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Igor il russo, la fuga e i banditi in bicicletta

Giovanni Battistuzzi

Dopo l'omicidio di Budrio e quello di Portomaggiore, Norbert Feher era riuscito a scappare dalla polizia e a raggiungere la Spagna pedalando

"Ma cosa lo cercano in palude, quello là si è messo la tutina, ha preso una bici e si è mimetizzato tra i ciclisti. E chi lo prende più!". Quella che sembrava soltanto una battuta fatta a ora di pranzo, era invece la realtà. Norbert Feher, oppure Igor il russo, oppure Ezechiele il serbo, perché un ricercato trasformatosi nel nemico pubblico numero uno necessita di più nomi e di più storie, se l'era svignata davvero così. Nonostante centinaia e centinaia di poliziotti che lo cercavano, nonostante elicotteri che perlustravano la zona, nonostante cani addestrati a percepire odori impercepibili (molecolari li chiamano). Se ne era andato come fosse una battuta, a cavalcioni di una bicicletta, chissà se con la tutina del fine settimana oppure con abiti ordinari, chissà se veramente mimetizzato sotto caschetto e occhialoni colorati oppure à la vecchia, pastrano, cappello e scarponi. Lo credevano nascosto, oppure in viaggio chissà come, forse a piedi, forse in auto, forse in barca, verso oriente, verso quei Balcani che divennero nascondiglio decenni e decenni fa di contrabbandieri e banditi. Lui invece se ne andava controcorrente, verso l'unico posto che riteneva sicuro, la Spagna e le sue campagne brulle, dov'era già stato, dove sapeva di poter trovare un nascondiglio.

 

Norbert Feher aveva ucciso due persone e non ne voleva sapere di essere ammanettato ancora, messo ancora al gabbio. E così ha tentato la fuga. Non c'era giustizia, vera o presunta, nelle sue azioni, solo una rapina, l'ultima di tante, questa volta andata male, finita con un uomo morto a terra, un barista di Budrio, e poi un altro, due settimane dopo, un volontario della guardia ambientale. Da allora era scomparso, dissolto in quel triangolo d'Emilia di campi e paludi. Una fuga in bicicletta che sembra di un'epoca ormai andata, fatta di strade bianche e foto in bianco e nero, in quegli anni tra l'Ottocento e il Novecento, quando le biciclette erano ancora lusso per pochi e facevano ancora la differenza tra l'essere preso e l'essere latitante.

 


La vicenda di Igor il russo

 

Certo c'era Sante o Santo Pollastri o Pollastro, che a Novi Ligure sparava e fuggiva. Una storia diventata libri e canzoni, apparentata più per vicinanza territoriale che reale, con quella a pedali e con quelle di altre fughe, guerrigliere sì ma sportive, di Costante Girardengo, il primo Campionissimo. Un racconto trasformatosi ormai in leggenda, nel quale si fa fatica a distinguere il falso dal vero, la realtà dei fatti dall'espediente narrativo.
  

Reale era invece la miseria di Gillo il veloce, che altro non era che Girolamo Tignazzi, nato nel 1884 a Farnese, nemmeno tremila anime, mille case a picco su di una rupe di tufo tra il lago di Bolsena e il litorale tirrenico. Poveraccio da generazioni, figlio e nipote di mezzadri che a malapena riuscivano a mettere assieme il pranzo con la cena, decise che una vita di miseria era una vita buttata e che meglio brigante e morto che contadino e vivo. Iniziò a dodici anni a rubare, a sedici, che era da poco iniziato il Novecento, rubò una bici e qualche chilo d'oro a un nobiluomo della zona e scappò. Arrivò a Grosseto e in un anno saccheggiò il saccheggiabile. Lo presero, lo portarono in prigione, ma due settimane dopo era già fuggito. Ancora in bicicletta. Lo accolse Livorno e un gruppo di anarchici bravi a far sparire i ricercati. E a Livorno iniziò a rubare su di un'altra bicicletta. "Una Atala, uguale a quella dei campioni" ricordò Amedeo Modigliani, Modì, pittore e amico di Gillo il veloce. Si narra che fosse stato lui a nasconderlo per la prima volta e che, nonostante il suo trasferimento a Parigi, casa sua fosse sempre aperta per il bandito. Sono dicerie mai verificate, ma c'è una foto dei due che dice tutto e dice nulla. Vicini, abbracciati, un sigaro in bocca e un grande sorriso.

 

Tignazzi come Santuvo. Che di nome faceva Pietro o Piero, che di professione faceva pure lui il morto di fame e che come Gillo abbracciò il brigantaggio ciclistico, ma qualche centinaio di chilometri più giù, sulle alture di Itri, un palmo di colline da Sperlonga e uno da Formia. Anarchico, ma disinteressato, più per guadagno che per ideali. Tutto per amore di Elsa, giovane e ricca figlia di possidenti terrieri di Gaeta. Con le rapine aveva comprato una bicicletta, con la bicicletta aveva allargato il giro, ogni tanto salendo anche fino a Roma. Qualche colpo, uno anche alla Cassa di Risparmio di Roma. Una rapina che fruttò migliaia di lire, che costò la vita a un vecchio nobiluomo romano a causa di un infarto e uno strano innamoramento collettivo delle giovani della Capitale per quell'uomo, che raccontano le cronache dell'epoca, "era di aspetto piacevole, con grandi baffi scuri, pantaloni e giacca eleganti, e una rosa per ogni signora che perdeva i propri gioielli". Elsa, però, non la riuscì mai a sposare. La donna si gettò in mare in burrasca pur non sapendo nuotare. La ritrovarono esanime in spiaggia a Sperlonga due giorni dopo. Lui lasciò questo mondo tentando l'impossibile. Provò ad assaltare un treno in bicicletta. Finì sulle rotaie e mai più si alzò.

 

Santuvo dicevano che era un bandito, ma gentiluomo, come gentiluomo è sempre stato ricordato Horst Fantazzini. Anche per lui una vita di furti, iniziata in bicicletta e proseguita alla ricerca del progresso su moto e automobili. Rapinava le banche, ma con eleganza e modi gentili, dicevano. Sarà che "ho un carattere socievole e mi piace ridere e scherzare. Odio la volgarità, la prepotenza e l'ipocrisia", scriveva di sé; sarà perché a lavorare c'aveva anche provato, ma dopo essere cresciuto nella miseria più nera della Germania post Seconda guerra mondiale e poi nelle campagne del bolognese post fascista, aveva deciso che qualche agio era meglio di una vita con la schiena piegata sui campi o in fabbrica.

 

Racconti di altri tempi, dove la cronaca si lega alla memoria e a generazioni di anarchici. Fatti che non sono più solo fatti, ma che si sono mescolati a ideologie e mitizzazioni, perché le vicende di un tempo si prestano alla rivisitazione, perché il bandito era ricercato, ma affascinava il popolo. Storie così lontane dalla truce vicenda di Igor il russo, troppo poco brigante e troppo assassino per diventare storia. Nonostante la bicicletta.

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