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Editoriali

I dati catastrofici dell'Istat sulla natalità sono anche un monito per la classe dirigente

Redazione

Non bisogna assuefarsi a statistiche di questo tipo, come se fossero inevitabili. La politica deve invece rendersi conto dell’urgenza di contrastarle con misure strutturali

La popolazione italiana continua a diminuire: in un anno si è ridotta di 179 mila unità, perché la natalità ha raggiunto il suo minimo storico, meno di 7 neonati su mille abitanti, a fronte di 12 decessi. Scendere sotto le 40 mila nascite come è accaduto nel 2022 rappresenta un record negativo, è un numero inferiore a quello di 150 anni fa, quando la popolazione era assai meno numerosa. L’aumento della popolazione di cittadinanza straniera, cresciuta di 20 mila unità, non compensa il divario tra natalità e decessi. È una brutta notizia e non bisogna assuefarsi a dati di questo tipo come se fossero inevitabili. La denatalità è un processo che purtroppo è destinato ad autoalimentarsi, ma proprio per questo bisogna rendersi conto dell’urgenza di contrastarlo con misure strutturali.

 

Quella che è cambiata è la concezione che si ha dei figli: una volta erano considerati “il bastone della vecchiaia”, oggi ci si preoccupa di non poterli più aiutare e non addirittura mantenere quando si è vecchi. Per cambiare questa visione servono interventi economici e organizzativi, e in questo campo qualcosa si è fatto attraverso sussidi da vario tipo ma non si riesce ancora ad attivare servizi essenziali come gli asili nido e dare strumenti di garanzia alle lavoratrici madri, che quindi continuano a diminuire. Quello che però sarebbe decisivo è cambiare l’aspettativa di occupazione per i giovani.

 

Al centro c’è un colossale problema di incontro tra domanda e offerta di lavoro che richiede cambiamenti strutturali. Le imprese si aspettano di trovare dipendenti già formati e capaci di svolgere immediatamente le funzioni produttive, la scuola si chiude in se stessa e non riesce a corrispondere alla domanda professionale reale. I tentativi di saldare queste esigenze, come gli esperimenti di scuola-lavoro, sono importanti ma non bastano. Così le coppie, sempre meno giovani, di fronte a queste prospettive, spesso pensano che un figlio diventerà un costo da sostenere per tutta la vita e si preoccupano di un futuro troppo incerto. È una deriva pericolosa che non si fermerà da sola. E proprio per questo deve diventare un problema politico sociale civile e culturale di prima grandezza: probabilmente la più urgente delle priorità.

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