Dormire, un po' morire

Annalena Benini
Quando vieni a letto, sollevi il piumino producendo gelide correnti d’aria. Accendi l’abat-jour direttamente nei miei occhi. Borbotti perché ho scaldato anche il tuo posto. Butti i pantaloni per terra e mi sveglio con il rumore della fibbia della cintura che fa clong sul parquet.

Quando vieni a letto, sollevi il piumino producendo gelide correnti d’aria. Accendi l’abat-jour direttamente nei miei occhi. Borbotti perché ho scaldato anche il tuo posto. Butti i pantaloni per terra e mi sveglio con il rumore della fibbia della cintura che fa clong sul parquet. Perché tanta crudeltà? Di che cosa ti stai vendicando? Voglio un letto tutto per me, pensa lei che però teme la fine simbolica di quel piccolo mondo amoroso che navigava sicuro dentro un materasso a due piazze, prima che lui le dicesse: puoi smettere di russare?

 

Così adesso la società è combattuta tra un romantico istinto di avvinghiamento e un individualista desiderio di onnipotenza notturna (sdraiarsi a stella, mangiare a letto sbriciolando ovunque, essere insonni senza paura di rimostranze, piumino da Polo Nord oppure niente coperte, rumoroso glu glu con gemiti di soddisfazione ogni volta che ci si disseta dalla bottiglia sul comodino): ci si abbandona all’altro, all’inizio, in una specie di messa a morte della vita precedente, si dorme comodi anche scomodissimi, incastrati, poi a poco a poco si sente un dolore al braccio, una sensazione di sudato soffocamento, il bisogno di una doccia, lo sguardo spaventato sulle pareti intorno per la scoperta che lui ama gli arazzi africani, il desiderio fortissimo di fuga da quei subdoli piedi freddi. Nel pamphlet del sociologo Jean-Claude Kaufmann, appena pubblicato da Raffaello Cortina, “Un letto per due, la tenera guerra”, si scopre che dormire o non dormire insieme, accettare con entusiasmo o con rassegnazione di sommare un altro corpo al proprio, la notte, lungo momento indifeso e spesso preda di incubi e di pensieri che al giorno svaporano, è una scelta essenziale della nostra vita: l’avvenire del mondo, e della società, dipende dal modo in cui scegliamo di andare a letto. C’è chi disegna una immaginaria linea di confine, chi getta un cuscino nel mezzo, chi dorme rannicchiato sul bordo esterno per il terrore del contatto fisico con questo essere all’improvviso spaventoso, ancora prima di riconoscere il disamore. E c’è chi ha inventato uno stratagemma: per liberarsi dall’abbraccio, la mattina molto presto esce a comprare i croissant, respira a pieni polmoni, agita le braccia, ricomincia a vivere, e fa anche bella figura.

 

[**Video_box_2**]La differenza di desideri (anche erotici), le aspettative deluse, le fissazioni in conflitto, il sonnambulismo a sorpresa: tutto quello che di giorno si può sotterrare, di notte esplode, o invece trova pace in un incastro perfetto (o in camere separate, se si supera la vergogna degli ospiti a cena, che guarderanno le due stanze da letto stupiti e torneranno a casa con l’eccitante certezza che quel matrimonio è al capolinea). Se si sta bene insieme dentro un letto (sonniferi a parte), scrive Kaufmann, significa che l’amore e la perdita della vecchia vita solitaria non si sono infranti contro un semplice russare, o con l’ossessione per la radiosveglia all’alba: l’egoismo e l’individualismo esasperato non hanno avuto  il sopravvento. Il mondo è quasi salvo e può dormire tranquillo.

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.