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C'è un posto dove nemmeno Marie Kondo mette piede: Roma

Michele Masneri

Nella città più disordinata del mondo disfarsi di una libreria è un girone infernale

Roma. “Tieni solo ciò che ti dà gioia”, ormai mantra universale mutuato dalla fortunata serie di Netflix “Facciamo ordine con Marie Kondo” potrebbe essere uno slogan perfetto per tante situazioni, sentimentali, perfino politiche, però restando “letterali”, la sua applicabilità parrebbe ardua soprattutto a Roma, dove è letteralmente impossibile liberarsi dagli oggetti in sovrappiù.

 

Nella città eterna, le cianfrusaglie di cui ci si vorrebbe liberare non se ne vanno mai. Già la differenziata è un incubo, e la mancata frequenza dei raccoglitori invita a tenersi in casa scarti puzzolenti. Liberarsi di manufatti più grandi – armadi, letti, divani – è praticamente impossibile. Gli oggetti premono per rimanere nelle case romane, sarà entropia. E se l’Ama non funziona, anche l’affidamento a service esterni è problematico. C’è tutto un famigerato traffico dei vari “svuoto cantine”, di solito hanno nomi come “Tony e Ivan”, sempre due maschi, uno dei due straniero; arrivano col loro camioncino e poi si sa che vanno a svuotare il camioncino ai margini delle strade, tenendo per sé solo le merci più pregiate. Ma prima lasciano in giro per la città i loro micidiali adesivi promozionali su serrande e muri (che poi devono essere rimossi con apposite spatole). Qui è nato tutto un volontariato talmente rilevante, il Retake, nato nel 2010, che rimuove adesivi e pulisce scritte, che il presidente della Repubblica ha appena premiato la sua fondatrice, Rebecca Jean Spitzmiller, con l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito. Ma se a Roma è praticamente impossibile liberarsi degli oggetti, più facile è rientrare in possesso di quelli perduti.

 

Quando ti fregano qualcosa, i romani lo sanno: subito andare non alla Polizia ma in uno dei vari “mercati del rubato”, tra stazione Ostiense, a via Casilina, o all’outlet del rubato nel campo rom di via Sebastiano Vinci (i rom, loro sì che paiono gli unici ad applicare efficientemente il metodo Kondo, come sarebbe testimoniato dalle pire di fumo spesso visibili nei pressi dei loro compound). Neanche dei cadaveri ci si può liberare: come dimostra il delitto del cassonetto di due anni fa. Il 14 luglio 2017 la signorina Nicoletta Diotallevi rientrava a Roma dalle vacanze, e il fratello Maurizio l’ammazzava, dopo mesi di continue liti. Il Diotallevi dopo averne smembrato il corpo – evidentemente la sorella non gli dava molta gioia – buttava tutto nell’apposito cassonetto, ma lì ci si metteva il genius loci: l’Ama stava in sciopero, dunque i poveri resti rimanevano per giorni nell’indifferenziato, e l’uomo veniva quindi scoperto. Su Facebook, un dipendente Ama commentava: “Gettare pezzi di cadavere in un cassonetto pur sapendo che l’Ama svuota i secchioni quando cazzo je pare... Ma quanto sei cojone?”. Più astuti quelli che seppellirono resti femminili nei giardini della Nunziatura apostolica dei Parioli. Avrebbero potuto vincere il concorso “Ama’s got talent”, l’idea della sindaca Raggi per premiare la creatività dei gioiosi dipendenti municipali).

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