tutti sanno chi sono”. Nel video Bowie è disteso su un letto, moribondo, le bende gli coprono gli occhi. Chiamato da una forza invisibile si solleva. “Guardami, amico, sono in pericolo / non ho più nulla da perdere”. Sotto il suo letto c’è qualcuno, nella stessa stanza un altro lui, senza bende, che prima canta i tempi in cui a New York viveva “come un re”, spendendo tutti i soldi per “cercare il tuo culo”,  e poi si siede a scrivere qualcosa con una penna a uno scrittoio su cui è appoggiato un teschio. La canzone è un grido continuo: “Lo sai, sarò libero / come quel passerotto blu / Non è proprio come me?”. Il video finisce con Bowie che entra in un armadio in un angolo della stanza le cui ante si sono aperte all’inizio, e lì dentro scompare.

 

[**Video_box_2**]Se sei uno dei più grandi artisti del Novecento e due giorni prima della tua morte pubblichi in tutto il mondo una canzone come questa, e un video come questo, non può essere un caso. Nella sua carriera David Bowie ha indossato decine di maschere, precedendo gli altri e intuendo ciò che nel suo mondo sarebbe stato e ancora non era. Dopo una vita passata a braccare il futuro, Bowie dice addio guardando in faccia il destino, e cantandolo a noi tutti. L’ultima maschera che il Duca Bianco – una carriera fatta di “resurrezioni” artistiche continue – indossa è quella di Lazzaro, cioè quella di ogni uomo che è destinato a morire, ma non a finire. Non è un esercizio estetico, il suo commiato finale, ma richiesta di un oltre, domanda di risorgere, e non più artisticamente. Guardate quassù, sono in paradiso.
Piero Vietti

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.