Storia o no?

"Cosa nostra fu sconfitta nel '93. Oggi le mafie sono altre". Parla lo storico Lupo

Gianluca De Rosa

Il professore, tra i maggiori studiosi di mafia in Italia, spiega perché l'arresto di Matteo Messina Denaro chiude un cerchio simbolico "di una storia già finita", ma avverte: "Temo che la criminalità organizzata sia una dimensione della modernità" 

“Non c’è dubbio che sia una giornata storica, ma di una storia passata”. Salvatore Lupo, professore di Storia contemporanea all’Università di Palermo e tra i massimi conoscitori della storia della mafia siciliana non vuole ridimensionare l’importanza dell’arresto, dopo 30 anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro. “Bisogna fare le congratulazioni alle forze dell’ordine che hanno fatto questa brillante operazione. E’ un fatto importante che sottolinea con chiarezza che una storia, quella della Cosa nostra terrorista e stragista, è finita”, dice, ma poi avverte: “E però quella storia era già finita in realtà 30 anni fa con l’arresto di Riina, dunque bisogna stare con i piedi ben piantati per terra perché le questioni che riguardano la mafia oggi sono molto diverse da quella storia a suo modo unica”. 


Già quando morì Bernardo Provenzano, Lupo aveva affrontato una questione spinosa: Provenzano era l’erede di Riina, il nuovo capo dei capi di un’ egemone organizzazione criminale o semplicemente era il sopravvissuto di una mafia terribile, ma sconfitta? “Provenzano non rimase latitante per decenni perché era un super-boss, ma divenne un super-boss perché era rimasto latitante per decenni”, scrisse sul Messaggero avvertendo di non fare lo stesso errore con Messina Denaro. “E invece è stato così, spero sia finita qui”, dice. Ma perché allora questo arresto ha colpito tutta Italia? Come mai i telegiornali hanno dedicato edizioni straordinarie alla cattura?  “Cosa nostra è stata una minaccia reale per la nostra democrazia,  è come se avessimo il bisogno rituale di ripetere all’infinito quell’operazione: la vittoria dello Stato su chi ha provato a fargli la guerra”, spiega. “Inoltre, la nostra società ha il bisogno di dare un volto al male sociale, ma spesso c’è una sproporzione enorme tra il male che si vorrebbe significare e la portata reale di quella persona”. Così però non si rischia  di dare adito a chi dice ‘lo arrestano oggi perché non conta più niente’? “Non penso, quello del complotto fu un rischio quando nel ‘93 fu preso Riina e si cominciò a dire ‘ah ma hanno preso questi corleonesi che sono quattro contadinotti’, una retorica completamente assurda, ora  più passa il tempoe più e più sembra invece giustificata, ma è fasulla anche oggi perché comunque Messina Denaro è stato l’ultimo dei grandi latitanti: erano 100, 99 erano stati presi, e la sconfitta di Cosa nostra derivava da quegli arresti, il fatto che ne restasse uno non permetteva di chiudere completamente questo capitolo, per questo lo Stato lo aveva messo in testa alla lista dei latitanti, e per questo comunque il suo arresto è una notizia importante, è come se finalmente fosse arrivato il certificato di morte di  qualcuno scomparso ormai da dieci anni”.


 Intanto c’è già chi  dice che potrà chiarire aspetti ancora oscuri su quanto accadde in Italia oltre 30 anni fa. “Io – dice il professore – temo che chi dice ‘ora potrà chiarire’ si aspetta di alimentare nuove teorie complottiste, si aspetta, magari anche in buona fede, che finalmente si palesi il mistero dei misteri. Lo dico senza nessun complesso di superiorità, può darsi che dica delle cose importanti, ma i precedenti non raccontano questo”. Eppure Lupo ritiene che l’ossessione mediatica e giudiziaria verso quegli anni abbia avuto anche una  funzione positiva. “Se i Ros sono riusciti ad arrestare Messina Denaro senza soffiate, senza pentiti, come ha raccontato il procuratore capo di Palermo De Lucia – dice – è perché i mafiosi sono stati tenuti sotto controllo costante dalle autorità per decenni, questa è stata una delle ragioni della decadenza della mafia siciliana, per questo quando si criticano anche giustamente certi eccessi non bisogna esagerare  perché evidentemente le cose si tengono insieme:”.  
Ma se Cosa nostra oggi non è più quella degli anni 90, cos’è oggi? Che cos’è la mafia oggi?  “Stando a quello che raccontano le indagini, la più in forma sembra essere quella calabrese, mentre la crisi di Cosa nostra, oltre che dall’attenzione che ha canalizzato su di sé con le stragi, deriva dalla crisi della sua gemella americana, un’interfaccia poderosa nel paese più ricco e potente del mondo, la forza della ‘Ndragheta oggi invece è legata proprio al suo modello di diffusione internazionale assolutamente peculiare”.


La mafia in Sicilia quindi è invece sconfitta? “No, penso che anche in Sicilia queste fenomenologie avranno sempre un luogo in cui si possono più facilmente riprodurre, perché purtroppo temo che la criminalità organizzata  sia una dimensione della modernità e dunque  se non è quella di Riina e Messina Denaro sarà un’altra. Nella storia del nostro paese la mafia è stata considerata all’inizio una manifestazione folkloristica di alcune regioni, poi è diventata una fattispecie penale, il reato di tipo mafioso, che come si è visto  nell’applicazione  tende a perdere il riferimento alle aree di partenza, quindi la mafia c’è ancora, ma non è quella di Riina, non ha necessariamente una continuità storica o un riferimento a quella storia, è una modalità di organizzazione criminale”. Il rischio però è che tutto diventi mafia: corruzione, affarismo... “Una cosa va chiarita: la mafia prospera nella dimensione affaristica, nella corruzione politica, è il terreno di coltura, ma non può essere solo quello, senza un uso diffuso e continuativo della violenza non c’è mafia”.