Simone Di Stefano (foto LaPresse)

Le occupazioni non sono tutte uguali: dagli eritrei a CasaPound

Massimo Solani

La Guardia di Finanza tenta il blitz alla sede dei "fascisti del terzo millennio" a Roma. "Se entrate sarà un bagno di sangue". E la Digos blocca tutto. In altri casi i fatti sono andati diversamente

“E’ uno spazio conquistato da un nucleo di famiglie che lo ha sottratto all’abbandono, lo ha riqualificato e lo ha trasformato in un luogo di cultura e di aggregazione, e a quelle famiglie e alla città nessuno potrà mai toglierlo, a prescindere dalla titolarità dell’immobile”. Qualche anno fa era proprio il leader di CasaPound Gianluca Iannone a spiegare così il paradosso tutto italiano di un partito politico con sede in uno stabile occupato illegalmente senza che nessuno, dal comune alla prefettura passando per il demanio proprietario dell’immobile per arrivare al ministero dell’Istruzione assegnatario della struttura, muovesse un dito per ripristinare la legalità. Fino a lunedì, quando la Guardia di Finanza si è presentata al portone del civico 8 di via Napoleone III a Roma, su mandato della procura regionale della Corte dei Conti che indaga per danno erariale in merito al palazzo occupato dalle “tartarughe” il 27 dicembre del 2003. L’obiettivo delle Fiamme gialle era di provvedere agli accertamenti necessari che sarebbero dovuti confluire nel faldone sullo spreco di denaro perpetratosi in questi quindici anni. Un atto che con tutta probabilità rappresenterebbe il primo passo verso lo sgombero dello stabile occupato. Tuttavia, secondo la ricostruzione fatta dal Corriere della Sera, ai militari sarebbe stato impedito l’accesso nonostante un accordo verbale raggiunto nelle settimane scorse, con la regia della Digos romana, fra i vertici dell’organizzazione e la Finanza. “Se entrate sarà un bagno di sangue”, è stata la risposta data da un gruppo di militanti di cui avrebbe fatto parte anche l’ex candidato alla Regione Lazio, Mauro Antonini. Una ricostruzione poi smentita con un comunicato da CasaPound: “Nessuno sgombero in vista, nessun danno erariale, nessuna minaccia alla finanza – ha spiegato il presidente di Cpi Gianluca Iannone – ci siamo limitati a concordare le modalità per un controllo nello stabile che avvenisse nel rispetto dei diritti e della sicurezza delle famiglie in grave stato di emergenza abitativa che vi risiedono dal 2003. Quando però ci siamo resi conto che non era possibile garantire minime condizioni di dignità per i residenti, vista l’inopportuna presenza di una folla di telecamere, ci siamo limitati a chiedere che si rinviasse il controllo ad altra data. D’altra parte – ha aggiunto Iannone – CasaPound non ha nulla da nascondere. Anzi, è nel nostro interesse che questo controllo avvenga, perché è il modo per dimostrare che il movimento, avendo solo sede legale nel palazzo ed esplicando l’attività politica in senso stretto nelle sezioni sul territorio, non ha recato danni alle casse dello stato, mentre i locali di via Napoleone III sono utilizzati in via esclusiva per l’emergenza abitativa”.

  

Di quale emergenza abitativa parli Iannone è tutto da vedere, visto che nel palazzo di via Napoleone, secondo quanto risulta agli uffici capitolini, non è mai stato effettuato un censimento delle persone residenti. Quello che si sa invece, stando almeno a una recente inchiesta dell’Espresso, è che nel palazzo vivono di sicuro una buona fetta di militanti di CasaPound, oltre a parenti e amici dei vertici del movimento. A partire dal segretario Simone Di Stefano, che nei moduli per la candidatura alle elezioni politiche del 2013 ha indicato proprio via Napoleone III come propria residenza, fino ad arrivare alla moglie di Iannone, Maria Bambina Crognale. Non esattamente un'indigente, visto che assieme al marito è socia della catena di ristoranti “Angelino, dal 1899” con sedi, oltre a quella storica di via Capo d’Africa, a Milano, a Malaga in Spagna e a Lima in Perù. E nel palazzo di sei piani su cui capeggia la scritta in marmo che ha suscitato anche le proteste della famiglia di Ezra Pound, da tempo hanno sede anche molte delle cooperative e associazioni legate al movimento. Sono moltissime, non tutte con base nella sede di via Napoleone III, e si occupano di moltissimi temi: dal pronto intervento sanitario (Gr.I.Me.S.) al volontariato internazionale (Solidarité Identités), dal paracadutismo (Istinto Rapace, con cui collaborava anche Pietro Taricone, morto per un incidente durante un lancio) all’escursionismo subacqueo (Diavoli di Mare) fino allo sport da combattimento e arti marziali (Il Circuito), l’escursionismo montano (La Muvra) e la tutela ambientale (La Foresta che Avanza). E’ impegnata nel settore della Protezione civile, invece, “La Salamandra” di cui è responsabile Pietro Casasanta, condannato in primo grado assieme all’ex vicepresidente di CasaPound Andrea Antonini per aver aiutato a ottenere un documento falso il narcotrafficante Mario Santafede, arrestato nel 2008 a Barcellona dove era latitante. L’associazione “L’isola delle Tartarughe”, invece, risulta da anni fra i possibili destinatari del 5 per mille negli elenchi dell'Agenzia delle Entrate e in passato ha ricevuto finanziamenti per decine di migliaia di euro. Nel 2013, però, i versamenti vennero bloccati dopo una indagine del Mise, secondo la quale la misteriosa associazione (quasi clandestina anche sul sito internet di CasaPound e con una sede “fittizia”) non aveva i requisiti per accedere al riparto delle donazioni. Il sospetto, insomma, era che quei soldi finissero nelle casse di CasaPound in violazione della legge. L’Isola, però, ha continuato a far parte degli elenchi dell’Agenzia delle Entrate e CasaPound continua a chiedere ai suoi di indicarla come destinataria del “sostegno alle attività non lucrative e associazioni di promozione sociale”. Secondo i dati del 2015 l’Isola ha ricevuto in totale 41.036 euro.

 

Eppure in una città in cui si sgomberano palazzi occupati senza andare troppo per il sottile o senza far caso al rischio di tensioni o incidenti, come accaduto agli eritrei che vivevano in via Curtatone fino all’agosto del 2017 o ai circa cento residenti di via Costi che nella Capitale sono stati le prime vittime della circolare del ministro dell’Interno Salvini ai prefetti, agli abusivi di via Napoleone III in questi quindici anni nessuno ha mai chiesto conto. “Operazione non prioritaria” è stata, di norma, la valutazione espressa da sindaci e prefetti. L’unica denuncia la presentò il Miur subito dopo l’occupazione dello stabile di proprietà del Demanio che era stato destinato agli uffici distaccati di viale Trastevere, ma già pochi mesi dopo il ministero comunicò all’Agenzia di voler riconsegnare gli spazi per cessate esigenze di servizio. Nel 2007, addirittura, il palazzo di via Napoleone III fu inserito tra le occupazioni storiche di Roma riconosciute dal comune e dall'allora sindaco Walter Veltroni con la delibera 206. Due anni più tardi, invece, quando il primo cittadino era Gianni Alemanno, si provò a inserire l’immobile in un protocollo di intesa con il Demanio per acquisirlo a un prezzo superiore agli 11 milioni. “E concederlo in comodato d’uso gratuito a Casapound”, era l’accusa dell’opposizione che riuscì a sventare l’operazione. All’epoca del prefetto Giuseppe Pecoraro, invece, il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, su pressione del Pd, si occupò della vicenda mentre fu il commissario Tronca a inserire la struttura di via Napoleone III nella lista dei 74 stabili occupati senza tuttavia comprenderlo in quella “ristretta” delle priorità. Così, nonostante tre distacchi delle utenze di luce e gas e altrettanti riallacci (l’ultimo in barba al decreto Lupi), di sgombero si tornò a parlare nel gennaio scorso in un comitato metropolitano in prefettura. “Resisteremo con le unghie e con i denti”, fu la risposta da via Napoleone III, perché “qui dentro ci abitano delle persone in emergenza abitativa, famiglie, bambini e pensionati”. Negli stessi giorni, intanto, partiva anche l’inchiesta della Corte dei Conti che, stando al lavoro dei pm coordinati da Andrea Lupi, stima un danno erariale di 4 milioni di euro in dieci anni. Soldi di cui potrebbero essere chiamati a rispondere anche i sindaci dello stesso periodo: Gianni Alemanno, Ignazio Marino e Virginia Raggi.

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