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La vicenda

Askatasuna e il sindaco Lo Russo, chi dei due ha davvero sbagliato piano?

Luciano Capone

Prima si è pensato di poter “normalizzare” un centro sociale che fa dell’illegalità una teoria e della violenza una pratica, trasformandolo per delibera in “bene comune”. Poi il paradosso:  gli accordi saltano ma non per lo squadrismo in piazza o per l’assalto a un giornale, ma per una violazione edilizia. Ossia sei persone (e due gatti) al piano sbagliato

Lo vicenda dello sgombero di Askatasuna a Torino presenta degli aspetti a dir poco surreali. Il problema, pare, non è tanto che i militanti del centro sociale abbiano sfondato la redazione di un giornale, ma che fossero nella loro sede. E il problema non era che questi attivisti violenti abbiano occupato per trent’anni l’immobile in corso Regina Margherita in maniera illegale, ma che sei persone e due gatti abbiano dormito al terzo piano anziché al piano terra. L’accordo con il comune prevedeva infatti che attivisti si limitassero a usare il piano terra, liberando quelli superiori perché dichiarati inagibili. La questione non era quindi l’agibilità politica di chi pratica la violenza e l’eversione di piazza, ma l’agibilità edilizia dell’immobile: i militanti non erano quindi un pericolo per le forze dell’ordine e per società civile oggetto dei loro atti di squadrismo, ma erano un pericolo per se stessi in quel palazzo dichiarato pericolante dall’Asl.

In questa storia, la posizione più incomprensibile è quella del sindaco “riformista” Stefano Lo Russo. Il primo cittadino, dopo la perquisizione ordinata dalla procura ha dichiarato decaduto il “patto” che ha avviato il “percorso di cogestione” per legalizzare la trentennale illegalità del centro sociale e che definisce Askatasuna “bene comune”. Per Lo Russo il fatto che qualcuno fosse al terzo piano è una violazione delle condizioni di legalità alla base del “patto”. Non era invece stata decisiva per la decadenza dell’accordo la devastazione da parte di un centinaio di persone, in buona parte militanti di Askatasuna, della redazione della Stampa al grido di “Giornalista terrorista sei il primo della lista!”. Per Lo Russo il “patto” poteva andare avanti, non c’era stata alcuna violazione da parte del centro sociale, solo delle responsabilità individuali da accertare. Non si capisce però come sei persone e due gatti nell’edificio in cui secondo il comune potevano stare (ma non al terzo piano!) siano una responsabilità collettiva, mentre decine di militanti che hanno vandalizzato in una manifestazione politica un edificio in cui non potevano entrare (la redazione di un giornale) siano una responsabilità individuale.

Hanno quasi ragione gli antagonisti di Askatasuna a protestare contro lo sgombero e il passo indietro del sindaco. D’altronde, hanno occupato per trent’anni illegalmente quell’edificio da cui negli anni hanno educato tante giovani generazioni all’antagonismo e organizzato varie manifestazioni sfociate nella devastazione e nella violenza, si pensi solo alle manifestazioni No Tav. Ma, più recentemente, si pensi all’assalto alla sede dell’Unione industriali di Torino, alla vandalizzazione delle Officine Grandi Riparazioni (Ogr)  durante l’Italian Tech Week  e, da ultimo, all’assalto alla redazione della Stampa.

Sono da anni al centro di processi in cui decine di attivisti hanno ricevuto condanne per violenza privata, estorsione, rapina, sequestro di persona, resistenza a pubblico ufficiale, incendio e danneggiamento. La procura generale di Torino che ritiene Askatasuna un’associazione a delinquere (accusa caduta nel primo grado e ora oggetto del processo di appello) ha definito la città il centro egemonico dell’“eversione di piazza” e “la capitale dei centri sociali e degli anarco-insurrezionalisti”. Eppure, nonostante tutto questo, il comune ha pensato di stringere un “patto” per dichiarare questo centro sociale un “bene comune”. E ora cosa succede? Il “patto” decade perché sei persone e due gatti hanno sbagliato piano?

Ad aver sbagliato piano non è forse chi, come il sindaco di Torino, ha pensato di poter legittimare con un “patto” un centro sociale fa dell’illegalità una teoria e della violenza una pratica di azione politica?

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali