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Editoriali
L'ordine dei giornalisti e la riforma ridicola e liberticida per l'accesso alla professione
La polizia del buoncostume morale non può vagliare la materia ampia e sfuggente oggetto del lavoro giornalistico. Un percorso formativo unico per tutti i giornalisti darebbe una mazzata esiziale al pluralismo che lo caratterizza
Invece di prendere la decisione più semplice, e abolire l’ordine dei giornalisti, ecco che il Parlamento si appresta a raddoppiarlo, a renderlo titolare di controlli ancora più stringenti per l’accesso alla professione. L’idea, per ora è solo una bozza di riforma proposta dallo stesso ordine, è ben vendibile al senso comune demagogico, perché si vuole imporre che per diventare giornalisti professionisti si sia conseguita una laurea magistrale, cui far seguire un biennio propedeutico, corrispondente più o meno all’attuale praticantato. Questo desiderio di controllo e di irregimentazione nasce più che da pulsioni figlie di un latente autoritarismo (c’è anche quello) da piccole ambizioni cattedratiche e sogni di potere burocratico tipici dei giornalisti pensionati o pensionandi.
Il punto che sfugge, però, è che i giornalisti non fanno rogiti né prescrivono terapie, ma maneggiano una materia più ampia e sfuggente, composta da fatti e opinioni, e in tale attività sono sottoposti a multipli vagli, tra i quali però non può essere messo quello di una specie di polizia del buoncostume morale, politico o giornalistico. Avere un editore e qualche lettore sembra a tutti gli effetti condizione sufficiente per fare i giornalisti e per essere giornalisti. La nostra Costituzione stabilisce che la stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o censure. E nessuna autorizzazione sarebbe così violenta quanto l’obbligo di concludere un corso di studi specificamente indicato.
Un percorso formativo unico per tutti i giornalisti, con l’omologazione garantita già prima che comincino a lavorare, darebbe una mazzata esiziale al pluralismo, cioè al vero bene comune in tutta questa faccenda. Unico fatto positivo è che, con la riforma chiesta dall’ordine, si arriverebbe a un tale tasso di invadenza in una libera professione vitale per il funzionamento di una democrazia da suscitare ricorsi di costituzionalità. E forse sarebbe la volta buona per arrivare, per via legale invece che per via politica, all’abolizione di un cascame del regime chiamato ordine dei giornalisti.
un consiglio di lettura da un nostro partner: Leonardo