La rivincita del modello L'Aquila
Ad Amatrice troppa burocrazia produce le stesse inchieste, ma meno case
Nel 2009 il terremoto dell’Aquila distrusse una città intera: oltre 300 vittime e circa 60 mila sfollati. Una catastrofe epocale. Dopo pochi mesi il governo Berlusconi con il progetto C.a.s.e. riuscì a dare 4.500 casette a 15 mila famiglie altrimenti destinate a tendopoli e baraccopoli. Naturalmente non sono mancati i problemi strutturali e gli eccessi nei costi, che hanno portato a una serie di indagini giudiziarie. Sotto accusa c’era il “modello Bertolaso”, quel sistema di gestione delle crisi che per far fronte in tempi brevi alle emergenze prevedeva deroghe alle norme e scavalcava i controlli: in questo iter semplificato e centralizzato nelle mani del governo e della Protezione civile c’era spazio per corruttori e profittatori. Le indagini della magistratura hanno fatto ricordare gli scandali e dimenticare i successi del modello L’Aquila.
Nelle ricostruzioni successive si è scelta la strada opposta: si rispettano tutte le leggi, le procedure burocratiche, i passaggi di carte tra enti e di scartoffie tra sovrintendenze. Così adesso succede che ad Amatrice e Norcia sono state consegnate solo 296 casette, l’8 per cento di quelle ordinate. Si dirà che è il costo della legalità, il prezzo che bisogna pagare per evitare ruberie. Manco per niente. Perché adesso l’Autorità anticorruzione e l’Antimafia indagano sui subappalti e sui ritardi che sarebbero causati da corruzione e malaffare. Pochi controlli favoriscono la corruzione, si dice. Troppa burocrazia alimenta la corruzione, si replica. L’unica certezza è che ci saranno comunque le indagini della magistratura. La differenza è che nel primo caso almeno si danno le casette ai terremotati.
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