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 Le vie del nero

La strage di Altavilla non ha niente a che fare con gli esorcismi. Ma la possessione angoscia l'uomo da sempre

Michele Magno

La tragedia che si è consumata a Palermo “nel corso di un esorcismo” non è altro che una storia di macabra follia. Fin dagli albori del cristianesimo però, Satana e i suoi demoni occupano uno spazio amplissimo nell'immaginario collettivo

Dimenticatevi i racconti sensazionalistici sui posseduti dal diavolo che avete letto. La strage famigliare avvenuta nella prima decade di febbraio ad Altavilla Milicia è solo una storia di macabra follia, di deliri mistici, di rituali esoterici improvvisati, di torture con utensili domestici (un phon, una padella, una pinza per il camino), di disturbo della personalità dai risvolti criminali. Tuttavia, la tragedia che si è consumata alle porte di Palermo “nel corso di un esorcismo”, come hanno titolato  numerosi giornali, ha comprensibilmente allarmato opinione pubblica e comunità dei fedeli. Tant’è che l’Associazione internazionale degli esorcisti (Aie) ha subito diramato una nota in cui esprime forte preoccupazione per il numero crescente di “persone non autorizzate, false e truffatrici, che sfruttano il dolore e la credulità della gente, approfittandosi dell’ignoranza religiosa e della superficialità di cui, purtroppo, molti oggi sono vittime”. Perché “l’esorcismo è fatto in nome e per l’autorità della Chiesa cattolica, da ministri deputati dalla Chiesa cattolica e secondo i riti stabiliti da essa”. 

Una copiosa letteratura popolare si è soffermata più su questi riti, sugli scongiuri, gli ordini alle forze malefiche, le aspersioni con acqua benedetta, le contorsioni degli ossessi, gli oggetti vomitati, che sulle ragioni del ricorso all’esorcismo e sul suo utilizzo come strumento di potere e propaganda. Si deve a Francis Young una magistrale analisi di tali ragioni. Lo storico inglese osserva che nei suoi periodi più fiorenti l’esorcismo si caratterizza sempre per la coesistenza di due fenomeni: le divisioni all’interno della Chiesa e le paure nei confronti di un nemico esterno (l’eretico, lo stregone, il razionalista, il massone). La pratica esorcistica va invece in crisi quando manca uno dei due, oppure quando prevalgono correnti teologiche più progressiste che cercano di interloquire con la scienza e il mondo moderno (Possessione. Esorcismo ed esorcisti nella storia della Chiesa cattolica, Carocci, 2018). Ma andiamo con ordine. Sappiamo innanzitutto che l’esorcismo battesimale, fissato intorno al 250, è stato un elemento costitutivo dell’iniziazione cristiana. Il vero esorcismo liturgico appare nei sacramentari carolingi dell’ottavo secolo, e lungo tutto il Medioevo vive in competizione con metodi alternativi di lotta contro i demoni, come il potere carismatico dei santi. Nella sua forma attuale l’esorcismo nasce nel Cinquecento ed è figlio della Controriforma. Prima era rivolto  principalmente contro eretici e streghe. Più tardi, il “Rituale Romanum” (1614) disciplina le sue regole e il suo esercizio da parte dei sacerdoti. Infine, tallonata dal razionalismo illuministico europeo e da esigenze di controllo sociale delle classi popolari, nel Settecento la pratica esorcistica inizia un lento declino che si conclude nel secolo successivo, quando viene aspramente osteggiata dai regimi laici in Spagna e in Francia. 

“La Spagna e i suoi territori – scrive Young – rappresentavano il cuore della tradizione conservatrice, mentre la Francia era il centro di un Illuminismo cattolico che ampliava i confini dell’ortodossia. Roma, intrappolata fra le pratiche superstiziose di esorcisti troppo entusiasti e chierici pronti a negare arditamente la realtà stessa della possessione demoniaca, tentò di mediare, imponendo una vigilanza sempre più severa sulla pratica dell’esorcismo: questi controlli, nonostante le assicurazioni che la dottrina non fosse cambiata, produssero l’inevitabile conseguenza di spingere l’esorcismo ai margini della vita cattolica”. Dal 1740, infatti, la pratica esorcistica si scontra non solo con l’ostilità delle autorità ecclesiastiche e civili, ma anche con quella delle professioni mediche, che ne denunciavano gli aspetti fraudolenti. Il 22 giugno 1744 Benedetto XIV invita alla prudenza i vescovi italiani, con un’apposita istruzione circa il rito esorcistico, e l’anno dopo interviene con un’altra direttiva nel caso di Crescentia Höss, una suora francescana della Svevia tormentata dal demonio: “Quando si tratta di esorcizzare degli energumeni è fondamentale discernere prima di tutto se colui di cui si afferma che è posseduto dal demonio lo sia davvero”.

La credenza in una cospirazione satanica e massonica per dominare il mondo  porta Leone XIII a comporre l’influente “esorcismo contro Satana e gli angeli apostati” codificato per la prima volta nel “Rituale” nel 1893. L’esorcismo torna così alla ribalta nel Novecento. Esorcisti di primo piano come Gabriele Amorth e José Antonio Fortea non disdegnano lo studio della parapsicologia e pongono l’accento sui pericoli del culto satanico. In un’udienza generale del novembre 1972, Paolo VI ribadisce l’insegnamento della Chiesa sul diavolo: “Il male [Satana] non più soltanto una deficienza, ma un essere vivo. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa”. Una fosca metafora,  che il cinema e i media hanno contribuito a  sedimentare nell’immaginario collettivo. Si pensi alla fortuna del film “L’esorcista” di William Friedkin (1973), alla morbosa curiosità suscitata dalla proliferazione di sette sataniche, ai programmi televisivi dedicati all’occultismo, a casi editoriali come Un esorcista racconta di padre Amorth (giunto alla ventunesima edizione).

La presenza del male fra gli uomini, di Satana con il suo esercito di demoni, occupa uno spazio amplissimo fin dagli albori del cristianesimo. Il Nuovo Testamento presenta il Maligno come il grande nemico Dio che impedisce l’avvento del regno messianico. Tutte le biografie dei martiri sono intessute della lotta incessante con il demonio, ove la tentazione si concretizza in immagini, suggestioni, figure inquietanti o seducenti, orribili o suadenti. Le varie tradizioni agiografiche e i racconti popolari non andavano troppo per il sottile, e narravano di rapporti intrattenuti con diavoli incubi: “Per sei anni abusò di lei e la tormentò con incredibile libidine” (Jacopo da Varazze, Legenda aurea, 1260-1298). Di rapporti sessuali tra angeli e donne si leggeva del resto nel Genesi, e nel De civitate Dei Agostino (354-430), come ricorda  Tommaso d’Aquino (1225-1274), riprende un mito antico molto diffuso ancora nel Medioevo: “Si sente dire ripetutamente, e molti confermano di averlo sperimentato, […] che i Silvani e i Fauni, comunemente detti incubi, spesso in modo disonesto si sono fatti avanti alle donne, reclamando e ottenendo l’unione sessuale […]”. 

Altro è il problema delle possessioni demoniache, attestate dalla tradizione neotestamentaria e dalle vite dei santi. Il demonio che si impossessa di un corpo umano compie un’azione del tutto possibile. Secondo Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221-1274), “I demoni, per la loro natura sottile e spirituale, possono penetrare tutti i corpi e rimanere in essi senza alcun ostacolo, e li possono torturare a meno che non siano impediti da una forza superiore” (Liber Sententiarum). Anche Benedetto da Norcia (480-547) aveva saggiato, all’inizio della sua vita ascetica, le tentazioni della carne dalle quali si liberò gettandosi in un cespuglio di spine più pungenti del fuoco. San Francesco invece (1181-1226), per liberarsi “a calore carnali”, si gettò nella neve. Se il ripugnante costituisce un segno costante nelle apparizioni del demonio, dalla più antica letteratura apocalittica ai poemi epici e cavallereschi fino alle rappresentazioni iconografiche dei tempi moderni, un’altra caratteristica accompagna il diavolo come simbolo del diverso: il colore nero, la sua “nigredo”. Come “niger puer” si presenta il diavolo ad Antonio di Padova (1195-1231). Neri come carboni sono gli “immondi spiritus” che popolano l’inferno nella visione del cavaliere irlandese Tnugdal (XII secolo). Ed è sempre un “demone con l’aspetto di un nerissimo etiope” quello che tormenta il monaco traduttore del Corano Pietro di Cluny (1092-1156). Un’altra inquietante presenza dei demoni è legata alle pratiche delle arti magiche, cui spesso si unisce l’astrologia. A volte tuttavia il diavolo è anche capace di comportamenti corretti, quasi esemplari: in una delle sue prediche, Jacopo da Vitry (1165-1240) narra di un uomo che, per fuggire dalla moglie “litigiosa e adultera”, decide di andare in pellegrinaggio a San Giacomo di Compostella. Lei gli chiede a chi la lascerà in custodia, e lui risponde irato: “Al diavolo!”. Subito il diavolo si presenta e impedisce agli amanti della moglie di fornicare. Tornato il marito, si accomiata con queste parole: “Avrei preferito custodire dieci cavalle selvatiche piuttosto che questa pessima donna”. E se ne va senza chiedere alcuna ricompensa.

Proviamo, a questo punto, a tirare le somme. La fede, la Bibbia, i Vangeli, le vite dei santi, la Chiesa attestano l’esistenza di demoni malvagi e fanno della spiritualità cristiana un continuo “certamen” contro di essi. Questa lotta rispondeva a un problema cruciale nell’esperienza religiosa: la presenza attiva di forze avverse, del male, del disordine. Un problema difficile da spiegare in un universo che, come nel mito del Genesi, è formato da Jahvè, il quale il sesto giorno si compiace della bontà dell’opera sua: “E Dio contemplò le cose che aveva fatto ed erano molto buone”  (1,31). Nel cammino della salvezza iniziato con la tentazione di Adamo ed Eva e la condanna di Jahvè, la figura di Satana è quindi centrale. Lungo tutta la storia la “civitas Dei” coesiste con la “civitas diaboli” (Agostino, De Trinitate). Nel 1213 papa Innocenzo III torna a individuare in Maometto l’Anticristo nel suo appello per la crociata; di lì a poco, anche il grande scontro fra Federico II e il papato viene inserito in uno scenario apocalittico, come l’evento estremo della lotta fra le forze del bene e le forze del male, prima della fine del mondo. Anche la drammatica caduta di Costantinopoli (1453) sarà opera del “precursore dell’Anticristo, il sultano Maometto II, “empio e acerrimo persecutore del popolo cristiano” (E.Kantorowicz, Federico II imperatore, Garzanti, 2017).

Più tardi, Lucifero infesterà l’Europa di “possesse”, mai tanto numerose come nell’epoca della rivoluzione scientifica e della nascita del pensiero politico moderno, che va dal De revolutionibus orbium coelestium di Copernico (1543) al Leviatano di Hobbes (1651). Peraltro, nel Cinquecento è Satana l’autore della drammatica rottura dell’unità cristiana quando viene identificato, secondo le diverse prospettive polemiche, nel papa o in Lutero. Quest’ultimo, rifugiato nel castello di Wartburg – dove tradusse la Bibbia in tedesco – dopo la sua scomunica (1521), sentiva non topi, ma legioni di diavoli nei rumori provenienti dal soffitto della sua stanza. In questa battaglia contro il demonio i gesuiti sono in prima linea, e di deve a Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi spirituali (1522-1535), la meditazione sull’esercito di Satana teatralmente schierato contro l’esercito di Cristo. E forse non per caso nelle interviste e nelle omelie del gesuita Jorge Mario Bergoglio il richiamo al “principe delle tenebre”, al “serpente astuto”, è così frequente. Come per papa Montini, anche per papa Francesco il diavolo non è una figura mitologica, è una persona reale, è il “bugiardo” che nega che Gesù è il Cristo. Potrebbe tuttavia rimanere una domanda: se la caduta dell’angelo e dell’uomo dipende unicamente dalla libera volontà della creatura, e se il  perdono dell’uomo era incluso nell’amore misericordioso del Padre, che predestinava il Figlio Gesù redentore, perché l’ordine concreto scelto da Dio include quella caduta e quindi la realtà del peccato? A questa domanda è tuttora difficile rispondere: forse perché appartiene al “pensiero del Signore”, ai suoi “insondabili giudizi” e alle sue “inaccessibili vie” (Paolo, Lettera ai Romani, 11, 32-34).

Torniamo ai nostri giorni. Secondo l’Associazione degli psicologi cattolici, ogni anno mezzo milione di italiani si rivolge a un esorcista. L’istruzione ecclesiastica pubblicata nel 1999 (“De exorcismis et supplicationibus quibusdam”) raccomanda all’esorcista di consultarsi con uno psichiatra “competente nelle realtà spirituali” prima di iniziare i rituali canonici. Non poteva ovviamente farlo il Poverello di Assisi, che però insegnò un esorcismo di straordinaria efficacia a frate Ruffino. Il frate era tentato assiduamente dal demonio che, con le sembianze di Cristo, lo esortava a lasciare la vita ascetica. Poiché non servivano preghiere e digiuni, Francesco gli consigliò quello che doveva dire al demonio se si fosse ripresentato per tentarlo. Ruffino, obbediente, seguì le sue indicazioni. Ecco il diavolo che gli dice: “Che ti giova affliggerti mentre tu se’ vivo, e poi quando tu morrai sarai dannato?”. E subitamente frate Ruffino risponde con le parole suggerite dal Poverello di Assisi: “‘Apri la bocca; mo’ vi ti caco’. Di che il demonio isdegnato, immantinente si partì con tanta tempesta e commozione di pietre di monte Subasio ch’era in alto, che per grande spazio bastò il rovinio delle pietre che caddono giuso” (I Fioretti di san Francesco, a cura di B. Bughetti, Città Nuova, 1999).