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Non è vero che gli architetti non servono a niente, è che non li fanno lavorare

Manuel Orazi

Replica a Vittorio Feltri e ai lamentosi del "magna-magna"

Che bel complimento, quello di Vittorio Feltri, agli architetti (“non servono a un cazzo”). Bisogna accoglierlo col sorriso sulle labbra, perché senza volerlo li ha messi sullo stesso piano degli artisti, che per statuto non devono contare niente – l’arte è inutile o non è.

 

Gli architetti in Italia non contano molto perché visti come artisti e non tecnici al servizio della vita associata. Non c’è una legge sull’architettura come in Francia o altri paesi civili, e infatti realizzano appena il 2 per cento del costruito. Tutto il resto è una questione fra ingegneri, geometri, società di servizi, interventi opachi commissionati direttamente dagli enti pubblici facendo attenzione a evitare l’incarico e quindi la parcella dell’architetto. Clamorosi i recenti bandi comunali in Calabria, ma non solo, per piani regolatori a zero euro per il progettista “in cambio di pubblicità”.

 

Lo abbiamo visto anche nella ricostruzione del terremoto del centro Italia: per mesi l’ex commissario Vasco Errani auspicava e poi conferiva incarichi “sotto soglia” vale a dire sotto i quarantamila euro sopra i quali scatta la necessità di un bando fatto come al solito al ribasso, in modo che vincano scientificamente i peggiori.

 

Lo scorso aprile Stefano Boeri ha accettato l’incarico per varare un centro di coordinamento per i PRG dei comuni del cratere, ma poi in ottobre si è dimesso subito dopo Errani visto che nessuno gli dava più retta. Solo le iniziative private, con donazioni dirette all’americana, sono state realizzate celermente e inaugurate già nel 2017, tutto il resto della macchina pubblica per la ricostruzione arranca o mette i bastoni fra le ruote come nel caso dell’inchiesta del pm di Spoleto contro il centro polifunzionale ad Ancarano di Norcia (realizzato grazie alla Caritas) e l’incredibile avviso di garanzia al sindaco.

 

Inoltre non c’è verso di far lavorare i più bravi, scatta sempre il disco rotto del magna-magna che ha sostituito quello del bunga-bunga. Eppure abbiamo più architetti che qualsiasi altro paese al mondo e l’architettura in ogni paese è parlato attraverso parole italiane: colonna, portico, terrazzo, ecc. esistono in ogni lingua.

 

Torniamo a Feltri però. Il suo è uno dei tanti atti d’accusa trasversali che vanno da Beppe Grillo a Vittorio Sgarbi, dal Fatto quotidiano a Libero&Giornale, da Italia Nostra alla Zanzara, da Casa Pound ai No Tav-no Triv-no Tap-no tutto. Un’eco trasversale che fa gola alle procure di provincia. Gli arruffapopolo e gli accademici con la seconda casa in Toscana, gli avventurieri, gli strapaesani e i facinorosi: tutti uniti contro gli architetti, colpevoli di distruggere “il paesaggio”, “la bellezza” e il quieto vivere. Eppure Dio solo sa quanto l’Italia avrebbe bisogno di piani regolatori, piani strategici, piani paesaggistici fatti da professionisti con un pensiero e non da oscuri funzionari o uffici tecnici.

 

Esiste una via migliore per frenare l’abusivismo edilizio e il dissesto idrogeologico? Dio solo sa quanto le nostre città, a partire dalla capitale, avrebbero bisogno di ammodernamento, opere pubbliche e private, riqualificazioni di infrastrutture e certo, demolizioni di massa. Non occorre essere keynesiani per capire le ricadute economiche e lavorative di tutto questo. Gli architetti non servono a un cazzo però, perché tanto facciamo tutto già come ci pare, senza progetto e magari senza permesso.

 

La Milano caffeina d’Europa che non piace a Massimo Fini né a Feltri, vive la primavera che vive grazie alla sua architettura. Non è vero che l’architettura poi sia espressione solo dei regimi totalitari o liberisti: in Spagna e Portogallo, dalla fine degli anni Sessanta si guardava già all’Italia del Dopoguerra, quella democraticamente imperfetta ma ricca di maestri del cemento armato, da Pier Luigi Nervi a Riccardo Morandi, da Ignazio Gardella a Gio Ponti. E’ guardando questi modelli che le socialdemocrazie iberiche sono diventati paesi modello per l’architettura degli ultimi 30-40 anni e i loro architetti, come Alvaro Siza e Rafael Moneo, modelli di rinascita di tutto il paese – entrambi Pritzker Prize. L’Italia invece no, del resto è un paese che non crede al proprio futuro cioè in se stesso, infatti non fa più figli né progetti, l’unica utopia rimasta è sempre e solo venale: reddito di cittadinanza o pensione per stare a casa. Tuttavia, visto che si avvicina il centenario di Bruno Zevi, energico ottimista anche a Londra sotto le bombe naziste e poi nelle sue lotte civili e politiche, vogliamo rinnovare una sua antica idea: un anno di architettura dovrebbe essere obbligatorio per tutti, come il servizio militare.

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