Museo di orologi a cucù di Tabley, Knutsford, Regno Unito: l'orologiaio Roman Piekarski li prepara al cambio dell'ora (foto GettyImages)  

La Spagna torna a proporre di abolire l'ora legale. Ecco perché la questione si riapre adesso (ed è politica)

Enrico Cicchetti

Domenica 26 ottobre le lancette tornano indietro. E Pedro Sánchez ci riprova: alla vigilia della scadenza del calendario europeo che disciplina gli spostamenti dell’orario fino al 2026, riapre un dibattito che ciclicamente si risveglia, e ciclicamente si arena

Il governo spagnolo è tornato a chiedere alle istituzioni europee l’abolizione del cambio semestrale dell’ora. Lo ha fatto in prossimità del passaggio dall’ora legale a quella solare, previsto tra sabato e domenica, ma soprattutto alla vigilia della scadenza del calendario europeo che disciplina gli spostamenti dell’orario fino al 2026. Alle 3 del mattino di domenica 26 ottobre gli orologi dovranno essere spostati un’ora indietro (permettendoci di dormire un’ora in più, ma "anticipando" il buio serale).

In un video pubblicato sui social il 20 ottobre scorso, il primo ministro Pedro Sánchez ha detto che il sistema attuale "non ha senso", sostenendo che non produca risparmi energetici significativi e possa avere impatti negativi sulla salute. Madrid torna così a riaprire un dibattito che in Europa ciclicamente si risveglia, e ciclicamente si arena. Ma non è solo una trovata social: la Spagna ha portato al Consiglio dell’Unione la richiesta di abolizione: per ora è soltanto una proposta informativa, inserita all’ultimo momento nell’agenda del Consiglio Energia, senza un voto e senza un dibattito formale. Ma è sufficiente a rimettere in moto un dossier bloccato da anni. Il commissario Ue per i trasporti e il turismo sostenibili, il greco Apostolos Tzitzikostas, ha annunciato durante la plenaria di Strasburgo che "la Commissione ha deciso di passare a un'analisi più approfondita con uno studio dettagliato, su cui stiamo lavorando, per sostenere e supportare una decisione in futuro". A sostegno di Sánchez c’è la vicepresidente della Commissione Teresa Ribera, già sua ministra, che ha definito questo "il momento giusto" per ripensare il sistema, anche perché il calendario quinquennale delle regole europee scade, come dicevamo, l'anno prossimo.

  

   

Il tema infatti era già stato affrontato a livello europeo nel 2018-2019. La Commissione europea aveva proposto di abolire il doppio cambio annuale, sostenuta da un sondaggio pubblico nel quale l’84 per cento dei 4,6 milioni di partecipanti si era detto contrario all’alternanza semestrale. Nel 2019 il Parlamento europeo aveva approvato l’ipotesi di riforma con un’ampia maggioranza, ma l’iniziativa si era poi bloccata nel Consiglio dell’Unione a causa delle diverse posizioni degli stati membri. La questione è infatti più politica che tecnica. L’Unione può coordinare, ma non imporre un’ora unica: ogni stato avrebbe l’ultima parola, e senza armonizzazione il mercato unico rischierebbe il caos. L’Italia, per esempio, si è sempre detta contraria a cambiare lo status quo.

 

   

Per arrivare a una modifica servirebbe una maggioranza qualificata in Consiglio: almeno 15 paesi su 27 oppure stati che rappresentino il 65 per cento della popolazione europea. Anche in caso di accordo, ogni paese manterrebbe comunque l’ultima parola sulla scelta definitiva del proprio orario. È uno dei motivi che finora hanno impedito un’intesa: abolire i cambi semestrali obbliga a decidere se mantenere l’ora solare o l’ora legale per tutto l’anno, e i paesi hanno preferenze diverse. Dalla Polonia alla Spagna, fino al caso turco, qui raccontavamo (otto anni fa) di tutte quelle volte in cui il cambio dell'ora non ha avuto solo un significato temporale, ma politico.

   

Tuttavia, porre fine al cambio degli orologi significa di fatto prendere una decisione: bisogna scegliere se mantenere l'ora solare o quella legale. La nuova proposta spagnola vorrebbe allineare l'ora al fuso naturale (in parole povere, l'ora che permetta di avere a mezzogiorno il sole nel punto più alto) e prevede quattro fusi orari in Ue basati sui meridiani: Europa occidentale (Regno Unito, Francia, Spagna, Benelux) all’ora di Greenwich; Irlanda e Portogallo un’ora indietro; Europa centrale e Grecia un’ora avanti; Europa orientale due ore avanti. Ma già si intravedono alcuni problemi, come orari diversi tra Irlanda e Irlanda del Nord, con possibili implicazioni politiche.

Il tema riguarda anche aspetti storici e geografici. I fusi orari europei non corrispondono sempre al cosiddetto “tempo solare” locale: la Spagna, ad esempio, utilizza lo stesso fuso dell’Europa centrale pur essendo più a ovest, una scelta risalente al periodo franchista (la Germania nazista impose la sua ora nella Francia occupata e Franco la mutuò da Hitler per allineare la Spagna all’Asse). Secondo gruppi di studio come la Time Use Initiative, ciò può incidere sugli stili di vita e sulla sincronizzazione con la luce del giorno, con effetti sulla salute. L’orario invernale (solare) sarebbe infatti quello più consono ai nostri ritmi circadiani, benché il buio anticipato immalinconisca molti.

Dal punto di vista economico e dei trasporti, l’Unione europea punta a mantenere un coordinamento minimo tra gli stati membri per evitare ostacoli al mercato unico. Per questo la Commissione ha più volte sottolineato che cambi non armonizzati potrebbero creare complicazioni per la logistica e la mobilità.

L’ora legale nacque come misura di risparmio energetico durante la Prima guerra mondiale ed è stata più volte riformata nel corso del Novecento, fino alla direttiva del 2001 che coordina i cambi in tutta l’Ue. Oggi, secondo diversi studi citati dalla Commissione, i benefici energetici sarebbero marginali, mentre gli effetti sulla salute e sulla sicurezza stradale non sono univocamente dimostrati. L’iniziativa spagnola rimane quindi a uno stadio preliminare. Ma riporta al centro una questione su cui esiste un consenso pubblico ampio, ma nessuna decisione condivisa tra governi. 

Il passaggio dell’ora nasce da un’idea di efficienza industriale del Novecento e dalle crisi energetiche delle guerre. Oggi sembra un relitto utile soprattutto a ricordarci che l’Europa vive ancora nel paradosso delle decisioni comuni: tutti dicono di volere abolire il cambio, nessuno accetta l’orologio dell’altro. In fondo, la proposta di Sánchez è la più europeista delle provocazioni: obbliga i governi a prendere una posizione chiara sul proprio fuso orario e a motivarla. E rimette al centro la dimensione collettiva delle scelte europee.

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti