Elogio ragionato del leccaculismo ubiquo e sacrosanto, vero sale del mondo

Alfonso Berardinelli
I leccaculo sono fra noi e sono dei benemeriti, a tal punto nostri simili che ci confondono, anche se noi (Dio ne guardi!) non li, non lo, siamo… Il leccaculismo detto anche adulazione, piaggeria, sperpero di lodi ben mirate ma anche a vanvera, è il sale del mondo, è la colla che tiene insieme la società. Il libro di Stengel, ex direttore di Time e oggi con Obama.

I leccaculo, il leccaculismo. Un tema scottante. E’ inutile fare i disinvolti e fare finta di sapere già tutto, di acchiappare il tema per il manico e brandirlo come una spada o un’arma impropria minacciando degli esseri deformi, penosi, osceni e impresentabili. Macché. I leccaculo sono fra noi e sono dei benemeriti, a tal punto nostri simili che ci confondono, anche se noi (Dio ne guardi!) non li, non lo, siamo… Il leccaculismo detto anche adulazione, piaggeria, sperpero di lodi ben mirate ma anche a vanvera, è il sale del mondo, è la colla che tiene insieme la società. E dentro la società, soprattutto nelle macro o micro società culturali, senza leccaculismo le università, la letteratura, le arti, la filosofia, la tv acculturata e perbene non starebbero in piedi.

 

Ogni tanto le copertine del Venerdì di Repubblica mi fanno spalancare gli occhi e tremare di frenetica approvazione. Recentemente era una copertina dedicata agli impostori. Evviva! mi sono detto, finalmente se ne parla. Si vede poco altro in giro, dato che la cultura fa rima con impostura e la politica, la religione, l’economia volano ancora più in alto perché la loro impostura a occhio nudo non si vede neppure: è la farina con cui sono impastate. In realtà, quel servizio del Venerdì, riguardava un romanzo dello spagnolo Javier Cercas, il cui protagonista era un campione assoluto, un impostore gigantesco e geniale. Peccato che parlando di quel caso acrobatico, si schivasse il problema dell’impostura quotidiana, media, normale, perfino discreta: quella che viene seminata e coltivata nelle scuole, nei partiti, nei parlamenti e in tutte le fabbriche di moralismo o di fondamentalismo.

 

Questa settimana la copertina del Venerdì è dedicata ai lecchini o leccaculi e con un’icastica immagine (una scarlatta lingua ipertrofica nell’atto di leccare) annuncia un servizio di Paola Zanuttini e Alberto Statera con un commento di Daria Galateria: “Credevate che i lecchini fossero un tipico prodotto delle corti? Sbagliato. In democrazia sono più forti che mai”. Nella copertina del servizio il tiratore scelto Altan fa dire al suo mostro di turno: “Sono un leccaculi ma non si trova un culo che valga la pena”.

 

Giusto o sbagliato? Sbagliato. Ogni tanto perfino Altan sbaglia e questa volta l’errore è madornale. Mette in scena un leccaculi che dice di esserlo ma evidentemente non lo è. Il leccaculi non dà giudizi di valore sul culo da leccare. Gli piace perché gli serve. Sembra che sia al servizio di qualcuno, invece lecca per amore di sé. Si procura vantaggi, vuole protezioni, cerca complicità. Evita di farsi dei nemici, si dichiara disponibile. L’adulatore è uno che ti fa sapere questo: su di me puoi contare. E’ socievole. Tiene insieme la baracca, fa girare la macchina, butta olio sugli ingranaggi. Si aspetta che tu sia disposto socievolmente a fare altrettanto. Chi loda è sempre simpatico, educato, non giudica per non essere giudicato. Spegne i conflitti, è un esperto di microfisica del potere, sa che il potere è diffuso. Quello che sta in alto è meglio, ma anche in basso, chissà. Di potere ce n’è dovunque un po’, meglio tenersi buoni tutti.

 

Ma vedo che sto teorizzando. Sbagliato! La teoria la si trova tutta in un libro di Richard Stengel uscito da Fazi (“Il manuale del leccaculo”, 381 pp., 14,50 euro), che negli Stati Uniti ha avuto un successo (presso i leccaculi?) che dura già da quindici anni. L’autore è un giornalista, ha diretto Time, oggi è impegnato nell’amministrazione Obama. E’ brillante e acuto, ma ha un tale complesso della cultura che sa di coda di paglia: non riesce a dire una cosa senza appiccicarci una citazione. Nelle prime venti pagine sono citati La Rochefoucauld, Abramo Lincoln, Christopher Lasch, John Locke, Erving Goffman, George Steiner, Daniel Boorstin, Montaigne, Bernard Shaw, Sant’Agostino, Bacone, Tacito, Stefano Guazzo, Shakespeare, Lionel Trilling, Machiavelli, Hegel, Rousseau, David Riesman, André Gide, Darwin, John Stuart Mill, Robert Browning, Emerson, Plinio, Auden… E conclude così, leccando chi lecca: “Se dovessi scegliere fra vivere in un mondo senza lodi e in uno con troppi elogi, non esiterei a optare per il secondo. Che mondo tetro sarebbe un mondo senza lode o senza adulazione”.

 

Ovviamente questa alternativa è una stronzata retorica completamente inventata. Credevate che il libro volesse mettere in allarme i lettori e li spingesse all’autoesame e alla critica sociale? No, al contrario. Siamo umani, amici miei, molto simpaticamente, spregiudicatamente umani. Chiedere una società senza la socievolezza dei ruffiani è una pericolosa noiosa utopia.

 

[**Video_box_2**]Bene, si può anche essere umanamente d’accordo. Solo che a questo punto l’autore confonde l’elogio e la lode con l’adulazione, dopo aver lavorato di testa per farci capire che invece sono cose diverse. Io, se permettete direi così: è sospettabile di adulazione chi non solo esagera nelle lodi, ma critica soltanto chi non ha il potere di nuocere, mentre loda immancabilmente chi fa un po’ paura e può procurarti dei vantaggi. Per esempio, non è raro il caso che un prestigioso direttore di giornale, quando si mette a pubblicare libri, trasformi senza neppure alzare un dito tutti i recensori che scrivono sul suo giornale in seriosi leccaculo.

 

Non ti scandalizzare, bellezza! Questo è sempre successo (direbbe Eco) “da che mondo è mondo”. La democrazia non vieta il libero pensiero. E’ l’inevitabile e sacrosanto potere a renderlo un po’ rischioso. Caro libero pensatore, non drammatizzare. Tutt’al più puoi restare senza lavoro. In un regime dittatoriale ti andrebbe peggio.

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