L'operazione contro il traffico di armi e soldi in favore di Hamas. Foto Ansa
l'editoriale del direttore
L'integralismo islamico è tornato a minacciare la nostra quotidianità
Gli arresti di Genova, gli attacchi in Nigeria, la strage in Australia: c’è un filo conduttore nella violenza che incendia il mondo libero, ma un pezzo dell’opinione pubblica ha scelto di rimuoverlo o di minimizzare. L’urgenza di arginare il jihad globale
Nelle cronache quotidiane, ormai da settimane, c’è un tema importante che torna a emergere con prepotenza e che un pezzo dell’opinione pubblica ha scelto di considerare come secondario, piuttosto che centrale. Si guarda il dito, non la luna, e il risultato è che il distratto collettivo, purtroppo, tende a minimizzare, quasi a rimuovere, quello che è tornato a essere un collante della violenza nel mondo. E’ successo pochi giorni fa, a Genova, con l’operazione che ha portato agli arresti per i presunti finanziamenti di alcuni enti caritatevoli a Hamas. E’ successo pochi giorni fa, in Nigeria, con gli obiettivi dei bombardamenti di Trump. E’ successo in Australia, a Bondi Beach, con l’attacco terroristico contro un gruppo di ebrei impegnati in una celebrazione ebraica. E’ successo a Manchester, poche settimane fa, con l’attacco a una sinagoga. E’ successo in Germania, poche settimane fa, con una serie di arresti per sventare un piano di attacco a un mercatino di Natale. E’ successo con due accoltellamenti, uno in Francia, a Mulhouse, e uno in Austria, a Villach. E’ successo in Congo, alla fine dell’estate, dove una chiesa è stata oggetto di attenzioni di un terrorista.
Il filo conduttore della violenza che incendia il mondo libero è sempre lo stesso ma è un filo che un pezzo dell’opinione pubblica ha scelto di rimuovere perché metterlo a fuoco costringe a porsi domande complicate e costringe a fare i conti una realtà evidente ma non per tutti facile da riconoscere. Il filo è, come avrete capito, l’islamismo integralista, il jihadismo, che è tornato a minacciare la nostra quotidianità in modo capillare, offrendo un collante alle violenze di ogni genere. Contro gli ebrei, contro i cristiani, contro gli stessi musulmani infedeli, contro l’occidente, contro i complici del genocidio. La guerra a Gaza, come è evidente, non c’entra con il ritorno di questa violenza, perché Gaza, come dimostra anche l’inchiesta genovese, è un pretesto, e le indagini contro i sospettati di aver alimentato la macchina umanitaria a servizio del jihad erano cominciate prima del 7 ottobre 2023, come dimostrano le analisi sulle segnalazioni sospette (Sos) riportate nelle 300 pagine dell’ordinanza. L’islamismo integralista è un mostro che un pezzo dell’opinione pubblica da tempo osserva in modo più timido rispetto al passato, cercando di trasformare gli effetti di quell’odio in episodi casuali, da non generalizzare. Un coltello uccide in nome dell’islam? Un pazzo. Due attentatori fanno una strage in nome del jihad? Due fuori di testa. Una sinagoga viene saccheggiata in nome dell’islam? Un violento come tanti. Islamisti uccidono cristiani in quanto cristiani? Semplici estremisti, la fede non c’entra. Il filo conduttore che non vogliamo vedere è quello che sta facendo emergere un mondo in cui l’islamismo ha trovato nuovamente carburante per agire. L’antisionismo, l’antisemitismo, l’odio contro l’occidente, l’umanitarismo peloso, l’estremismo pro Pal, il gauchismo. Guido Salvini, ex giudice al tribunale di Milano, giorni fa, dopo la sentenza della Corte d’appello che ha considerato persona non pericolosa un famoso imam torinese che ha giustificato il 7 ottobre, ha scritto al Foglio che “le manifestazioni e le reazioni politiche successive al decreto di espulsione sembrano una prova generale anche in Italia dell’islamo-gauchismo, tanto diffuso nella vicina Francia, una linea politico-culturale che contribuirà di certo ad assicurare la sconfitta delle forze di sinistra alle prossime elezioni”. Non sappiguamo se il giudizio di Guido Salvini sia esagerato. Sappiamo però che in Europa vi è un tema che non tutta l’opinione pubblica riesce a mettere a fuoco con forza. Qualche settimana fa, due studiosi rispettati hanno pubblicato un report ambizioso. Il report si chiama “Unmasking the Muslim Brotherhood. Brotherism, Islamophobia & the EU”, è firmato da Florence Bergeaud-Blackler e Tommaso Virgili, è stato commissionato dal gruppo dei Conservatori e Riformisti al Parlamento europeo ma è tutto tranne che un report ideologico. Il documento analizza la presenza e l’influenza, diretta e indiretta, di reti riconducibili ai Fratelli musulmani in Europa e descrive una strategia definita “Brotherism”: un islamismo politico non violento, graduale e adattivo, che opera attraverso associazioni, Ong, fondazioni culturali e iniziative educative. Il report spiega che la Muslim Brotherhood è “un ecosistema ideologico-operativo” fatto di reti fluide, organizzazioni autonome, alleanze occasionali e “utili idioti”. Il Brotherhood non punta allo scontro ma alla penetrazione graduale, con un uso del linguaggio dei diritti, dell’inclusione, dell’antirazzismo intesto a modificare dall’interno non solo norme, ma anche sensibilità e politiche pubbliche. Il tutto facendo leva, si legge nel report, su meccanismi europei di finanziamento che verificano come vengono spesi i soldi, ma non che cosa viene promosso. E questo crea uno spazio perfetto per organizzazioni che formalmente rispettano le regole ma sostanzialmente veicolano agende del terrore. L’attenzione bassa dedicata a questi temi in un pezzo importante dell’opinione pubblica è legata al fatto che ogni tentativo di mostrare la matrice dell’orrore viene spesso etichettato come se fosse un atto di islamofobia. Critichi l’estremismo islamico, spiegando che l’integralismo islamista è tornato a essere un motore degli orrori globali, una minaccia alla libertà che a volte usa alcune cause umanitarie per foraggiare la violenza, e se lo fai sei un razzista, uno xenofobo, un integralista. Lo specchio della sottovalutazione occidentale e europea e italiana è in una contraddizione solo apparente. In Europa, i Fratelli musulmani non sono ritenuti un’organizzazione che pratica direttamente la violenza armata e non sono banditi, anche se sono particolarmente attenzionati. Al contrario, in molti paesi di cultura musulmana e di religione islamica, i Fratelli musulmani sono formalmente banditi e classificati come organizzazione terroristica. E’ così per esempio negli Emirati Arabi Uniti, in Egitto, in Bahrein, in Siria, in Giordania e in Arabia Saudita. Chi conosce le derive dell’islamismo integralista, perché conosce quelle derive anche sulla sua pelle, perché i jihadisti uccidono anche musulmani, il terrorismo sa come combatterlo. Chi dell’islamismo integralista sceglie di guardare il dito anziché la luna tende a sottovalutarlo, a contestualizzare, a minimizzare. Tornare a guardare quel filo, a capirlo, potrebbe essere un buon proposito per l’anno che verrà, per chiamare le cose con il loro nome e iniziare a porsi di fronte al collante del terrore come un argine, non come un ennesimo utile idiota del jihadismo globale.