Tra la Colombo e Frosinone

L'attacco hacker nel Lazio pare più Fantozzi che Graham Greene

Michele Masneri

Tra la Colombo e Frosinone una spy story proprio non regge. E chissà che faceva il dipendente in smart working nel momento della fatale infezione

Sarà che ogni vicenda, quando si entra nel magico Grande Raccordo Anulare, smette di essere seria e vira immediatamente sul comico, sarà che mano a mano che arrivano nuovi dettagli (il virus che ha infettato i dati della regione Lazio sarebbe penetrato in un computer di un dipendente “in smarworking”, lasciato inopinatamente indifeso in quel di Frosinone), ma le storie di spie, digitali o analogiche, mal si conciliano col clima romano, soprattutto estivo.

    

Così, niente atmosfere alla Graham Greene tra i turisti con cappelloni e green pass che chiedono indicazioni per “ostello juventus” alla Carlo Verdone, nelle strade assolate tra i sampietrini in rifacimento dei cantieri pre-elettorali. E sulla via Cristoforo Colombo (per tutti: “la Colombo”), specie di highway verso le fettuccine e le telline di Ostia, difficile immaginare spioni russi o non russi all’opera. Certo le prime affermazioni del governatore Zingaretti erano davvero allarmanti: terrorismo, o ritorsioni di no vax, e addirittura dati di Draghi e Mattarella in pericolo!

   

   

Pareva anche un gran contrappasso, alla regione che aveva debellato e gestito la pandemia nella sorpresa generale (il Lazio non è sinonimo di efficienza, diciamo, ma poi l’è divenuto, almeno sanitaria). Vaccini e tamponi a go go, quasi a bullarsi dei poveri lombardi. Così adesso forse bisognerebbe controllare tra i milanesi più che tra i russi: che magari si saran voluti prendere la rivincita.  

     

Però poi, appunto, tutto crolla nel “contesto”. A partire dallo smart working, o smartuorchi. Il lavoro remoto era tormentone dei passati lockdown, quando, anche lì, veniva fuori tutta l’alterità Roma-Milano, col sindaco Sala che implorava: tornate in ufficio!, per salvare il pil e i posti di lavoro e l’ubi consistam di quella città piccola e compressa e fatta di “pieni”, mentre a Roma si trovò subito la soluzione. Tutti a casa. Tutti a Frosinone. Cioè, almeno le masse di dipendenti pubblici: meno traffico, e pazienza per i bar di cotolette. La sindaca, scaltra, mai si sarebbe messa contro il genius loci, e dunque nessun appello a tornare in ufficio. I dipendenti pubblici la presero in parola. E così, attese bestiali per i più basici documenti, e se ci si vuol sposare, fatelo subito o se ne riparla tra tre anni (si è stati testimoni, nel senso proprio di testimoni della sposa, a un matrimonio comunale, svolto negli uffici, tra le stampanti e i vecchi fax, perché anche per i tempietti laici c'erano i colossali ritardi). E chissà che faceva il dipendente in smartuorchi a Frosinone nel momento della fatale infezione.

   

Il fatto è che, ambientata tra la Colombo e Frosinone, una spy story proprio non regge. Perché se fosse arrivato a Milano, il “ransomware”, il virus ricattatorio, sarebbe già più credibile. Lì “in” Regione Lombardia, e “in” Palazzo Lombardia (un Pirellone on steroids,  non gli bastava l’originale), è un conto. Ma “alla”  Regione Lazio, non funziona. Quell'edificio, come raccontò su questo giornale proprio Zingaretti, doveva essere in origine un ospedale, e quella specie di doppio ferro di cavallo occhiuto sulla autostrada verso il mare, disegnato da Giorgio Pacini nel 1960,  non esprime grandeur o contemporaneità, ma sembra più una clinica da dottor Tersilli.

 

Non ha giovato neanche che fosse stato scelto come location per la Megaditta, la "ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica", per i primi “Fantozzi”; e lì il ragioniere lavorava e sopravviveva, e lì avvenivano le competizioni ciclistiche, le distrazioni hobbistiche per dipendenti già molto smart, le radicalizzazioni politiche (col compagno Folagra che istigava Fantozzi a vandalizzare una finestra). Non che a Roma non vi siano affari veri di spie, peraltro: ma franano un po’ tutti nel pecoreccio. Ultimo in ordine di tempo quello che vide protagonista il militare Walter Biot scoperto a vendere segreti ai (come ti sbagli) russi, sempre in zona, a Spinaceto, passata la Colombo. Lui si  difese dicendo che era colpa dei mutui e della palestra dei figli, insomma a me m’ha rovinato il malware. E adesso pare di vederlo, questo povero dipendente della Regione Lazio in smartuorchi, salutato dai colleghi: “Non solo poeta. Anche hacker, Fantozzi”, pciù.

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).