L'ingresso dell'aula bunker di Rebibbia (Foto LaPresse)

La fiction della mafia

Massimo Bordin

Ora i minimizzatori fischietteranno. Ma le archiviazioni di ieri (113) sono la spia dell’inchiesta su Mafia Capitale che crolla

Roma. Dalla capitale della mafia alla capitale dell’archiviazione. Le 82 pagine scritte dal gip Flavia Costantini sono importanti anche se ovviamente non fermano il dibattimento che è in corso. Ora diranno che non c’è nulla di clamoroso nelle 113 archiviazioni disposte dal gip su 116 indagati. In fondo quelle archiviazioni era stata la stessa procura a richiederle, dunque se di sconfitta dei pm si può parlare essa dovrebbe riguardare i tre indagati, due consiglieri comunali di centrosinistra e un imprenditore, per i quali il gip ha respinto la richiesta di archiviazione. Niente di clamoroso allora? No, non è proprio così.

 

Occorre mettere a fuoco un concetto che da molto tempo è invalso nel nostro sistema processuale, quello di “indagine parallela”. Vuol dire che la procura, a un certo punto, ottiene degli arresti, chiede il rinvio a giudizio di una serie di indagati, gli viene concesso dal gip, si istruisce il processo ma nel frattempo altri restano indagati e gli stessi ormai imputati sono indagati per altri capi di imputazione. Il garbuglio offre all’accusa alcuni vantaggi. Per esempio il pm può sentire, a dibattimento aperto, un testimone senza l’ingombrante presenza degli avvocati difensori degli imputati e poi portarlo in aula.

 

L’istruttoria parallela però non può durare all’infinito, a un certo punto bisogna che l’accusa si presenti dal gip e spieghi cosa ha concluso. Eccoci al punto dei 116 indagati. A ottobre dell’anno scorso, come qui vi si raccontò, la procura romana si presentò dal gip sostanzialmente dicendo: “Sui capi di imputazione che avevamo lasciato aperti per gli imputati e per quelli che non erano entrati nel processo restando solo indagati, non abbiamo fatto passi avanti significativi; in parole povere non abbiamo nulla  in mano”. Così a ottobre. Ieri il gip ci ha messo il bollo.

 

Per capire quanto questo si rifletta sul processo bisogna fare dei nomi. Per esempio l’ex sindaco Gianni Alemanno. La piovra era arrivata in Campidoglio, si era detto, e aveva avviluppato il suo vertice. Era l’assunto accusatorio propagandato in edicola, in libreria e perfino al cinema. Ora pm e gip convengono che l’ipotesi non regge. Ma almeno i tentacoli della piovra che, anche se non hanno raggiunto il sindaco, qualcuno li avrà mai incarnati davvero? Forse Ernesto Diotallevi, vecchio malavitoso romano che negli anni 80 veniva convocato al ristorante “Il montarozzo” da Pippo Calò che a Roma si faceva chiamare zu’ Gaetano?  No. Neanche su Diotallevi, che pure avrebbe avuto tutte le caratteristiche, è stato trovato nulla di serio. Allora Gennaro Mokbel, l’uomo della truffa Fastweb, o Marco Iannilli, intestatario della villa dove viveva Carminati e collegato a Finmeccanica? Sono storie più recenti di quelle di Diotallevi e la stampa aveva parlato di colletti bianchi collegati, nel caso di Mokbel, anche a un delitto, quello della collina Fleming. Niente: anche loro si vedono archiviata l’indagine.

 

Però fra i 416 bis ipotizzati c’era anche Riccardo Mancini, antico “sodale” del giovane Alemanno anche per storie politiche, poi promosso ai vertici del ricco ente Eur. Niente da fare, come mafioso è archiviato anche lui. Insomma chi resta nel ruolo della piovra?

 

I protagonisti sono due: Carminati e Buzzi. Il samurai, come lo hanno ribattezzato Bonini e De Cataldo nel loro libro, e l’uomo della Coop 29 Giugno, la cooperativa sociale fondata alla presenza di Pietro Ingrao. La piovra dunque aveva le sue basi nell’ormai notissimo distributore di benzina a corso Francia e nella sede della cooperativa, all’altro capo della città. Carminati, Buzzi e i rispettivi ristretti entourage. Dopo la sentenza del gip si può dire che manca il terzo vertice per chiudere il triangolo perché al Campidoglio non si è riusciti ad arrivare. Naturalmente restano le malefatte di assessori, consiglieri comunali, dirigenti delle partecipate, appaltatori, nessuno dei quali però assurge al ruolo di mafioso o concorrente esterno. Sono gli  attori di una antica commedia che peraltro è tutt’ora in scena con attori vecchi e nuovi, avventizi come la sindaca e sperimentati come i Marra e i Romeo o, sull’altro fronte, il procuratore aggiunto Paolo Ielo. L’operazione di politica giudiziaria volta a dilatare il reato di 416 bis, applicandolo di fatto anche ad altri reati, con i vantaggi che ne deriverebbero per l’accusa, è la posta in gioco finale della partita. Diranno che questa decisione del gip non tocca il processo che si svolge nell’aula bunker di Rebibbia, che ovviamente proseguirà, ma sanno che non è così vero, altrimenti non avrebbero bisogno di dirlo.