
Flotilla verso Gaza, Roma spera ancora nella mediazione. Crosetto: "Rischi elevatissimi"
Il ministro della Difesa vede una delegazione, avverte dei rischi “non gestibili” e invita alla responsabilità. Meloni sente Trump e si muove in raccordo con il Vaticano per disinnescare la tensione senza incrinare i rapporti con Israele. Il nodo politico e i precedenti
La Global Sumud Flotilla, composta da 42 imbarcazioni civili cariche di aiuti umanitari (oltre cinquanta italiani coinvolti), sta avanzando lentamente verso Gaza. Le navi si sono lasciate Creta alle spalle dopo una notte difficile per le condizioni del mare molto mosso, ancora monitorate da droni. La destinazione è prevista per giovedì prossimo, salvo imprevisti. Nel frattempo, le pressioni diplomatiche si moltiplicano. La traversata non è soltanto una vicenda di solidarietà internazionale. Per l’Italia è diventata un caso politico che incrocia sicurezza, diplomazia e consenso interno.
Gli attivisti insistono sul fatto di muoversi in acque internazionali “nella piena legalità”, come ha dichiarato la portavoce italiana Maria Elena Delia, che ha lasciato la Flotilla a Creta per incontrare le istituzioni a Roma. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha convocato infatti gli attivisti italiani, avvertendoli che un tentativo di forzare il blocco navale israeliano comporterebbe “rischi elevatissimi e non gestibili”. "È fondamentale che il vostro impegno non si traduca in atti che non porterebbero ad alcun risultato concreto, ma che al contrario rischierebbero di avere effetti drammatici con rischi elevati ed irrazionali", ha detto Crosetto agli attivisti, incontrati nella caserma dei carabinieri della zona San Pietro, avvertendoli: "Qualora la Sumud Flotilla decidesse di intraprendere azioni per forzare un blocco navale si esporrebbe a pericoli elevatissimi e non gestibili, visto che parliamo di barche civili che si pongono l'obiettivo di 'forzare' un dispositivo militare", ha specificato il ministro alludendo al rischio di abbordaggio delle forze dell'Idf nel caso le imbarcazioni dovessero trovarsi a fronteggiare il blocco navale. "La priorità è aiutare realmente la popolazione di Gaza, attraverso i canali umanitari e diplomatici, tutti già attivi", aggiunge il titolare della Difesa che poco dopo registra la risposta ufficiale della stessa portavoce degli attivisti: "La missione va avanti e continua verso Gaza. Noi navighiamo in acque internazionali nella piena legalità. Questa è la nostra responsabilità", dice Delia.
Israele ha già ribadito che impedirà alla Flotilla di raggiungere Gaza, ma ha assicurato – tramite il presidente Isaac Herzog – che le forze armate non useranno “forza letale”. Dietro questa promessa si cela però un margine di incertezza: gli scenari possibili spaziano dal sequestro delle navi al respingimento degli equipaggi, fino all’arresto dei volontari. Le prossime 48 ore potrebbero essere decisive, scrivono diversi media: gli israeliani vorrebbero chiudere la partita entro mercoledì, quando si celebra lo Yom Kippur.
Tra mediazione e sicurezza
Una possibile via d’uscita porta al Vaticano. La scorsa settimana, la Chiesa ha messo sul tavolo una soluzione concreta: far approdare le barche a Cipro e affidare i carichi al Patriarcato latino di Gerusalemme, che li trasferirebbe a Gaza attraverso il porto israeliano di Ashdod. Roma guarda con favore a questa mediazione, che consentirebbe di salvare l'obiettivo umanitario (e la faccia) alla Flotilla senza forzare il blocco navale. Ma gli attivisti, almeno finora, hanno detto no. "La questione degli aiuti è fondamentale, e siamo pronti a valutare mediazioni, ma non a costo di cambiare rotta", ha fatto sapere il movimento. "Cambiare rotta significherebbe ammettere che Israele può continuare ad agire nell’illegalità, indisturbato, senza che nessuno possa (o voglia) far nulla".
Crosetto, da parte sua, ha scelto una linea di fermezza ma senza ultimatum. I suoi appelli sottolineano la “responsabilità comune”, ma descrivono con chiarezza i rischi concreti. Agli attivisti italiani incontrati a Roma ha ribadito che la loro iniziativa li espone a “rischi elevatissimi e non gestibili”. Non solo per il possibile intervento delle forze israeliane, ma anche per le implicazioni che un incidente avrebbe sulla politica estera italiana. La premier Giorgia Meloni segue da vicino la vicenda. Ieri ha parlato direttamente con Donald Trump, segnale che la questione non è considerata marginale nei rapporti transatlantici. In questo scenario, la prudenza diventa un imperativo: l’Italia non può permettersi di schierarsi apertamente contro Israele, partner strategico, né di apparire indifferente alle sofferenze di Gaza.
Il nodo politico e simbolico
La missione è ormai più di un’operazione di consegna di aiuti. Gli attivisti lo ammettono: portare fisicamente i carichi a Gaza è un gesto simbolico, inteso a sfidare un blocco che molti considerano illegale e a invocare l’apertura di corridoi umanitari permanenti. Il governo israeliano, per contro, accusa la Flotilla di “provocazione” e di “servire Hamas”, e sottolinea che ha già rifiutato diverse opzioni di trasferimento pacifico degli aiuti – dal porto cipriota con mediazione del Patriarcato latino di Gerusalemme, al passaggio attraverso Ashdod.
In Italia, la questione ha scosso anche l’opposizione. La segretaria dem Elly Schlein ha incontrato la delegazione degli attivisti e ha chiesto che il dialogo con la Chiesa resti aperto e che il governo “faccia tutto il possibile per proteggere la missione”. Il presidente del M5s Giuseppe Conte ha difeso la rotta verso “acque palestinesi, non israeliane”. Alleanza Verdi-Sinistra ha espresso pieno sostegno agli attivisti, ribaltando la responsabilità dei rischi sul governo Netanyahu: “Non è la Flotilla a creare rischi, ma Israele che viola sistematicamente il diritto internazionale”.
Un'ombra sulla Flottilla: i precedenti
Il precedente più recente non lascia ben sperare. Nel giugno scorso, una barca con dodici attivisti a bordo – tra cui Greta Thunberg – fu intercettata e abbordata in acque internazionali a 110 miglia da Gaza. Nessuno rimase ferito, ma l’episodio confermò che Israele è determinato a far rispettare il blocco. Oggi la posta in gioco è più alta. E a fare preoccupare è un altro precedente, quello del maggio 2010, quando una flottiglia di attivisti pro-palestinesi, conosciuta come la Freedom Flotilla, ha tentato di violare il blocco di Gaza ed è stata intercettata da forze navali israeliane nelle acque internazionali del Mediterraneo. Alcuni giorni prima dell'incidente gli organizzatori avevano preannunciato le proprie intenzioni: non tanto di portare aiuti umanitari quanto piuttosto di forzare il blocco. Il 31 maggio le cinque delle sei navi sono state abbordate, gli attivisti a bordo dell'imbarcazione più grande della flottiglia, la MV Mavi Marmara, hanno cercato di difendersi dalle forze speciali israeliane con armi di fortuna (bastoni, coltelli, catene e sbarre metalliche). Dieci commando israeliani sono rimasti feriti, di cui due gravemente. I soldati israeliani hanno utilizzato le armi e nove attivisti turchi sono stati uccisi sul colpo, mentre un decimo passeggero è morto dopo, a causa delle ferite riportate.
Oggi si spera ancora in una mediazione, tra i parlamentari a bordo, le segreterie delle forze d'opposizione, la Cei di Matteo Zuppi e il patriarcato latino di Gerusalemme guidato dal cardinale Pierbattista Pizzaballa. Come scrive tra gli altri Repubblica, "gli 'ambasciatori' di Flotilla chiedono di ripartire dalla bozza d'intesa di qualche giorno fa, quella svelata da Giorgia Meloni durante un punto stampa a New York. Ma pretendono alcuni aggiustamenti. Due in particolare: che il corridoio per gli aiuti diventi permanente. E che il meccanismo escluda il governo italiano, dunque Food for Gaza: il transito dei beni di prima necessità deve essere mediato solo dalla Chiesa. E transitare da Cipro, oppure dall'Egitto. Regista di questa nuova trattativa è il Colle".
Intanto alcuni volontari hanno scelto di sbarcare, confessando paura. Altri vanno avanti. A poche centinaia di miglia dalla costa, la Flotilla continua a navigare. Ma più la distanza si accorcia, più diventa chiaro che la questione non riguarda solo il carico di aiuti, bensì il significato politico della sfida, che si gioca non solo tra le onde del Mediterraneo orientale, ma anche nelle stanze della diplomazia.