La regina durante una cerimonia natalizia nel 2015 (Getty Images)

La Corona prima di Instagram

Sofia Silva

E’ il gennaio dell’anno 1947, Elisabetta compie ventun anni, di lì a pochi mesi sposerà Filippo. Passato il terrore della guerra, avviata con sollecitudine la ricostruzione, la famiglia reale viaggia a bordo di una nave diretta a Cape Town.

E’ il gennaio dell’anno 1947, Elisabetta compie ventun anni, di lì a pochi mesi sposerà Filippo. Passato il terrore della guerra, avviata con sollecitudine la ricostruzione, la famiglia reale - re Giorgio VI, la regina madre, Elisabetta e la giovane Margaret – viaggia a bordo di una nave diretta a Cape Town: per la prima volta un sovrano inglese camminerà sulle bianche sabbie del Sudafrica. Il trambusto del vento oceanico che sbatte sulla prua e fischia strisciando il reale scafo è nulla in confronto al sublime putiferio scatenato da Elisabetta sul ponte della nave: travolgendo sedie, sdraio, facendo capitombolare la madre, la principessa si lancia tra le braccia dei marinai.

 

Divertito e innamorato, l’equipaggio ha lasciato i posti di comando per correre lungo il ponte giocando ad acchiapparella con la futura Regina. Elisabetta s’accuccia e si slancia, salta a destra e a sinistra, tira i giovanotti per la divisa organizzando con loro degli agguati ai superiori che ridono davanti alla regale giovinezza, lanciando occhiate feroci ai cadetti. Anche Filippo è un marinaio, ha guidato un cacciatorpediniere fino alla Baia di Tokyo. Biondo, biondissimo latin lover, figlio di una madre folle, di un padre donnaiolo, fratello di giovani donne sposate a sinistri ariani, aspetta a piè fermo Elisabetta a Londra.

 

Il nove settembre 2015 il regno della Regina Elisabetta II ha scavalcato in longevità quello della sua bis-trisavola Vittoria e celebra il sessantatreesimo anno con lo scettro in mano e un foulard attorno alla testa. La raffinata eleganza delle signore in stile “Arsenic and Old Lace”. Elisabetta è sempre campionessa d’eleganza: Dorothy Wilding, Cecil Beaton, Yousuf Karsh… la Regina si è affidata ai fotografi più sognanti della sua generazione per immortalare il petto e le morbide braccia incorniciati in splendidi décolleté a corolla, in brevi maniche a gigot.

 

Non s’è mai curata di correggere il suo sorriso un po’ largo che scopre parte della gengiva superiore, né di cambiare con un altro gioiello il famoso doppio giro di perle da abbinare ai vestiti da giorno. Trovate forse qualcosa di più grazioso della svogliatezza d’una Regina che quando sorride mostra tutti i denti e indossa sempre la stessa collana? Sino alla fine degli anni Settanta le spalle della Regina hanno tenuto banco assai più che le ginocchia di Kate Middleton; è sempre stata una fanciulla da girls night out, abbinando le proprie scelte stilistiche a quelle delle sue migliori amiche: la mamma e la sorella Margaret.

 

Se Elisabetta vestiva un colletto stampato di primule, quella simpatica tondetta della regina madre indossava un soprabito verde clorofilla, se l’una portava un cappellino adorno di nontiscordardimè, l’altra mai avrebbe indossato lo stelo di un fiore dal nome pomposo, avrebbe scelto un ranuncolo.  

 

Veniamo ora alla seconda Elisabetta, quella della tarda maturità e della vecchiaia, quella del motto Dieu et mon droit. Una che, assediata da picchettaggi, egiziani, argentini, irlandesi, scozzesi, minatori, sorelle pazze d’amore, nuore irrequiete, skinheads e terroristi, ritrovatasi sola, senza l’adorata madre, ma per sua fortuna con un marito ammirevolmente al suo posto, è passata alle maniere forti. Ha cominciato a indossare golfini infeltriti dal sapore grunge, ha accettato Kate Middleton e soprattutto ha cominciato a infilarsi le dita su per il naso.

 

Me ne informò una famiglia di bengalesi davanti cui sedevo ogni mattina su un vagone della District line di Londra. Marito e moglie si passavano ritmicamente le dita nelle orecchie, su per il naso, si toccavano l’un con l’altra e alla fine rosicchiavano le unghie, non senza aver prima rimosso eventuali materiali di scarto con un colpo di lingua. Un giorno mi spazientii e chiesi se potevano porre fine al loro tran tran. La signora tirò fuori l’iPhone e mi mostrò una foto della Regina Elisabetta in guanti bianchi e tailleur giallo canarino intenta a ficcarsi un dito su per il naso con una tale violenza da allargare considerevolmente il diametro della narice: Dieu et mon nez et mon droit.

 

Una Regina maschiaccio che si è concessa a superstar del click come Annie Lebovitz e a un carnoso artista quale Lucian Freud, cui si deve il più celebre ritratto della sovrana, una tela perlata e mignon. Ma l’unica opera in grado di cogliere con intimità lo spirito della sovrana è il curioso ritratto fotografico scattato quattro anni fa da Thomas Struth. Philip ed Elizabeth siedono su un divanetto in stile Queen Anne a venti centimetri l’uno dell’altra.

 

Philip posa la mano sinistra sull’imbottitura a trama broccata che lo divide dalla moglie, Elizabeth non fa altrettanto con la propria mano destra, ma se la porta in grembo; entrambi poggiano l’altra mano sul rispettivo bracciolo del divanetto, lasciandola leggermente sporgere penzoloni. Philip sorride pacato, mentre Elizabeth serra le labbra in un sorriso imbarazzato. Sembra che Elisabetta ancora, dopo sessant’anni di trono, si ponga la domanda: “Faccio la ragazza o faccio la regina?” – bilanciando la fredda manina con una smorfia maliziosa.

 

Misterioso il cuore delle regine, sempre messo a dura prova. C’è un momento magico, tragico, estremo in cui si decide la loro sorte. Dinanzi al principe che la chiede in sposa, la Regina lo scruta. “E’ ambizioso costui? – si chiede - E che ambizione è? Quella bella che porta alle grandi imprese o un volgare calcolo di potere? Mi ama perché sono Elizabeth o perché sono quel che lui non è?”. La Regina guarda il pretendente negli occhi leggendovi l’inevitabile pensiero: salire sul trono di fianco a lei comporterà per l’amato un grosso sacrificio, per tutta la sua vita si troverà a camminare fissando i tacchetti bassi della sua sovrana. Ecco, un vero re.

 

C’è un monumento a Londra segnalato da tutte le guide, un monumento su cui i turisti buttano un’occhiata solo di striscio; è pacchiano e nemmeno sufficientemente antico perché gli venga perdonata la caduta di stile; è dorato, ibrido, caotico, è l’Albert Memorial, baldacchino funebre eretto dalla Regina Vittoria, giovane vedova, per l’amatissimo marito. Il monumento che impera su Londra non è dedicato né a un re, né a un ammiraglio o a un primo ministro, è l’omaggio a un principe consorte, detto banalmente: a un marito. Talmente ingombrante la disperazione dell’onnipotente Vittoria da trovare spazio solo elevandosi in altezza, in quel terribile pennacchio che sovrasta Hyde Park e che da quasi due secoli ricorda ogni giorno a ogni Windsor che innamorarsi è lecito.

 

Terribile il pennacchio, ma alquanto rassicurante. Mi trovo sotto l’Albert Memorial con la mia amica Kate che sgranocchia del mango secco. Quell’immenso pennacchio, ripetiamolo pure, un po’ kitsch – un kitsch che dà conforto proprio per la sua enormità spropositata, per l’assenza totale di bellezza. Un pugno nello stomaco, di quelli assestati dagli eroi di Fielding. L’Inghilterra non ha mai perso una guerra; fieri, i monumenti imperiali costellano Londra, altrettanto fieri modelle, sceicchi, star della musica indie, socialite, attori e galleristi passano ogni giorno per Savile Row, Bruton Street, per Grosvenor Square. Kate sbuffa e mi guarda storta.

 

Severa, ricambio lo sguardo: “La domanda, bella mia, è questa: come può l’amore fondersi con il potere? Per tutti questi sessantotto anni di matrimonio e sessantatré di regno Elizabeth e Philip come hanno potuto sopravvivere?”. Kate sputa un pezzo di mango: “Semplice: decide lei. Anche a letto, ne sono sicura”. C’incamminiamo per Hyde Park, mosse dai cigni e dalle papere le acque del Serpentine mi fanno tornare alla mente Elizabeth che corre sul ponte della nave rubando il berretto ai marinai. Sono ancora vivi? Quante volte avranno ricordato quel momento… Si saranno sposati, figli maschi, figlie femmine, avranno combattuto qua e là, in posti desolati. Prima di addormentarsi il loro pensiero sarà andato a quell’attimo incredibile in cui tennero tra le braccia la Regina d’Inghilterra.