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(1934-2023)

Addio a Renata Scotto, soprano che ha fatto scuola ma che resterà unica

Mario Leone

Dal debutto a 19 anni alla Scala ai fasti del Metropolitan di New York: una carriera costellata di successi. E con un grande insegnamento: "Chi sa cantare i pianissimi sa cantare davvero"

Sarebbe stato un banale incidente domestico a uccidere il soprano Renata Scotto. Una notizia tristissima che giunge in una calda mattina agostana quando il ritmo è ancora vacanziero e, per chi rimane in città, si ritrovano spazi di silenzio e pace. La colonna sonora delle mie ultime settimane è una “Madama Butterfly” di Puccini che la Scotto registra nel 1978. La Philharmonia Orchestra diretta da Lorin Maazel; Placido Domingo, Ingvar Wixell e poi la sua voce. La cantante italiana più importante del XX secolo, dotata di genialità, capace di incarnare i personaggi a cui dava voce con una espressività dirompente.

Il debutto al Teatro alla Scala il 7 dicembre 1953 (aveva diciannove anni, sì diciannove) con un cast da far tremare le gambe: Giulini alla direzione, Mario del Monaco, Renata Tebaldi. Primo disco nel 1957 con la “Medea” di Cherubini con Maria Callas.

Sui siti internazionali e sui social la notizia corre veloce e sono tante le istituzioni e gli artisti che lasciano il loro ricordo. Tra questi proprio Placido Domingo che su twitter ricorda il soprano “con il cuore spezzato [...] una delle cantanti più grandi di tutti i tempi, insegnante e partner di oltre cento esibizioni in tutto il mondo”.

Dalle parti del MET (Metropolitan di New York – ndr) non l’hanno amata immediatamente. Al suo debutto nel 1965 sempre con Butterfly vola qualche critica. Il 24 dicembre del 1978 il New York Times scrive: “Chi l’avrebbe mai detto che quella cantante grassottella che nel ’65 debuttava a New York sarebbe diventata una stella?”. Di lì in avanti la venerazione è stata pressoché totale.

Dietro la grandezza di un’artista c’è talento, lavoro e grande costanza. A tutto questo la Scotto aggiunge lo studio e la conoscenza approfondita della musica e un’attenzione maniacale alla partitura. “È tutto scritto nello spartito – ripete spesso in pubblico – sono sempre attenta a quello che il compositore scrive”. Un tratto che può apparire scontato ma che in questi anni, con alcuni giovani cantanti, non lo è. La sua intelligenza musicale le ha permesso di approcciare con originalità un repertorio vastissimo (dal vivo e in disco) vestendo i panni del soprano lirico leggero e quello drammatico. Poi il lavoro come regista, la fondazione dell’”Accademia Operistica Renata Scotto” perché “l’opera è una necessita, è come mangiare”.

Si potrebbe andare avanti riportando aneddoti (donna dotata di una ironia pari al suo talento), spunti tecnici, collaborazioni, amore per l’insegnamento. Si scade nell’ovvio, nel già detto. Ci si ripete, per chi come tanti, non si stancano mai di ascoltare e riascoltare la sua voce. Un connubio di bellezza e arte del canto, lezioni di tecnica, recitazione e vita dalle quali non si finisce di imparare.

Nel 2018 il Teatro alla Scala le rende uno splendido tributo dedicandole un’intera giornata di “studio”, ospitandola in un teatro colmo di persone. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia già nel 1997 la nomina “Accademico” dell’Istituzione romana.

Tra le tante massime della Scotto una su tutte: “Chi sa cantare i pianissimi, sa cantare”. Un manifesto artistico e un’eredità affidata ai suoi tanti discepoli. In questa maniera ha deciso di lasciarci. Se ne è andata nel “pianissimo”. In una calda mattina agostana – resa improvvisamente gelida dalla sua scomparsa – ora, vorremmo solo che le arrivi la nostra gratitudine, non “un bene piccolino” ma infinito come il suo canto.

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