Screenshot da Youtube (account Tele 2000)

Tenore scongelato

Il ghiaccio libera lo spirito di Pavarotti dal bronzo senza stile del suo monumento

Francesco Bonami

In Italia gli artisti sembrano appiattiti sull’aspetto casareccio della popolarità televisiva, dimenticando le vere qualità che hanno reso famoso un personaggio. Nel caso del grande tenore, le sue interpretazioni canore sono di un livello leggermente più alto del fazzoletto grondante di sudore rappresentato dalla scultura di Pesaro

Con tutto il rispetto per la buonanima di Albano Poli, autore della scultura di Luciano Pavarotti a Pesaro, inaugurata nel 2024, e per la buonanima del grande tenore, bisogna essere onesti: la statua era già brutta fin dall’inizio e devo dire che non gli assomigliava nemmeno tanto, se non fosse per il simbolico fazzoletto che penzolava da una mano. La pista di ghiaccio che gli è stata costruita attorno, scatenando le ire della moglie di Pavarotti e dei loggionisti del mondo intero, gli dà un tocco di contemporaneità disneyana alla Frozen, che a me non dispiace. Il ghiaccio paradossalmente libera lo spirito del magnifico tenore dal bronzo senza stile e senza tempo del suo sfortunato monumento. Nel Pavarotti che esce dal ghiaccio c’è qualcosa di magico, una sorta di resurrezione dal cattivo gusto imperante in tutta la scultura monumentale e cerimoniale contemporanea in Italia.

 

Da noi gli artisti, di solito non bravissimi, usano il bello interiore dei loro soggetti come un lasciapassare per il brutto esteriore delle loro produzioni, che solo un consenso a tavolino può definire artistiche. Il piacere di celebrare ed essere celebrati rende ciechi. A Milano c’è una scultura, davanti all’Università Statale, di Margherita Hack da far gridare vendetta agli dèi. A San Remo c’è una statua di Mike Bongiorno che fa paura. Per non parlare del monumento a Woytyla, che assomiglia a Charlie Brown, davanti alla Stazione Termini di Roma. Tutte queste opere beneficerebbero dall’essere sepolte nel ghiaccio con la speranza che la glaciazione non finisca mai. Non voglio certo rifugiarmi comodamente nel Rinascimento, ma a quei tempi i monumenti equestri seguivano criteri estetici abbastanza alti. Ma senza andare così indietro, il monumento a Balzac di Auguste Rodin del 1897 è un bell’esempio di come si possa celebrare un grande personaggio creando un capolavoro e rendendo fisica la genialità della sua arte, in questo caso la letteratura. In Italia, invece, gli artisti chiamati a fare monumenti sembrano appiattirsi sull’aspetto casareccio della popolarità televisiva e del successo mediatico, dimenticando le vere qualità che hanno reso famoso un personaggio.

 

Nel caso di Pavarotti, le sue interpretazioni canore sono di un livello leggermente più alto del suo fazzoletto grondante di sudore. Per altro, sono convinto che il grande Luciano avrebbe apprezzato di essere circondato da gente felice che gli avrebbe girato attorno con i pattini. In Italia, il brutto istituzionalizzato diventa patrimonio nazionale e Unesco, intoccabile e incriticabile. Basti pensare al cavallo della Rai a viale Mazzini a Roma, danno irreversibile alla retina. Diventa allora concettualmente interessante capire, viste le premesse, l’iter burocratico che ha consentito la costruzione della pista di pattinaggio. L’idea è perversa e geniale al tempo stesso. Conosco innumerevoli artisti contemporanei che per un’idea del genere darebbero una gamba. Ma non credo che l’idea abbia nulla a che fare con l’arte contemporanea. Piuttosto credo sia il prodotto dello stesso vizio politico che ha acconsentito proprio la realizzazione del monumento a Pavarotti. Il vizio di voler essere populisti a tutti i costi, un po’ per buonismo ruffiano un po’ illudendosi di essere geni del marketing e della comunicazione. Non credo si volesse fare un torto a Pavarotti, caso mai lo si voleva sfruttare: non è che capita dovunque e a ogni Natale di poter zigzagare attorno alla scultura di una celebrità. Selfie mio fatti capanna!

 

A Milano, in un angolino sperduto vicino al Teatro dal Verme c’è, piccino piccino, un monumento a Nelson Mandela. La dimensione è direttamente proporzionale al fatto di non essere stato mai ospitato a “Che Tempo Che Fa” o “Domenica in”. Per dargli un po’ di visibilità basteranno un paio di sacchetti di ghiaccio. Per il brutto che avanza, invece, si prospettano comunque occasioni ghiotte e anche per gli organizzatori di intrattenimenti natalizi. AAA monumenti orribili cercansi per Pippo Baudo, Ornella Vanoni e, fresco fresco, Nicola Pietrangeli. Piazze, rotonde e viuzze vuote ce ne sono in abbondanza. Di artisti a cui prudono le mani, pure.

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