Emma Winter e Andrea Agnelli: lui si è innamorato di Deniz Akalin, compagna dell’ex direttore commerciale della Juventus, lei ha messo fine al matrimonio con un tweet (foto LaPresse)

In amore tutte cameriere

Fabiana Giacomotti
Quando Gianni Agnelli disse che “dopo i vent’anni si innamorano solo le cameriere”, potrebbe anche essere un aforisma apocrifo ma ha goduto di grande fortuna, non immaginava di certo che una nipote acquisita e già, disgraziatamente, trentenne come Emma Winter, avrebbe messo fine al proprio matrimonio con un tweet.

Quando Gianni Agnelli disse che “dopo i vent’anni si innamorano solo le cameriere”, potrebbe anche essere un aforisma apocrifo ma ha goduto di grande fortuna, non immaginava di certo che una nipote acquisita e già, disgraziatamente, trentenne come Emma Winter, avrebbe messo fine al proprio matrimonio con un tweet, mostrando contestualmente ai suoi follower un taglio di capelli molto deciso che è quanto fanno, appunto, molte signore per riprendersi da un amore mal finito, secondo una tradizione mai smentita e anzi continuamente avvalorata da articoli e pareri psicologici. Ormai, anzi, tagli i capelli e subito qualcuno si premura di chiederti se in casa vada tutto bene. Emma Agnelli Winter ha cambiato pettinatura su scala social, cioè mondiale, scaricando nel contempo il marito, e un po’ bisogna capirla, visto che le foto di Andrea Agnelli in estasi per Deniz Akalin, la strepitosa compagna dell’ex direttore commerciale della Juventus Francesco Calvo, erano state cliccate almeno quanto l’ultimo video di Rihanna, esponendo per di più la signora Agnelli Winter a commenti comparativi di natura estetica che senza dubbio non avranno corroborato il suo ego. Il tweet, la rivalsa pubblica, insomma, ci stava, insieme con la nuova acconciatura. Un bel taglio e via, come si dice, e anche con una certa cognizione di causa: da quando la vedova del sempre rimpianto Giovannino Agnelli, la deliziosa Avery Howe un tempo nota come “averywhere” per l’ubiquità rampante, si è accasata con il parrucchiere delle ricche inglesi, John Frieda,  la famiglia Agnelli può infatti ben dirsi intima della schiatta dei figaro. Liberté, égalité et coiffure in centoquaranta caratteri, tanti ne sono bastati a Emma Winter per chiudere socialmente il suo matrimonio; anzi, perfino qualcosa in meno, visto che una trentina sono andati per segnalare quanto “a new haircut always helps” e una ventina per rimettersi in pista: #whitesinglefemale. Giovane, femmina, bianca. La candida cerva delle poesie trobadoriche e di Francesco Petrarca, insomma, ed è lì che vorrei arrivare. All’evidenza che la manifestazione di orgoglio femminile pop mostrato da Emma Winter, tecnicamente una vajassata, ancora più che una nemesi per gli Agnelli e per la residuale pruderie altoborghese di stampo ottocentesco, pesante come un comò umbertino e altrettanto ingombrante, mi pare la dimostrazione che l’amore come ce lo hanno raccontato da sempre sia invece proprio cosa da serve della passione, e spesso pure il matrimonio, soprattutto quando interclasse. Non solo Pamela, non solo Cenerentola, non solo pretty woman.
Da Samuel Richardson all’ultima commedia di Marco Ponti, “Io che amo solo te” e che non è neanche malaccio se si ama il genere Mario Camerini rivisitato per i gusti del Terzo millennio, c’è una linea dritta che discende dalla candida cerva sopra l’erba verde m’apparve e che ci parla continuamente di amori contrastati, di corna date e prese, di spasimi e di singulti, di partenze e di ritorni, di rotture e di ricuciture e soprattutto della supremazia morale dell’amore, il sentimento con la S maiuscola, l’aristocrazia del cuore che eleva le cameriere, in virtù del quale ogni azione è lecita o almeno giustificabile. Lo è persino e in buona parte tuttora perfino il cosiddetto delitto d’amore, figurarsi un banale sputtanamento a mezzo tweet che è semplicemente un risarcimento, la manifestazione dell’orgoglio di dire basta a una situazione imposta e subita. #stop #rewind: spengo tutto, voglio riavvolgere il nastro della mia vita.

 

Rispetto al Petrarca e ai vagheggiatori dell’amore cortese, che era perlopiù fittizio e ipocrita, cioè un mezzo di ascensione sociale per una masnada di strimpellatori di liuto con le pezze al culo, è solo cambiato il linguaggio, e il prefisso al testo è il tasto “cancelletto” del computer invece di un’invocazione a Venere. La sostanza, il tema, però non sono cambiati affatto, a meno non si voglia proprio notare come, rispetto alle manifestazioni di ripudio e alle lettere di rottura a cui ci hanno abituati nel tempo, da questa comunicazione pubblica e furibonda manchi l’accenno all’amore perduto. Ma d’altronde, anche questo è giustificabile e sostenibile storicamente: pure la Grecia classica contava infatti oltre dieci termini per indicare l’amore, nessuno dei quali esprimeva però il concetto di amore romantico, mentre parecchi suggerivano la nozione di erotismo e di possesso, che sono invece sentimenti e pulsioni talmente attuali da aver dato appunto vita all’accezione ossimorica dell’amore malato, cioè omicida, o alle sue manifestazioni meno drammatiche.

 

Nel caso Winter-Agnelli, le cronache raccontano che un’amica di famiglia, la bellissima Eva Herzigova che un tempo si faceva fotografare per il calendario Pirelli e che ora si accomoda forse non troppo volentieri nel ruolo della madamin torinese come moglie di un altro brillantissimo del gruppo, Gregorio Marsiaj, abbia accettato il ruolo di messaggero d’amore o per meglio dire di pace, per riportare a casa la moglie tradita e offesa, la candida cerva ferita, e che sia rientrata con il ramoscello di ulivo spezzato in due. Se sia vero che la sfolgorante Eva si sia calata nei panni di Anna Karenina in visita alla cognata tradita Dolly per ricomporre la famiglia, o che qualcuno si sia affidato al modello di Tolstoj per ammantare di aristocratica dignità una storia che avrebbe potuto benissimo uscire dai quartieri popolari narrati da Carlo Cassola o da un programma di Maria de Filippi, resta difficile da accertare. Il famoso tweet della rottura, segnalato anche sulle pagine della Gazzetta dello Sport per via del terremoto che l’affaire ha creato ai piani alti della Juventus, è seguito però a stretto giro. Insomma, e sempre per non perdere di vista il nostro assioma, si è trattato di una vendetta plateale, popolarissima e sfacciata, e al tempo stesso sottilmente femminile e letteraria, nello stesso stile di quella impartita dalla marchesa di Merteuil al visconte di Valmont che aveva pensato bene non di portarsi un’altra a letto, atto spesso puramente meccanico, una sorta di acquisto di impulso sul quale noi donne tendiamo a sorvolare, ma di innamorarsene, deriva sentimentale che equivale, come ognuna sa, al tradimento vero e proprio e sul quale non cediamo di un millimetro. Inoltre, abbiamo decine di esempi di vendicatrici letterarie di recente invenzione pronte ad assisterci, mentre è dai tempi della principessa di Cleves che non leggiamo di eroine disposte a lasciarsi morire di consunzione per amore. Sappiamo insomma che ogni tanto una bella piazzata è più che accettabile e giustificabile anche da chi lo venisse a sapere, per nostra espressa volontà o meno. Le donne offese della marchesa Colombi tremano vistosamente di gelosia e di rabbia, e trovano sempre il modo per farsi risarcire dell’onta subita, quelle di Carolina Invernizio (la scrittrice vogherese che i contemporanei avevano ribattezzato per l’appunto “la Carolina di servizio”) tornano dall’oltretomba per maledire la rivale procace e spietata e spingerla al suicidio. Financo le tigri del materasso dichiarate come Candace Bushnell, l’autrice di Sex&The City e di un nuovo romanzo del filone chick lit, “Golden girl”, di fronte all’amore tradito fanno fuggire i loro personaggi affranti ma ammantati di orgoglio come la Jane Eyre di duecento anni fa. La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio, e quando non ci sono i denari o il coraggio per compierlo ci si impiega come cameriere o come governanti per racimolarli o per viaggiare al seguito del potente di turno, ben protette.

 

Siamo tutte cameriere, disgraziatamente, nelle questioni d’amore, perché è quanto ci hanno insegnato duemila anni di poesia, di letteratura, di radio, di cinematografia e adesso anche il linguaggio social con le sue manifestazioni di “emotion spotting”, utili tanto ai nostri amici per intuire se usciremo a farci una gran bevuta consolatoria e dunque soccorrerci quando cadremo a faccia in giù sul selciato, quanto ai venditori di creme, scarpe e manuali di training autogeno per intercettare il momento a loro carissimo in cui, essendo state droppate come una palla da golf caduta nello stagno, avremo bisogno di un’autogratificazione e di una consolazione pubblica, plateale, per recuperare l’autostima. L’amore felice, e soprattutto quello infelice che è il modello sul quale ci siamo formati tutti almeno fino agli anni Venti del Novecento e delle prime inquadrature cinematografiche con gli amanti teneramente allacciati a guardare il tramonto, hanno infatti bisogno di una recita e di una rappresentazione per essere reali, e in questo l’età non c’entra affatto. L’amore nascosto trema al solo pensiero di non poter lasciare traccia di sé, di non potersi dichiarare. L’amore è cicaleccio da serve per sua stessa natura, oppure non è. Persino l’amore che non osava dichiarare il proprio nome di Oscar Wilde era pronto a finire nelle aule dei tribunali, come in effetti avvenne, e a diventare oggetto di servili sospiri.

 

E’ pur vero che “pochi si innamorerebbero se non avessero mai sentito parlare dell’amore”, come diceva un altro perfido ma questa volta autografo, La Rochefoucauld, ma ancora meno gli darebbero pubblico sfogo se il palcoscenico contemporaneo dei social non rendesse opportuno, quasi imprescindibile, farlo. Se si trovasse oggi e non più ai tempi della regina Vittoria nel ruolo di primo ministro, probabilmente anche Benjamin Disraeli si risparmierebbe di instillare nelle teste di milioni di emule delle regine di Inghilterra, ma anche di Adalgise milanesi e di Annecarledosio torinesi, che non bisogna mai scusarsi o dare spiegazioni, guai a raccontare i fatti propri o a giustificarlo. Al contrario, come Matteo Renzi, twitterebbe i propri entusiasmi e le proprie afflizioni istituzionali e talvolta pure personali a fine seduta.

 

[**Video_box_2**]A proposito. Noi donne abbiamo l’indole della cameriera, senza dubbio, abbiamo letture che ci plasmano affinché ci venga almeno la tentazione di diventarlo e paracule come Wanda Nara o Kim Kardashian che ci mostrano come esserlo con successo e senza nemmeno parere tali, ma bisogna dire che lo stigma del servaggio sentimentale, della sudditanza psicologica all’amore da romanzo d’appendice, da godere come uno zuccherino a fine pasto e come digestivo, sta iniziando a colpire anche il coté maschile. Lo fa da molti secoli, in realtà, pur senza essere mai entrato nel patrimonio simbolico comune. Per darne qualche accenno, cioè per giustificare le esibizioni di amore stucchevole e sentimentale anche fra gli uomini e forse persino in un futuro Agnelli, avrei voluto citare l’esempio di Andreas Capellanus, ufficialmente cappellano della corte regia di Aquitania, e al suo trattato, il famosissimo “De Amore” pubblicato nel 1174 che, non si sa con quanta ironia o quanto seriamente, consigliava ai giovani come rivolgersi alle donne, come conquistarle ed eventualmente scaricarle in base al loro ceto (il dialogo “fra un uomo della classe media e una dama della nobiltà” vale l’acquisto) e come farsi insomma largo nell’alta società. Da queste, avrei voluto arrivare all’attuale ribaltamento dei ruoli sociali e sessuali al cinema da cui discende la messe di film, romanzi e commedie in cui le Lana Turner o le Lia Franca di un tempo, manovratrici di ascensori tanto reali quanto sociali oppure commesse di grandi magazzini abili soprattutto nell’offerta della propria mano, sono state sostituite da ragazzi delle spedizioni, calciatori, investigatori privati, giornalisti squattrinati che si innamorano delle ereditiere, delle ricche vedove, delle nipoti dei tycoon (scegliete liberamente un modello, combinatelo a piacere e vi verrà subito in mente un film che avete già visto, tipo “Il matrimonio del mio migliore amico” o “Titanic”).

 

Insomma, puntavo a dimostrare che se la narrativa rivolta alle donne ha forgiato intere generazioni di serve sentimentali, anche quella ufficialmente destinata agli uomini ha modellato decine di maggiordomi Ambrogio, portatori di vassoi e di ambizioni. Poi, dalla trascrizione di un’intervista della trasmissione di Radio24 “La zanzara” a Lele Mora sulla sua vecchia liaison con Fabrizio Corona, ho trovato il miglior esempio possibile di reazione camerieresca maschile a un amore finito e a molti soldi spesi per tenerlo in vita: puro fiele distillato e iniettato come il botulino e le sostanze dopanti di cui il fotografo fedifrago farebbe, a suo dire, uso per mantenersi tonico e prestante. Capirete che, se questa è la reazione di un uomo maturo a una passione passata e finita, il taglio di capelli twittato da Emma Winter  è espressione della più alta nobiltà d’animo e della puerilità più candida. #whitesinglefemale.

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