"Le Sabine" di Jacques-Louis David (foto via Wikipedia)

Una docente di Oxford contro il ratto accademico

Giulio Meotti
Naomi Wolf contro l’isteria entrata nelle università inglesi: “Se avete un trauma andate dallo psichiatra” dopo che la facoltà di Archeologia allo University College di Londra ha autorizzato gli studenti a lasciare l’aula se ritengono la discussione degli eventi storici “traumatizzante”. La rabbia pol. corr. dell’America è arrivata in Inghilterra. Anche parlare della Shoah è proibito.

Roma. Gli studenti di Archeologia allo University College di Londra sono autorizzati a lasciare l’aula se ritengono la discussione degli eventi storici “traumatizzante”. Scene familiari nelle enclave accademiche della East Coast americana. Ma adesso i “trigger warnings” (segnalazioni dei contenuti di un corso o di un testo che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni o rievocare traumi) stanno rapidamente guadagnando terreno anche nella vita accademica britannica. Il premier britannico Theresa May è dovuta intervenire per criticare il concetto di “spazi sicuri”. “Molte università, tra cui Edimburgo, London School of Economics, Goldsmiths, Stirling e Central Lancashire stanno avvertendo gli studenti del materiale che pensano potrebbe essere ‘inquietante’, dando loro la possibilità di lasciare l’aula”, scrive l’Independent. “Gli avvertimenti sono stati emessi in vista di lezioni su argomenti quali il cristianesimo, la cultura popolare, la storia, la scienza, la fotografia, la politica e il diritto. L’aumento nell’uso di questo strumento – che è stato applicato alle fotografie di guerra e alle modelle in topless, così come nelle discussioni sul sesso fra minorenni, i senza fissa dimora e la religione – è stato condannato da accademici, che sostengono che potrebbe soffocare il dibattito intellettuale”. Una di queste è Naomi Wolf, femminista eterodossa e docente a Oxford, dove è esperta in morale vittoriana: “Il trauma da aggressione sessuale o altri abusi è reale, ma il luogo per elaborarlo è lo studio di un terapeuta, non un’aula o una università”.

 

Scriveva ieri il sociologo Frank Furedi sul Guardian che “un mio collega in un’altra università ha mostrato una foto di una donna ebrea ungherese emaciata e liberata da un campo di sterminio. Uno studente ha gridato, ‘smettete di mostrare questo, non sono venuto qui per essere traumatizzato!’. Dopo che lo studente si è lamentato del disagio, il mio collega è stato ammonito da un amministratore di stare più attento quando si parla di un argomento così delicato. ‘Come posso insegnare l’Olocausto senza inquietare i miei studenti?’, ha chiesto il mio amico”.

 

Studenti alla Durham University si sono lamentati del fatto che in aula si “parlava di stupri in ‘Tito Andronico’”. Ken MacDonald, preside di un college di Oxford, ha dovuto scrivere un manifesto in cui dichiara: “La libertà di espressione è la linfa dell’università”, esordisce e prosegue osservando che “questo significa inevitabilmente che i membri dell’ateneo si trovano a confrontarsi con opinioni considerate da alcuni traumatizzanti, estreme o offensive. L’università deve quindi promuovere la libertà di espressione all’interno di un contesto di solida civiltà”. La studiosa di Cambridge Mary Beard ha pure sostenuto che gli studenti non devono essere protetti da materie difficili: “Sarebbe disonesto, fondamentalmente disonesto, insegnare solo la storia romana e perdere non solo il ratto delle Sabine, ma tutti i loro stupri”.

 

La Goldsmiths University avverte gli studenti che certi corsi prendono in esame questioni che “potrebbero essere sensibili per alcuni”: il sesso fra minorenni, l’autolesionismo, l’uso di droghe, l’Aids, gli “stili di vita queer” e la religione. Temi scottanti per la nuova generazione di bianchi privilegiati che in Inghilterra chiamano sarcasticamente “Hooray Henrys”.

 

Al King’s College di Londra, l’associazione degli studenti potrebbe riuscire nell’impresa di eliminare il “God save the queen” dalla cerimonia di laurea. L’amministrazione dell’università ha aperto una “discussione” sulla vicenda, anziché mandare a quel paese gli studenti. Intanto la Stirling University ha messo un trigger warning anche per un video di Mario Bros: è un po’ troppo “machista”. Docente di letteratura inglese, John Sutherland ha detto che “giustificato o no, stiamo imponendo nella cultura un clima di prudenza intellettuale”. Che è il contrario della conoscenza. E una psicosi ben peggiore dei clown che in questi giorni seminano il terrore fra i passanti inglesi.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.