Millennial al volante, pericolo costante
La fondazione statunitense Victims of Communism Memorial ha appena pubblicato un rapporto sulle attitudini degli americani rispetto al “socialismo”. Per chi ritenesse istintivamente che si tratta di argomento troppo datato, consigliamo di dare prima uno sguardo ai risultati dell’ampio sondaggio. A loro modo, sono istruttivi. Dallo studio emerge per esempio che l’80 per cento dei baby boomers americani – quindi i nati tra gli anni 50 e 60 – ritiene che il comunismo è stato, e in parte ancora è, un problema per il mondo. La percentuale di chi ritiene il comunismo un pericolo – passato o presente che sia – scende invece al 55 per cento tra i cosiddetti millennials, cioè i nati tra i primi anni 80 e la metà degli anni 90. Tra i più giovani, poi, soltanto il 37 per cento ha un giudizio “fortemente sfavorevole” del marxismo applicato. Si dirà: il comunismo è un pericolo oggi fisicamente e temporalmente distante per i più giovani, dunque può essere comprensibile una certa spensieratezza in materia.
Quello che però si evince dallo studio è una strutturale leggerezza e una radicata ignoranza non solo della storia, ma uno scarso senso della misura che da tutto ciò discende. Al punto che un millennial su tre, negli Stati Uniti, ritiene che durante il mandato presidenziale di George W. Bush alla Casa Bianca siano state uccise più persone innocenti che sotto il tallone del dittatore sovietico Iosif Stalin. E’ tenendo a mente simili spropositi che forse dovrebbe essere ridimensionata una certa vulgata, vista per esempio all’opera dopo il voto della Brexit, secondo la quale i giovani votano “bene” in virtù della loro anagrafe e della loro formazione curriculare, mentre i più anziani – in quanto tali – votano “male”. In democrazia, vale piuttosto il brocardo reaganiano: “La libertà è una cosa estremamente fragile, e non è mai a più d’una generazione di distanza dalla sua possibile estinzione”.
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